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Fusione nucleare: riuscito il primo test di Eni con Mit

Il gruppo italiano sta sperimentando al MIT di Boston una rivoluzionaria tecnologia di fusione a confinamento magnetico, per produrre energia 100% e senza scorie. L’obiettivo è renderla industriale entro 10 anni

Fusione nucleare: riuscito il primo test di Eni con Mit

Energia solare, ma nel vero senso della parola. Non assorbendo i raggi attraverso pannelli fotovoltaici come si fa comunemente ma riproducendo in maniera vera e propria quello che accade all’interno del Sole. E’ la nuova sfida di Eni, che la sua battaglia per un futuro più verde la combatterà non con l’energia dal Sole ma con l’energia del Sole: si può chiamare anche energia stellare, visto che il Sole una stella lo è, ma tecnicamente la nuova tecnologia sperimentata dal colosso italiano è una fusione a confinamento magnetico. Il Sole infatti la sua energia la produce proprio così, attraverso la fusione di due atomi di idrogeno. E replicando questo meccanismo si produrrebbe energia al 100% pulita: senza scorie, a differenza delle attuali centrali atomiche, senza emissioni di CO2, e persino più concentrata, dunque più potente in proporzione.

La scoperta non è italiana, ci mancherebbe: la ricerca è in corso in tutto il mondo e poche ore fa da Boston è arrivato l’annuncio di un passo avanti importante per il passaggio dalla ricerca alla fase industriale. Eni però si è portata parecchio avanti, visto che del Commonwealth Fusion Systems, società nata all’interno del Mit di Boston, è il primo azionista, e ha comunicato di aver condotto “con successo il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva, che assicurerà il confinamento del plasma nel processo di fusione magnetica”. Linguaggio molto tecnico ma poco importa, perché in sostanza significa che per sviluppare la fusione sono stati utilizzati materiali che possono raggiungere temperature molto più elevate, garantendo dunque la sicurezza e l’efficacia del processo di fusione.

La strada è ancora lunga ma l’obiettivo è di passare dai test alla pratica entro 10 anni, un orizzonte temporale compatibile con la deadline per le oil company fissata dall’Unione europea nel 2050, anche se molto prima, nel 2030, bisognerà già dimostrare di aver ridotto del 55% le emissioni di anidride carbonica. Per Eni, che ancora dipende moltissimo dalle energie fossili, una svolta è necessaria: continuare a investire sulle rinnovabili tradizionali non basterà e finora non ha visto la società guidata da Claudio Descalzi in un ruolo da protagonista, anche se l’ultimo piano industriale presentato è meno petrolio-dipendente e negli ultimi mesi Eni ha ampliato in particolare il suo parco eolico, sia in Italia che all’estero. Il gruppo fondato da Enrico Mattei si è da poco lasciato alle spalle la pesante vicenda giudiziaria sulle tangenti in Nigeria e nel 2021 i conti sono già tornati sui livelli pre-Covid.

La svolta green tuttavia ancora non convince né gli ambientalisti né il mondo finanziario, che della sostenibilità sta facendo una vera e propria condicio sine qua non per gli investimenti. E non gli si può dare del tutto torto, visto che Eni va ancora a caccia di giacimenti di idrocarburi e proprio pochi giorni fa ne ha trovato uno offshore al largo della Costa d’Avorio. Ma ora potrebbe arrivare l’energia stellare: “Per Eni – ha ribadito il CEO Descalzi -, la fusione a confinamento magnetico occupa un ruolo centrale nel percorso di decarbonizzazione, in quanto potrà consentire all’umanità di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile e senza emissioni di gas serra, cambiando per sempre il paradigma della generazione di energia e contribuendo a una svolta epocale nella direzione del progresso umano e della qualità della vita. Il risultato straordinario ottenuto durante il test dimostra l’importanza strategica delle nostre partnership di ricerca nel settore energetico e il nostro contributo allo sviluppo di tecnologie game changer”.

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