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Gallo: “Nel calcio lo scudetto non si vince solo sul campo”

Ingegnere, grande esperto di bilanci, ordinario di Economia industriale all’Università La Sapienza di Roma e, in precedenza, Direttore generale del Ministero del Bilancio e vicepresidente dell’Iri, Riccardo Gallo, settant’anni portati benissimo, è anche un grande tifoso di calcio e non si capacitava del fatto che la sua Roma, pur giocando spesso a testa alta, non riuscisse quasi mai a vincere uno scudetto: solo tre in tutto. Colpa degli arbitri? “No, questo lo dicono gli ultras. La verità è tutta scritta nei bilanci. Se la Juventus vince di più la ragione è lì”. Analizzando in lungo e in largo i bilanci delle società di calcio e mettendo in particolare a confronto il bilancio e la struttura societaria della Juventus e della Roma, prima e seconda in classifica nell’attuale campionato di serie A, Gallo ha trovato la conferma che la chiave del successo sportivo è solo in parte il talento dei giocatori o, per lo meno, che questo è l’effetto ma non la causa delle vittorie e che la vera differenza tra un club e l’altro la fanno soprattutto lo stadio di proprietà e il patrimonio netto. Il perchè lo spiega in questa intervista a FIRSTonline.

Professore, in un suo recente articolo pubblicato su Il Foglio, dal titolo “Ecco perché la Juventus vince e la Roma no”, lei ha sostenuto una tesi eccentrica: che nel calcio i titoli non si vincano solo sul campo. In che senso?

“Nel senso che endemicamente e strutturalmente il costo delle prestazioni dei calciatori di un club è nettamente più alto dei ricavi per biglietti e abbonamenti legati alle gare di quel club. Come conseguenza, per riuscire a raggiungere l’equilibrio economico della gestione, ogni società di calcio deve far ricorso a una combinazione di altri fattori, i quali però quasi sempre impediscono di costruire una squadra competitiva e vincente, soprattutto anche in competizioni europee. Per esempio, la prima soluzione più banale è acquistare giocatori le cui prestazioni costino poco, ma in quel caso vincere contro squadre più forti magari può anche succedere ma ovviamente è molto improbabile; seconda alternativa è fare una battaglia politica all’interno della Lega Calcio, per assicurarsi una più vantaggiosa ripartizione dei ricchi diritti tv, con uno schema per così dire alla Lotito, tuttavia anche questo migliora la situazione ma non è sufficiente; terza soluzione è saper puntare su calciatori che dimostrino ampi margini di crescita, baby-talenti, creare un ambiente favorevole alla loro crescita, poi vendere quelli il cui valore corrente di mercato sia sensibilmente aumentato rispetto al costo di acquisto caricato in bilancio, in modo da conseguire “utili da disinvestimento” che compensino le perdite strutturali cui accennavamo prima; lo fanno e anche molto bene, a livello provinciale, Palermo e Udinese, e a livello nazionale Roma e Napoli, ma ciò alimenta nei calciatori, nonostante siano professionisti seri, uno spirito di disillusione che è deleterio per le loro prestazioni e per l’affiatamento della squadra. C’è infine il modello migliore, quello della Juventus, la quale prima ancora di scendere in campo, grazie allo stadio di proprietà, a una struttura societaria stabile e forte, a un approccio in tutti i sensi dominante sul mercato, pone i presupposti per vincere”.

I due fattori chiave, secondo lei,  sono dunque lo stadio e il patrimonio netto di una società: perché?

“Diciamo che questi non sono gli unici fattori chiave, ci sono anche i diritti tv e i premi Uefa, di cui la Juventus è la prima beneficiaria, molto più di Roma e Napoli, perché di solito passa più turni nelle competizioni europee, come quest’anno, e poi ci sono le sponsorizzazioni e il merchandising. La questione dello stadio riguarda non tanto biglietti e abbonamenti, quanto tutto l’insieme delle entrate commerciali legate all’impianto nel suo complesso: negozi, ristoranti, sale di intrattenimento, di spettacoli etc. Lo stadio non viene più vissuto una volta ogni 15 giorni soltanto dai tifosi, ma diventa un’attrazione permanente per tutta la famiglia, (semplificando) sul modello Las Vegas. E le entrate commerciali integrano gli insufficienti ricavi calcistici. Per quanto riguarda il patrimonio netto, chiariamo innanzitutto che esso è la somma di capitale sociale, riserve e utile dell’ultimo anno, cioè è quanto gli azionisti hanno rischiato nella società. Il capitale sociale è un po’ l’anima dell’impresa, se non c’è capitale di rischio l’impresa non c’è: se un imprenditore non ci mette soldi, vuol dire che non crede nell’impresa. Ebbene, nell’ultimo bilancio della Juventus il capitale di rischio è risultato pari al 9% delle attività totali, dunque un importo basso ma pur sempre positivo, mentre la Roma ha chiuso con un patrimonio netto addirittura negativo, pari a meno 117 milioni”.

