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Fugnoli (Kairos) – Qe all’europea e svalutazione dell’euro restano in cima ai pensieri dei mercati

FIRSTonline

La battaglia di Gettysburg durò tre giorni (1-3 luglio 1863). Fu la più grande carneficina legata a eventi bellici che abbia mai avuto luogo sul continente americano. Lasciò un trauma profondo e ancora oggi percepibile nella psiche americana. Forse per esorcizzare la ferita, da una ventina d’anni si tengono ogni luglio sul sito di Gettysburg ricostruzioni accuratissime e grandiose della battaglia. Tutto è serissimo, ma sono previsti acqua corrente, bagni puliti, docce, ampi parcheggi custoditi, navette regolari verso i campi di battaglia, protezione antincendio e assistenza medica 24 ore su 24. È la rievocazione di un massacro, ma con tutti i comfort della vita moderna, anche se si dorme negli accampamenti. 

Nessuno deve farsi male per davvero. È in questo spirito che i mercati di tutto il mondo si preparano alla rievocazione della correzione di settembre-ottobre. Tutti vi prenderemo parte con serietà, mediteremo sui gravi problemi strutturali che affliggono il mondo, sulle alte valutazioni degli asset finanziari e sul fatto scatenante (incidente geopolitico, finanziario, economico) che darà il via alla volatilità. Lo faremo però sapendo che là fuori ci sono già le ambulanze pronte e che dalla cabina di regia si farà in modo di inviare rinforzi nel caso le cose inizino a sfuggire di mano.

Le ambulanze sono le indicazioni di policy da parte delle banche centrali, pronte a rimodulare retorica e linea operativa per evitare che paura e sfiducia prendano il sopravvento. È stato così un anno fa a quest’epoca quando, il 18 settembre, la Fed, spaventata dal rialzo dei tassi a lungo termine e da una correzione della borsa che, nel momento peggiore, era stata del 4 per cento (del 4, non del 10 o del 20), si affrettò a rimangiarsi l’annuncio di tapering che era stato dato a fine giugno. È stato così anche ogni volta che i dati sull’occupazione hanno raggiunto i livelli che la Fed si era prefissata e il mercato ha cominciato a innervosirsi pensando a un rialzo dei tassi. In tutti questi casi, la Fed ha prontamente spostato i paletti e introdotto nuovi obiettivi.

Quanto ai rinforzi, ovvero agli acquisti di sostegno in borsa, il sito Zero Hedge ha esibito scandalizzato quella che considera la pistola fumante, uno sconto offerto da alcune borse alle banche centrali sulle commissioni per le loro operazioni sull’SP 500 future. In linea di principio gli interventi diretti sulle borse non ci sembrano più scandalosi di quelli sui cambi o sui tassi, che sono invece ampiamente accettati. Bernanke, a suo tempo, rivendicò più volte l’acquisto di azioni come una delle frecce nell’arco di un banchiere centrale.

Sta di fatto che le correzioni sono diventate sempre più piccole e sempre più brevi e il Vix, l’indicatore di volatilità, è tornato sui minimi proprio nei giorni in cui si è parlato di atomiche tattiche per risolvere la crisi in Ucraina, poi di tregua permanente e poi di nuovo di conflitto congelato in attesa dell’inverno. Sono anche giorni di forti dati americani e di dati europei che, dopo essere stati per qualche settimana poco meno che disastrosi, iniziano di nuovo a volgere in positivo. Dati migliori, tuttavia, significano più incertezza sul Quantitative easing europeo, l’unica cosa che fino a oggi è sembrata interessare veramente al mercato.

Insomma, può succedere (o profilarsi) il meglio o il peggio, ma borse e bond si comportano come se si trovassero in un mondo noiosamente tranquillo, strutturalmente solido e privo di inflazione e di deflazione. Solo l’euro procede veloce (anche lui senza sbalzi o rintracciamenti, esattamente come è stato il caso per lo yen nel novembre-dicembre dell’anno scorso) verso un aggressivo ridimensionamento.

Per i politici europei l’euro debole risolve molti problemi potenzialmente esplosivi. Il primo è la sopravvivenza stessa della valuta unica e il mantenimento nel suo perimetro dell’Italia. Il secondo è la provvista di ossigeno per l’altro grande malato, la Francia. Il terzo è il possibile rinvio del Qe, la cui adozione scatenerà in Germania polemiche e battaglie legali senza fine (con l’Allianz fur Deutschland in continua ascesa e sempre più pericolosa per la Cdu). Si consideri poi che la svalutazione, che pure è un impoverimento patrimoniale e reddituale, non solo è accettata ma è addirittura invocata da molte parti sociali, mentre la svalutazione interna (cambio stabile e taglio dei salari) pur essendo in molti aspetti la stessa cosa, è ferocemente osteggiata e potrebbe provocare in alcuni casi la caduta stessa dei governi.

La svalutazione è dunque la linea di minore resistenza, soprattutto se si accompagna a un restringimento ulteriore degli spread della periferia. Il Qe, del resto, ha come scopo il deprezzamento del cambio e il restringimento degli spread. Se si riesce però a raggiungere gli stessi obiettivi calcando la mano sui tassi negativi e sulle operazioni di finanziamento (Tltro, Abs, covered bond) e se si riallarga di un trilione di euro la dimensione del bilancio della Bce, si può tenere il Qe di riserva. Il Qe, per la Germania, è l’arma atomica da usare nel caso Putin tagli il gas all’Europa quest’inverno o nel caso l’inflazione non risalga.

È possibile che il dollaro se ne stia vicino a 1.30 per qualche tempo. Per il pubblico tedesco vedere un livello troppo inferiore può creare dubbi e ansie. La svalutazione dell’euro, tuttavia, non finisce qui per il semplice fatto che l’America alzerà i tassi, mentre l’Europa li terrà sotto zero per molti anni a venire.

L’America non è entusiasta del dollaro forte. Un economista del Tesoro, Kenneth Austin, ha pubblicato un articolo piuttosto tecnico in cui propone che il dollaro rinunci al suo ruolo di valuta di riserva. Jared Bernstein, un altro economista di profilo più alto e vicino all’amministrazione Obama, ha ripreso il tema, sostenendo che l’America deve cominciare a preoccuparsi del dollaro forte e prevenire ulteriori apprezzamenti.

È però molto interessante che tanto Austin quanto Bernstein ce l’abbiano con l’Asia (ex Giappone) e non con l’Europa. La Bce non accumula dollari per tenere basso l’euro, mentre le banche asiatiche lo fanno e in questo, secondo i due autori, si comportano slealmente.

Letto in chiave politica, gli Stati Uniti accettano come un male necessario e inevitabile il deprezzamento dell’euro, ma intendono compensarlo almeno in parte con una rivalutazione dell’Asia. In realtà è poco realistico che Corea e Cina accettino in questa fase di rivalutare, ma il messaggio, tra le righe, è quello di non provare nemmeno a svalutare.

L’euro strutturalmente debole, il dollaro strutturalmente forte e la Cina che dovrà restare agganciata al dollaro e che vuole fare salire la sua borsa ci inducono alle seguenti conclusioni operative. 

1) Ridurre le posizioni sulla borsa americana e compensarle parzialmente con acquisti su Hong Kong e Shanghai.

2) Mantenere e allargare le posizioni azionarie sugli esportatori europei, beneficiari dell’euro debole. 

3) Tenere il resto del portafoglio in dollari con duration limitata.

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