Il cinquantesimo anniversario della morte, avvenuta il 21 maggio 1973, e il centotrentesimo della nascita, avvenuta il 14 novembre 1893. Un anno importante il 2023 per Carlo Emilio Gadda, uno degli scrittori più difficili da leggere e comprendere e, forse per questo, più affascinanti della nostra letteratura del Novecento.
Le celebrazioni per Carlo Emilio Gadda
Le celebrazioni sono state anticipate, fra le altre, lo scorso dicembre da Carocci editore con la pubblicazione di un’opera utile e interessante, il “Gaddabolario”, vero e proprio dizionario composto da 219 parole, come il numero civico di via Merulana, il luogo del famoso “pasticciaccio”, elaborato dalla filologa Paola Italia, con l’aiuto di altri 61 studiosi.
Il 24 gennaio, sarà la volta di Adelphi che propone la nuova edizione accresciuta del “Giornale di guerra e di prigionia”, sempre a cura di Paola Italia, con una nota di Eleonora Cardinale.
Si tratta di sei taccuini finora sconosciuti e inediti: ottanta pagine accompagnate da tavole stupendamente autografate che arricchiscono la prima edizione pubblicata nel 1955, da Sansoni.
Un Gadda all’inferno
Lo scrittore tenne il diario tra il 24 agosto del 1915 e il 31 dicembre del 1917, cioè più o meno dal momento in cui si arruola fino alla disfatta di Caporetto. Ma molti taccuini erano andati perduti, soprattutto quelli che riguardavano il ‘17. Ora si colma un vuoto.
È un Gadda all’Inferno quello che ritroviamo nei quaderni inediti, come viene spiegato alla Adelphi. E Dante torna molte volte nelle pagine ritrovate.
Lo spirito che alimenta le giornate dello scrittore nelle trincee della Grande Guerra è depresso, funereo, arrabbiato. E viene fuori subito dai passaggi che sono scelti per presentare il volume. “La nostra anima stupida, porca, cagna, bastarda, superficiale, asinesca tiene per dignità professionale il dire: ‘io faccio quello che voglio, non ho padroni’. Questo si chiama fierezza, libertà, dignità. Quando i superiori ti dicono di tosarti perché i pidocchi non ti popolino testa e corpo, tu, italiano ladro, dici: “io non mi toso, sono un uomo libero”.
Quando un generale passa in prima linea, come passò Bloise, e si lamenta con ragione delle merde sparse ovunque, tu, italiano escremento, dici che il generale si occupa di merde: (frase da me udita sulle labbra di un ufficiale). Se il generale se ne sta a casa sua, dici che è un imboscato, ecc. Abbasso la libertà, abbasso la fierezza, intese in questo senso. Non conosco nulla di più triviale che questi sentimenti da parrucchiere. Qual è la portata dell’incidente tra Musizza e il Capitano? Questa: che se domani in combattimento il Capitano dicesse a Musizza di avanzare con la sua sezione in un luogo esposto, Musizza direbbe: ‘Ci vada lui a farsi ammazzare: io non ci vado per far piacere a lui.’
Per il sottotenente Gadda, partito per l’ultima guerra del Risorgimento nel maggio del 1915, inquadrato nella seconda sezione dell’89esimo reparto mitragliatrici del 5° reggimento alpini, la delusione è cocente.
La guerra non è “necessaria e santa”, come l’aveva auspicata. E non è il nemico il peggiore incontro che egli fa nello scontro durissimo. Gadda è travolto dalla meschinità della “vita pantanosa” di caserma; dall’incompetenza dei grandi generali; dall’’’egotismo cretino degli italiani”, al quale si riferisce il brano scelto; dall’indegnità morale dei vigliacchi, degli imboscati, dei profittatori, quelli che costringevano gli alpini a marciare con le scarpe rotte.
“Se ieri avessi avuto innanzi un fabbricatore di calzature, l’avrei provocato a una rissa, per finirlo a coltellate”, scrive a un certo punto nel diario.
Eppure – spiegano gli editor di Adelphi – lo scontro più lacerante, e fondatore, è quello che Gadda ingaggia con se stesso: con l’orrore e la tristezza della solitudine, un “sistema nervoso” viziato da “una sensibilità morbile”, con una insufficienza nell’agire che gli impedisce di tradurre in atto i tesori di preparazione tecnica, senso di sacrificio, spirito di disciplina che abitano in lui.
“Mi manca l’energia, la severità, la sicurezza di me stesso, proprio dell’uomo che… agisce, agisce, agisce a furia di spontaneità e di estrinsecazione volitiva”, scrive.
Il più grande prosatore italiano del ‘900
La disfatta di Caporetto e la prigionia in Germania faranno il resto. Esse peseranno come un macigno sul bilancio della partecipazione di Gadda alla guerra, ma segneranno anche la nascita del più grande prosatore italiano del Novecento mostrando nel “Giornale” il suo primo sofferto atto di conoscenza del mondo e della propria realtà psichica.
Gadda venne fatto prigioniero ai piedi del monte Krasji, nei pressi di Ternova d’Isonzo, nell’ottobre del 1917 e deportato a Celle, presso Hannover, in Germania. Viveva nella baracca 15c, soprannominata la “baracca dei poeti”. Qui strinse amicizia con Bonaventura Tecchi, esperto germanista, Camillo Corsanego, noto giurista, e Ugo Betti, poeta e drammaturgo. Più tardi racconterà di loro nel libro “Il castello di Udine”, nel capitolo “Compagni di prigionia”.
La migliore descrizione del Gadda scrittore è, a nostro parere, quella che ne fa Italo Calvino (anche per lui una ricorrenza quest’anno, il centenario della nascita) nella quinta delle sue “Lezioni americane”.
Egli rappresenta – scrive Calvino – il “romanzo contemporaneo come enciclopedia”. Gadda – egli continua – “cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento”.
Il giallo di via Merulana ne è il più luminoso esempio, ma i “Giornali” ne sono senz’altro il lievito.
Le opere di Carlo Emilio Gadda sono tutte in corso di pubblicazione presso Adelphi e il titolo più recente è “I Luigi di Francia”, uscito nel 2021.