Della sua isola, Gabriele Muro, 36 anni, ha preso, da giovane, l’eterna sonnolente indolenza con cui questo fazzoletto di terra, adagiato in uno dei più spettacoli mari del mondo, tutto baie, baiette, piccoli borghi di pescatori, reti ammassate, spiagge nascoste, vialetti, casette colorate come un innocente disegno di bambini, ha assistito al passaggio di Micenei, Greci, Romani, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Francesi e Inglesi, mantenendo sempre la propria magica identità. E’ la Procida amata da Giovenale, da Stazio, da Virgilio e da Boccaccio che vi ambientò l’amore di Gian da Procida per la giovane Restituta nella quinta giornata del Decameron, è la stessa isola dove Alphonse de Lamartine descrisse il drammatico amore per la sua Graziella, è soprattutto la protagonista assoluta de L’isola di Arturo (1957), che rivelò alla ribalta letteraria la grande Elsa Morante facendole vincere il Premio Strega, prima donna nella storia della prestigiosa manifestazione letteraria ideata da Maria e Goffredo Bellonci.
E’ l’isola che ha fatto da incantevole set cinematografico per Il postino, con Philippe Noiret e Massimo Troisi, per Il talento di Mr. Ripley, con Matt Damon, per Francesca e Nunziata, con Sophia Loren e Giancarlo Giannini per Detenuto in attesa di giudizio, con Alberto Sordi.
Anche Gabriele Muro, come Arturo, il protagonista del romanzo della Morante, con il padre sempre lontano, che vive la vita attraverso i libri che legge ed esplorando l’isola, ha un padre che stava spesso fuori casa, “ha trascorso tutta la vita in mare, un marittimo su navi petroliere in giro per il mondo, come gran parte dei procidani e come fanno i miei fratelli”. La madre casalinga porta avanti la famiglia, ma in cucina lascia molto a desiderare … “non ama la cucina e non l’ha mai amata, anzi l’opposto”.
Gabriele non ha avuto neanche nonne o zie che l’abbiano introdotto al mondo dei fornelli. Ha vissuto la sua spensierata infanzia senza ritmi né frenesie in assoluta libertà, “sull’isola si vive protetti, sicuri e liberi”. Gestendo il suo tempo e i suoi pensieri. Anche quando il padre, fra un viaggio e l’altro, in una pausa di tempo libero, se lo portava a pesca, usciva fuori la sua indolenza: “Vivendo su un’isola la pesca è un po’ la passione di tutti, mio padre si dilettava in quella subacquea, purtroppo io non sono stato un buon allievo. In vita mia oltre qualche cozza, due ricci e qualche lumaca di mare, credo di non aver pescato mai nulla”.
E anche nella vita d’ogni giorno non è che si desse troppo da fare: ”Non sono in grado nemmeno di cambiare una lampadina, per qualsiasi lavoretto in casa chiedo aiuto ad amici e parenti”.
Insomma di cucina in casa non si parlava ma una certezza il giovane Gabriele la sentiva dentro, da grande avrebbe fatto il cuoco. Da dove gli sia venuto lo spunto non lo sa dire. Non c’è stata una folgorazione, un messaggio venuto dall’alto dei cieli. L’unica cosa che della sua infanzia ricorda con tristezza è quando lo mandavano a letto senza cena per qualche disobbedienza o marachella, per lui non era una rinuncia ma una vera e propria condanna, un sacrificio enorme “molto più che mi impedissero di uscire o di andare a giocare con gli amici”, perché mangiare gli piaceva eccome!
Insomma il fuoco covava dentro ma inconsapevolmente.
