Protagoniste quattro importanti opere, tra cui una coppia di dipinti di Pompeo Batoni con Prometeo modella l’uomo con l’argilla e Atalanta piange Meleagro, realizzati per il marchese Sardini di Lucca. Il tondo con l’Adorazione del Bambino di Lorenzo Di Credi, uno degli esemplari più raffinati dell’artista che aveva lavorato a fianco di Leonardo nella bottega di Verrocchio. Tre scomparti di polittico, con San Giovanni Battista, Santa Caterina d’Alessandria, San Nicola da Tolentino di Bartolomeo Vivarini (in questa occasione viene per la prima volta proposta la ricomposizione del polittico dei Tagliapietra delle Galleria dell’Accademia, cui i tre scomparti appartenevano). Infine L’allegoria della città di Parma presentata alla Vergine, rarissima tavola e capolavoro di Giorgio Gandini Del Grano, l’allievo di Correggio che era stato incaricato di finire gli affreschi del maestro nel duomo di Parma dopo la morte del pittore.
La mostra, ripensando alle importanti vicende collezionistiche delle opere esposte, vuole essere un’occasione per riflettere su cosa spinge a raccogliere opere d’arte. La caccia alle farfalle, infatti, non è altro che il percorso irto di gioie, ostacoli, inciampi, amori, passioni, errori, e colpi di fortuna che ogni aspirante collezionista intraprende senza sapere esattamente a cosa va incontro.
L’esposizione è corredata da un catalogo con introduzione di Gian Enzo Sperone. La testimonianza di uno dei più grandi galleristi dei nostri tempi, che nei suoi gusti ha spaziato dai fondi ori fino al contemporaneo, è il modo migliore per comprendere l’atteggiamento di chi nei confronti del collezionismo si pone senza pregiudizi e a occhi aperti, cercando di capire la grandezza anche al di là dei propri limiti e delle proprie conoscenze, come spesso accade ai cacciatori di farfalle.
“Diciamo che quella del collezionista è quasi una via crucis, e sin dalle prime stazioni ci si imbatte in quella bestia insidiosa che è il senso di colpa (anche le pillole del dottore ti fanno star bene, ma hanno effetti collaterali).
La qualità altissima delle opere e nomi di artisti spesso studiati a scuola ti esalta ma poi, passata la sbornia, pour cause, ti può anche avvilire. Per chi non avesse inteso sto parlando delle stelle di prima grandezza, che sono poi le più luminose e un pochino più costose.
Io, che ho speso un terzo della mia vita in una (scellerata) routine di pendolare Roma-New York, come avrei potuto accantonare risorse sufficienti a placare l’appetito (che come si sa vien mangiando) di collezionista che la «prima grandezza» implicava? È un po’ come l’asticella del salto in alto, oltre i due metri.
A mia discolpa vorrei ricordare, più che altro a me stesso, che ero impegnato a raccogliere oltre ai quadri moderni, mobilia del Settecento, pendoleria d’autore, stampe antiche, miniature indiane, libri illustrati, ecc…; scusate lo sfogo.
Non avevo previsto l’incontro con un nuovo «problemino», ora che me ne ero fatta una ragione e l’élite del collezionismo (gli Etro, Luigi Koelliker, Mario Scaglia, Francesco Cerruti, i modernisti Panza di Biumo e Annibale Berlingeri) oramai la seguivo sui libri, cataloghi, riflettendo serenamente su questi modelli ormai inarrivabili (e senza sentirmi complessato per la mia dispersività), ma ecco che arriva la botta di Ferragosto, come se non bastasse l’abbondanza di grane di questa estate. Quel diavolo di Carlo Orsi mi ha appena annunciato che la sua prossima mostra a Milano avrà i seguenti quadri: quattro capolavori, tra cui Lorenzo di Credi, Bartolomeo Vivarini, e Pompeo Batoni, (ma dove li andrà mai a scovare?). A meno che mia zia d’America decida”