E’ finita l’era della benevolenza e delle amorevoli cure nei confronti dei mercati finanziari, già considerati l’arma decisiva per sostenere il recupero del mondo dagli abissi della recessione. “Fate caso ai comportamenti dei banchieri centrali. Fino ad un anno fa, dopo ogni correzione al ribasso, non passava più di qualche giorno senza che un membro della Fed intervenisse a calmare i mercati. Adesso non è più così”. Parla così Alessandro Fugnoli, lo strategist di Kairos che da anni ci guida con “Il rosso e il nero” nei segreti del grande gioco globale. Finiti i tempi della Bernanke put e delle amorevoli cure di “colomba” Janet Yellen, pronta a cogliere ogni occasione per rinviare il rialzo dei tassi. All’epoca un calo di 500 miliardi di dollari dei titoli leader del Nasdaq avrebbe scatenato un terremoto. Al contrario, la notizia che i Fang (Facebook, Amazon, Alphabet e Netflix) hanno lasciato sul terreno da agosto 500 miliardi di dollari di capitalizzazione in settimana è passata in pratica sotto silenzio.
Insomma, la festa del Nasdaq è finita?
“Di sicuro il meglio è alle spalle. Ma il mercato, come sempre, se ne accorgerà in ritardo, insistendo sui soliti temi ancora per un po’. Diciamo che siamo alla vigilia di un cambio di temi: non escludo 18-24 mesi di debolezza. Si è invertito il rapporto tra crescita dell’economia e quella degli asset finanziari. In passato la prima è cresciuta poco, gli altri molto. Ora si tratta di ricalcolare i multipli alla luce della nuova situazione”.
Le conseguenze?
“Non mi preoccuperei più di tanto per i colossi di Internet, almeno finché gli utili restano solidi. Per una strana analogia in Europa i titoli del lusso e molte medium cap stanno affrontando una situazione simile. Agli occhi del mercato il Nasdaq europeo è rappresentato dal listino dei titoli del lusso. Tornando a Wall Street, credo che il mercato si debba abituare ad un trend in prospettiva assai meno brillante. Anche se la situazione è complicata. Il rialzo dei tassi sta già producendo conseguenze negative sul mercato della casa e dell’auto. Non escludo che la Fed, in questo scenario, sia costretta a sospendere il ciclo di rialzo dei tassi prima di quanto vorrebbe per mantenere sotto controllo l’inflazione”.
E per evitare di allargare il conflitto con Donald Trump. Come interpretare il duello tra la Casa Bianca e la banca centrale?
“Oggi alla Fed c’è un avvocato, Jerome Powell. Sì, l’ha voluto Trump, ma il presidente non ha l’autorità che a suo tempo hanno avuto personaggi come Volcker o Greenspan, che dominavano il board. E così stenta ad imporsi agli altri, scelti da Barack Obama o, peggio ancora, da George W. Bush, ovvero un repubblicano che odia Trump. Sarà interessante capire il peso che avrà Richard Clarida, il nuovo vice chairman della Fed, un uomo che per carisma e preparazione ha le qualità per svolgere il ruolo che ha avuto Stanley Fischer, la voce pensante della banca centrale negli ultimi anni”.
Clarida, nel suo primo discorso ufficiale, si è schierato contro Trump sostenendo che “se i dati in arrivo saranno come mi aspetto, credo che un ulteriore aggiustamento graduale nel tasso dei fondi federali sarà appropriato”.
“Aspettiamo. Ricordo bene un suo intervento assai incisivo nel 2014, quando spiegò che, dopo una crisi così grave, ci sarebbero voliti almeno cinque anni prima di parlare di rialzo dei tassi. E solo e sottolineo, dopo il ritorno dell’inflazione, non prima come una medicina da propinare in via preventiva al mercato a fronte dell’aumento dell’occupazione o di altri fenomeni che in passato hanno preceduto l’aumento dei prezzi. Non è affatto detto che stavolta si debba seguire quel copione. A pesare sul numero dei rialzi non saranno necessariamente la forza della crescita o il numero in calo dei disoccupati. Al contrario la Fed si limiterà a guardare l’inflazione effettiva: se questa sarà stabile, i tassi non saranno alzati più di tanto”.
Molto dipenderà dalle prossime elezioni di midterm. O no?
“Saranno senz’altro un passaggio chiave anche se, pure in caso di trionfo democratico, ci vorrebbe comunque molto tempo per smontare la riforma fiscale di Trump come dimostra il fatto che, nonostante gli sforzi, lui non è riuscito a scardinare la riforma sanitaria di Obama. La seconda parte del mandato presidenziale sarà in ogni caso più complicata perché il presidente non potrà limitarsi ad agire sul fronte dell’offerta qualcosa si dovrà fare anche sul lato della domanda. Ma la strada sembra segnata: Gli effetti della via fiscale (gli Stati Uniti avranno l’anno prossimo un disavanzo del 6 per cento abbondante) sono sotto gli occhi di tutti: crescita raddoppiata, produttività triplicata, inflazione sopra il due per cento ma non fuori controllo. In prospettiva avremo anche, se si proseguirà su questa strada, una crescita più veloce dei salari rispetto ai profitti e quindi, per questa, via, una riduzione delle diseguaglianze.