Facciamo ora un salto temporale, lasciamo Procida arriviamo ai giorni nostri. Gabriele-Arturo è un’altra persona, a 36 anni è stato chiamato a dirigere una esclusiva cucina in un esclusivissimo albergo aperto da un anno a Roma, il VILÒN, hotel charmant, membro della Small Luxury Hotel of the World, 18 camere e suites, dove si respira il fascino e l’emozione di una Roma aristocratica. L’unico hotel a Roma nella it list 2019 di Travel&Leisure dei nuovi hotel più belli al mondo. E qui c’è Adelaide, la novità très chic della Roma gourmet, il ristorante ospitato nell’ala dell’imponente Palazzo Borghese, considerato per la sua architettura una delle “quattro meraviglie di Roma”. Il nome è un omaggio alla principessa Adelaide Borghese de la Roche Foucauld che generosamente a metà ottocento volle ospitare nell’ala seicentesca del palazzo una Scuola per Fanciulle Povere affidata alle monache francesi Figlie della Croce. Si respira dunque la storia, aria di nobiltà e di raffinata eleganza, ma anche di discreta convivialità, nel ristorante Adelaide che gode dell’esclusiva vista sul giardino privato di Palazzo Borghese opera di Martino Longhi il vecchio, di forma arcuata circondato da 100 colonne di granito e statue, che ha conservato anche il “giardino segreto”.
Questo è il regno di Gabriele, che se ha mantenuto della sua infanzia un carattere schivo e timido, anche se molto socievole, oggi sovrintende all’Adelaide con piglio deciso, e, novello doctor jekyll & mr hyde si trasforma in uno chef rigoroso e determinato, pignolo e padrone di sé, sempre presente in prima persona in tutto l’arco del processo ristorativo, dalla individuazione e scelta delle materie prime (che non delega a nessuno) alle cotture, al servizio, che sovraintende e non lascia nulla al caso. Detto addio alle indolenze procidane, Gabriele è oggi un attento comandante di nave di lusso, si fa, infatti, interprete della cultura della tavola con l’amore e la passione che poteva avere il cuoco di una famiglia aristocratica d’altri tempi. E’ il “cuoco di casa”, di una grande casa, una dimora dove alla cucina si dedicano ore e dove allo Chef si può anche chiedere un piatto “del cuore” di tradizione familiare. Piatti che rimandano alla cucina dei monzù, quell’arte culinaria tutta partenopea per quanto d’ascendenza francese, che regala pietanze iconiche come il sartù, il gâteau, il ragù, il crocchè, e che Gabriele Muro propone a volte o su richiesta o con leggero disincanto come finger per l’aperitivo al cocktail bar In Salotto.
Certo la cucina di qualità era nel suo destino ed è seguendo il suo istinto e le sue voci da dentro che il suo apprendimento gastronomico non ha conosciuto remore o battute d’arresto, è andato avanti come un caterpillar senza mai arretrare d’un passo alle prime e successive difficoltà che si incontrano in questo mestiere.
Il giovane Gabriele inizia a lavorare in cucina all’età di quindici anni. “Sull’isola, l’estate, i ragazzi trovano sempre un lavoretto, io fin da subito – ci tiene a sottolineare – ho preso molto sul serio quello che facevo. Sapevo bene quello che volevo, ero molto deciso e da allora non ho mai avuto dubbi sul fatto che amassi cucinare”.
L’Ippsar Vincenzo Telese di Ischia, è stata la scuola dove ha mosso i primi passi “che ha segnato parte più bella della mia adolescenza. Non tanto per la scuola – ricorda oggi ammiccando – anche perché le presenze in aula erano veramente poche. Con la mia comitiva preferivamo la spiaggia dei Maronti o le passeggiate in pineta a Ischia al posto delle noiose lezioni di francese, amministrazione e tecnica. La professoressa di francese in un colloquio con i genitori chiese: “ma Muro e Landola (il mio inseparabile compagno di banco) il sabato dove vanno? A scuola di certo no”. Il rossore di vergogna dei nostri genitori ignari di tutto ciò – confessa – è ancora vivo nella mia mente”. Ma si mette presto in riga il giovane Gabriele, e parte con il piede giusto: ancora giovanissimo frequenta un corso presso il Joia Alta Cucina Naturale di Pietro Leeman lo chef stellato, primo in Europa a ricevere la stella per una cucina vegetariana, chef-predicatore di valori della scienza vegetariana, sviluppata da un punto di vista alimentare, filosofico, sociale, salutare, psicologico e agricolo. Da lì Muro prende il volo per la Spagna e approda da Ramòn Freixa, lo chef due stelle Michelin di Madrid il cui ristorante è “Un luogo in cui i sensi si risvegliano per scoprire che nulla è ciò che sembra e dove sono i sapori che riescono a rivelare ciò che gli occhi non possono vedere” e realizza piatti in cui “follia e buon senso si incontrano per rendere l’esperienza gastronomica un momento indimenticabile”. Esperienza indimenticabile anche per Muro che oggi dice: ”ho voluto vivere fortemente per affacciarmi alla cucina molecolare quando in Italia ancora non era sdoganata come ora”.
