Siamo ormai a Pasqua e il mercato guida, quello americano è a 1850, sui livelli d’inizio anno. Ci sono stati due tentativi di superare 1900, ma sono falliti, sia pure di poco. Ci sono state due correzioni, una fino a 1740 in gennaio e una verso 1800 in questi ultimi giorni e ora siamo di nuovo al punto di partenza. Il tradizionale rialzo d’inizio anno, che spesso si prolunga fino a maggio-giugno, ha brillato per la sua assenza. Il 90 per cento degli strategist azionari indica il 2014 come un anno da abbastanza o molto positivo, ma il primo terzo, quello che abbiamo visto finora, è stato piuttosto nervoso e ha girato a vuoto.
In compenso la borsa giapponese, che doveva continuare a festeggiare la nuova e aggressiva politica economica di Abe, è sotto del 12 per cento. L’oro, che doveva proseguire nel suo declino terminale, guadagna l’8.5 per cento. I metalli industriali, quelli che dovevano risentire della crisi della Cina e continuare a scendere, sono in rialzo del 3.5 per cento. Dal canto loro i bond, le vittime designate della Grande Rotazione verso l’equity, offrono un ritorno da inizio anno superiore al tre per cento in praticamente tutte le loro classi (governativi, corporate, emergenti).
Quanto alle borse emergenti, che a gennaio perdevano anche più del 10 per cento e sembravano destinate a un bear market duro, è di qualche conforto constatare che il Brasile, in euro, è in rialzo del 3.6 per cento, mentre l’SP 500 perde lo 0.3. Altro caso interessante è la Turchia. Il paese non è precipitato nel caos (come da più parti si era temuto) e Istanbul guadagna quasi il 7 per cento in euro. Meno dei nuovi poveri dell’Eurozona (12.3 il Portogallo, 13.5 l’Italia e 17.5 la Slovenia), ma certamente meglio della florida Germania, che perde il 2.5.
Si conferma con questi dati la tesi che la fine dell’anno, il periodo in cui tutti si lanciano in previsioni, è il peggiore momento per questa incauta attività. Le visioni del futuro, in dicembre, sono essenzialmente estrapolazioni del presente o, meglio ancora, del passato prossimo. Qualche volta funziona, naturalmente, ma è meglio confrontarsi sempre con la realtà. La realtà del 2013, giova ricordarlo, è stata quella di un rialzo del 30 per cento sulle grandi borse. Una fase di digestione e di sistemazione, dopo la grande galoppata, fa solo bene. Lo stesso vale, visto al contrario, per gli asset che sono stati troppo penalizzati nel 2013, come l’oro. Questo primo terzo di 2014, quindi, non ha una natura estrapolativa ma compensativa e risarcitoria.
Il livello di 1850 sull’SP 500 è ben scelto e ben difendibile. Indica una moderata sopravvalutazione se si ragiona astrattamente. Se però si storicizza, se si colloca cioè 1850 in un contesto straordinario di tassi a zero e di Qe globale, la valutazione diventa praticamente perfetta. Se poi si considera che la crescita, dopo un primo trimestre meno deludente del previsto, sta già dando segni di forte accelerazione, si può anche dire che nel breve termine c’è lo spazio per ritentare, questa volta con successo, il superamento di quota 1900. Insomma, mentre solitamente si associa il nervosismo (caratteristica dei mercati in questi ultimi mesi) con la fragilità, in questo caso si può parlare legittimamente di nervosismo nella solidità.
La conferma di un mercato rimasto ancorato a sani principi viene dalla natura selettiva dell’ultima correzione, che ha investito tecnologia e biotech, due settori in cui si annidano alcune società (una minoranza) con valutazioni francamente oniriche. La severità è stata perfino eccessiva, perché ha coinvolto titoli sani e a bassa valutazione. Anche sulle banche ci si è accaniti, punendole per mancanze che erano già attese e scontate da molto tempo. All’ipotesi di un mercato pronto a tentare nuovi massimi possono essere fatte due obiezioni, una importante e l’altra ancora di più.
La prima è che in questo secondo semestre la crescita si indebolirà in Germania e in Giappone. Nel primo caso è un fatto semplicemente stagionale, nel secondo è l’effetto negativo dell’aumento dell’Iva. La controbiezione è che si parte, almeno tra gli economisti, da aspettative basse, in particolare nel caso giapponese. A questo si può aggiungere che in questo trimestre, oltre all’America, anche la Cina accelererà. Nella psicologia dei mercati l’America conta più dell’Europa e la Cina conta più del Giappone.
La seconda obiezione è che su tutto pende la spada di Damocle della crisi ucraina con il suo possibile corollario di sanzioni economiche e controsanzioni fino ad arrivare, nel caso estremo, a un’interruzione delle forniture di gas russo all’Europa. Quello che preoccupa è che tanto la Russia quanto l’Occidente tengono moltissimo all’Ucraina, reputano di essere nel giusto, godono del sostegno delle rispettive opinioni pubbliche e non hanno nessuna intenzione di arretrare. I due accordi precedenti, quello del 25 febbraio che doveva dare vita a un governo di ampia coalizione e quello raggiunto in marzo tra Kerry e Lavrov sono stati violati immediatamente o da una o da entrambe le parti. In queste condizioni sarà difficile ristabilire un minimo di fiducia dopo un eventuale terzo accordo.
Se è vero che nessuno vuol fare precipitare le cose e se è vero che i giocatori sul campo, la Cia e il Gru russo, sono professionisti di grande esperienza, è anche vero che la vivace partita a scacchi in corso in questo momento può sempre degenerare. Dal Vietnam, all’Afghanistan all’Iraq, la capacità analitica dei due servizi d’intelligence ha lasciato molto a desiderare. La speranza, per quanto riguarda le sanzioni, è che l’Europa ha un bisogno disperato di non interrompere l’accelerazione ciclica, mentre la Russia non può fare a meno dei soldi europei se vuole evitare una recessione pesante.
L’Europa ha bisogno di almeno due anni per riconvertirsi al gas trasportato dalle metaniere e la Russia deve pazientare altrettanto per dirottare le sue vendite verso la Cina. Alla fine di questo processo la geopolitica eurasiatica sarà profondamente cambiata, ma per adesso lo scambio tra gas e Mercedes deve andare avanti. Le sanzioni hanno senso solo quando fanno più danni all’avversario che a noi. Se il danno è pari, gli avversari razionali (come sono l’Europa e la Russia) lasciano perdere.
Un’escalation dello scontro porterà certamente danni sui mercati. In compenso, borse e bond hanno già dimostrato la propensione a riporre nel cassetto la questione ucraina non appena questa appaia stabilizzata, anche se su livelli crescenti di tensione. E poi c’è sempre il bazooka, l’arma strategica del Qe europeo. Come ha dimostrato l’esperienza dell’Omt, che siano solo parole o che alla disponibilità teorica seguano i fatti, l’afrodisiaco funziona comunque. Evitando qualsiasi esagerazione rimaniamo sovrapesati di azionario fino a quota 1900. Con molta attenzione agli sviluppi sul fronte orientale.