Quali saranno le conseguenze per i mercati finanziari?
“Per quel che riguarda gli Usa, ci accorgiamo che stiamo entrando solo adesso nella normalità, con un mercato del lavoro teso ma non ancora troppo squilibrato, una solida inflazione strutturale non ancora troppo alta, un forte impulso fiscale che genera crescita e produttività in accelerazione. Per questo si profila una stagione in cui la politica monetaria farà da ancella a quella fiscale e farà parlare molto meno di sé. Anche le Borse dovranno probabilmente rassegnarsi ad un ruolo meno centrale”.
Si spiega così la minor spinta di Wall Street…
“Le cause della minore vivacità del mercato sono due: la compressione dei multipli e la graduale diminuzione della liquidità per effetto della riduzione del bilancio della Fed. La compressione dei multipli è l’altra faccia del rialzo dei tassi. Il ritiro della liquidità in eccesso nel bilancio della Fed amplifica gli effetti del rialzo dei tassi. I banchieri centrali sono ossessionati dalla paura di non essere in grado di fronteggiare una futura recessione tanto da correre il rischio di provocarne una. Ma , si guarda alle esperienze passate, uno dei rischi principali è che, prima o poi, i banchieri sbagliano ”.
Questo vale per i mercati Usa. Qual è lo stato di salute delle altre economie?
“La situazione sugli altri mercati non è brillante. Il confronto sui dazi, anche nel caso di una schiarita dopo ie elezioni Usa, promette di essere durissimo. Intanto la Cina, che ha interrotto ogni contatto con Washington da almeno due mesi, ha reagito alle tariffe Usa con la svalutazione. Olivier Blanchard ha dimostrato che l’attuale livello dello yuan è sufficiente a compensare l’effetto dei dazi. Non credo, a questo punto, che i democratici sarebbero più morbidi con Pechino. Forse sui dazi ma non sul fronte delle tecnologie. Ormai sta nascendo una cortina di ferro elettronica tra le due superpotenze. La Cina, intanto, modifica il suo profilo di potenza basata principalmente sull’export. E non è una buona notizia per l’Europa: una Cina meno basata sugli scambi, ridurrà gli acquisti anche nel Vecchio Continente, con ricadute sui consumi delle altre economie”.
Un’altra tegola per l’Europa, l’altra area economica fondata sull’export.
“E per questo è anche l’area che rischia di pagare il prezzo più alto nell’attuale stato di incertezza. L’euro, se guardiamo ai dati della bilancia commerciale, è molto sottovalutato. Sarebbe necessario investire i proventi del surplus, ma la Germania si oppone. Del resto, dopo vent’anni di moneta unica sarebbe sensato rivedere i meccanismi dell’euro, ma la situazione è bloccata. E così si aggravano gli squilibri all’interno dell’eurozona, ormai condannata ad una politica di tassi bassi, alla giapponese. C’è da chiedersi fino a che punto Washington lo consentirà”.
L’Europa, insomma, rischia di essere l’anello debole.
“Senz’altro l’architettura europea avrebbe bisogno di un robusto aggiornamento. Basterebbe, per esempio, rileggere la lezione di Keynes che raccomandava di punire i Paesi con un deficit commerciale fuori controllo ma nella stessa misura anche quelli con un surplus eccessivo: l’Unione Europea, pur avendo previsto sanzioni in materia, non è mai passata dalle parole ai fatti”.
In questo quadro le Borse hanno il fiato corto. E’ arrivata l’ora delle obbligazioni?
“Non è escluso un rimbalzo, seppur di portata limitata nelle dimensioni e nel tempo: ad ottobre la stagionalità negativa esaspera le tendenze, ma il fenomeno sarà riassorbita dalla stagionalità positiva di fine anno. Il trend dei rendimenti reali in ascesa sarà una buona notizia per chi comincia ad investire oggi, ma non per chi possiede la vecchia carta destinata a scendere”.
Che fare allora?
“Meglio privilegiare la componente liquida. La soluzione più logica mi sembrano le obbligazioni indicizzate per tutelarsi dall’inflazione. Ma solo sulle scadenze ravvicinate. Potrebbe essere il momento per tornare a prendere in considerazione qualche puntata sull’oro. Ma il mercato è ormai di difficile interpretazione, condizionato com’è dai comportamenti di tre grandi player: Cina, India e Russia. Difficile azzardare una previsione in questo momento”.