Di lì è la volta di Philippe Chevrier lo chef svizzero del Domaine de Châteauvieux a Peney-Dessus vicino a Satigny due stelle michelin, premiato nel 2001 come Chef dell’anno Gault Millau, Chevalier de l’ordre du Mérite agricole, insomma una scuola di altissimo livello e per lui una “Forte esperienza formativa, rigore svizzero e cucina francese”.
Con questa scuola il suo nome oramai gira per l’ambiente della ristorazione italiana: il Gambero Rosso se lo chiama a Roma come docente di Gambero Rosso Academy, contemporaneamente viene chiamato per consulenze da ristoranti e Muro firma start up di numerosi locali, per poi fermarsi, per oltre un anno, come Executive Chef presso l’Enoteca al Parlamento Achilli, una stella Michelin.
Un anno fa, la grande occasione: Gabriele Muro approda all’Hotel Vilòn, 5 Stelle Lusso realizzato in un’ala di Palazzo Borghese. Un progetto ambizioso ed impegnativo per il giovane cuoco procidano. La proprietà dell’albergo che ha investito nel recupero e riqualificazione della storica dimora seicentesca punta a una ristorazione di livello adeguata al prestigio del contesto storico e culturale in cui è il ristorante è incastonato.
In omaggio alla principessa benefattrice, il Ristorante porta il nome di Adelaide, con un affaccio strepitoso sui giardini privati di Palazzo Borghese.
Muro imposta e avvia il ristorante aperto anche agli ospiti esterni, con una cucina fine dining ricca di sapore, frutto di una attenta ricerca sul prodotto, spesso ittico ma non solo, nella consapevolezza delle tradizioni e delle radici reinterpretate con leggerezza ed estro equilibrato.
Una cucina immediata e colta al tempo stesso, consapevole, forte di un solido bagaglio tecnico acquisito in italia e all’estero. Il suo è uno stile che coniuga semplicità e memoria, ereditate dalle sue origini procidane, a intuizione e creatività, elaborate e metabolizzate nelle sue esperienze presso i prestigiosi maestri che lo hanno formato nel corso della sua rapida carriera, avendo come faro essenzialmente la cucina di un gran maestro della mediterraneità come Alfonso Iaccarino, tre stelle Michelin, il primo chef che ha portato le stelle della prestigiosa guida nel Sud d’Italia, un vero e proprio monumento vivente della cucina italiana e internazionale.
Ne fanno fede alcuni pezzi forti del suo menù come ‘Il capriccio d’estate’, linguine ai ricci di mare con carpaccio di pezzogna polvere di capperi disidratati e limone candito; ‘Alice nell’orto delle meraviglie’, pane alici peperoncini verdi e burrata, “ piatti – dice – che raccontano la mia Procida, partendo dalla tradizione, rivisti con gli occhi di chi ha viaggiato un po’ e ha incamerato esperienze per vedere le cose in modo diverso ma senza mai abbandonare le proprie radici” perché “in un cinque stelle non si deve per forza servire caviale foie gras”. Un’affermazione che da sola vale più di ogni altro discorso a spiegare il percorso originale che Muro ha saputo imprimere alle cucine dell’Adelaide, dove la carta vincente sono stagionalità dei prodotti, tecniche di cottura leggere nel pieno rispetto e valorizzazione delle materie prime reperite solo presso piccoli produttori. Ma anche fantasia e innovazione con esplorazioni geografiche in altri territori come avviene con ‘Una Nobile Anatra’, anatra in olio cottura, patate boulangère e salsa barbecue, o con ‘Proposta vegetariana quella di Cavoli e Capre, fondente di cavolfiori, broccoli e caprino’. Un mix di tradizione e contemporaneità che non cade mai nella maniera perché per Gabriele Muro il prodotto è sempre protagonista del piatto, gli ingredienti devono avere e mantenere la propria identità in una cucina che ama stupire con la semplicità pescando nella storia.