Oltre ai bilanci conta anche l’organizzazione societaria?

“La Juventus vince anche perché non ha mai cambiato proprietà, è sempre stata della famiglia Agnelli: la continuità azionaria e i soci che non si stancano di mettere soldi, credendo fermamente nel progetto, sono un fattore fondamentale. Può sembrare una cosa astratta, ma anche i calciatori percepiscono questo aspetto, sentono un’atmosfera di fiducia e di grandi ambizioni”.

Sembrerebbe quasi che il campo e il talento non abbiano più peso…

“Ce l’hanno, ma meno dell’organizzazione societaria. Prendiamo l’esempio di Totti, che unanimemente è il miglior calciatore italiano degli ultimi venti anni ed è un patrimonio della Roma: un singolo giocatore, talentuoso e decisivo come lui, incide su tutti i vari versanti, sia sportivo che economico e finanziario, ma certo da solo mica può risolvere l’equilibrio gestionale della società. Il talento ha un peso quando tutti i giocatori di una squadra sono forti, e questo è possibile solo avendo una struttura societaria tipo Barcellona, Real Madrid, Paris SG, Bayern Monaco, Chelsea, Manchester United. In Italia la Juventus è per ora l’unica competitiva di livello stabilmente internazionale”.

A parte la Juventus, in genere le società calcistiche italiane sono fonti di perdite: chi può avere ancora interesse a investire nel calcio di oggi?

“L’investimento può essere dettato da vari fattori, ai quali abbiamo assistito anche storicamente. Abbiamo avuto la passione irrazionale alla Franco Sensi o quella del primo Berlusconi, il quale peraltro ha poi sfruttato anche la proprietà del Milan per ragioni politiche. C’è stato poi l’intreccio di potere che ha portato la Saras, quando beneficiava ancora della spinta di Eni, a investire tantissimo nell’Inter, prima con Moratti padre e poi con Moratti figlio. Recentemente c’è stata anche la motivazione territoriale col caso Sassuolo: Squinzi ha compattato un intero distretto industriale, quello della ceramica, intorno a una squadra di calcio che sta anche facendo bene”.

E poi, a questo punto per fortuna, ci sono i grandi fondi stranieri.

“Su quelli non mi esporrei perché non conosco bene le vicende, ma se è vero che ad esempio la proprietà asiatica dell’Inter ha tanti soldi, farebbe bene a investirli in un modello di business come quello di cui abbiamo parlato, con uno stadio di proprietà che diversifichi le entrate. Non basta avere disponibilità finanziarie, bisogna credere in un progetto”.

Cosa pensa invece di alcuni modelli di gestione alternativa, come quelli proposti da De Laurentiis al Napoli o Cairo al Torino?

“De Laurentiis prima o poi venderà il Napoli, non vedo un futuro chiaro. Il discorso per Cairo invece è diverso, perché oltre che proprietario del Torino è anche azionista di maggioranza di Rcs e di La7: c’è una profonda differenza con le attività che ha alle spalle il patron del Napoli…”.

Juventus, Roma e Lazio sono anche quotate in Borsa: che cosa pensa della quotazione? E’ stata e sarà utile?

“Non è servita a niente e non servirà a niente, perché i tifosi dimostrano di non essere interessati all’azionariato popolare della loro squadra del cuore”.

Infine, a proposito di stadio: anche la Roma sta provando a fare il suo, tra mille ostacoli.

“Da un lato penso che la Roma dovrebbe assolutamente costruirlo, per i motivi che abbiamo detto. Oltretutto vedendo il bilancio giallorosso, le entrate commerciali sono già una parte interessante e potrebbero aumentare grazie a un impianto di proprietà. Il problema però è che questo impianto apparterrà non alla società sportiva, bensì a una società collegata, controllata da Pallotta e partecipata dai costruttori che fanno parte del progetto. Potrà dunque essere gestito separatamente, un domani anche venduto, e non sappiamo quanto beneficio potrà portare con queste condizioni alla crescita della squadra. In conclusione, ha torto marcio chi sostiene ideologicamente che il progetto di un nuovo stadio come quello proposto da Pallotta persegua finalità estranee al calcio, appunto perché abbiamo visto come le entrate commerciali e le sponsorizzazioni siano indispensabili a integrare gli insufficienti ricavi legati alle gare e consentano ulteriori sforzi per i successi calcistici, mentre ha ragione chi dubita che lo stadio della Roma possa risolvere stabilmente i problemi di equilibrio economico, appunto perché sarà di proprietà di società solo indirettamente collegate alla AS Roma”.

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