Come si vive il Natale a Sidney, a Buenos Aires o a Johannesburg? A Betlemme nelle notti di dicembre si scende fino a zero gradi ed è per questo che i cristiani della Romanitas inserirono il Natale in modo naturale nella tradizione pagana dei Saturnalia, la festa del sole invitto che si celebrava fin dal neolitico a metà inverno. Si trattò, da parte dei cristiani, di un esempio perfetto di quella che gli antropologi chiamano inculturazione, la trasmissione non traumatica di un contenuto nuovo sfruttando la forma di un contenitore preesistente.
Gli inglesi, gli olandesi, i francesi, gli spagnoli e i portoghesi che nel Cinquecento iniziarono a colonizzare l’emisfero meridionale non ebbero, con l’eccezione dei padri gesuiti, la stessa sensibilità antropologica. Il gelo della stalla di Betlemme fu così trasposto pari pari in quello che sotto l’equatore è il periodo più caldo dell’anno. La forza della fede, il fascino della narrazione cristiana e la nostalgia per la madrepatria lontana furono tali da superare comunque ogni difficoltà.
Ancora oggi i paesi di tradizione cristiana dell’emisfero meridionale celebrano e vivono il Natale in forme simili alle nostre. Può accadere di decorare l’abete con il condizionatore acceso, di andare a una messa di mezzanotte all’aperto, di organizzare il pranzo di Natale in forma di picnic in riva all’oceano, ma i riti e le consuetudini non cambiano. Ci si scambiano i regali, si mangiano dolci d’occasione e si sta a casa dal lavoro per qualche giorno in un contesto che assomiglia al nostro Ferragosto. A noi appare surreale, ma funziona lo stesso.
Da poche ore anche la Fed ha iniziato la navigazione che la porterà a passare l’equatore e a cambiare emisfero. Dai mari caldi dell’espansione monetaria, in cui comunque continuiamo ancora a nuotare, verremo trasportati lentamente verso mari temperati. Un giorno molto lontano raggiungeremo di nuovo le acque fredde polari. E se il Natale australe vive di fede e tradizione, e non di ghiaccio e di neve, il rialzo azionario continuerà a vivere di crescita anche se gli verrà lentamente a mancare lo stimolo degli acquisti di titoli da parte della Fed.
Da oggi dunque cambia la rotta, ma la politica rimane espansiva. Quando una superpetroliera diretta verso sud imposta una virata verso nord di 180 gradi, il movimento è a U, non a V. Questo significa che nelle 6 ore in cui viene percorsa la prima metà della lunga curva della U, la nave si trova sempre più a sud, non a nord.
La base monetaria creata dalla Fed era di 900 miliardi prima della crisi. Dal 2009 a oggi è quadruplicata a 3.6 trilioni. Nell’ipotesi più verosimile, una riduzione di 10 miliardi ogni 45 giorni (l’intervallo tra un Fomc e l’altro) nell’espansione della base monetaria, alla fine dal 2014 il bilancio della Fed sarà cresciuto di un altro mezzo trilione e arriverà a 4.1 trilioni di dollari. Questo senza voler contare i 900 miliardi che verranno creati dalla Banca del Giappone, che si è detta pronta, nel caso, ad aumentare ancora la creazione di moneta.
Alla fine del 2014 la base monetaria del mondo sarà comunque di un trilione e mezzo più ampia dell’attuale. Sarà anche di più se la Bce lancerà una nuova operazione di Ltro. Non sono numeri per cui vestirsi a lutto, soprattutto se si considera l’accelerazione della crescita in tutti i paesi sviluppati, Giappone temporaneamente escluso, che si profila all’orizzonte del nuovo anno.
Già, ma chi ci assicura che questa accelerazione ci sarà sul serio? Quale miracolo dovrebbe garantirla quando per tutti questi anni non si è visto altro che crescita debole o, in mezza Europa, decrescita rapida?
Il miracolo si chiama fisco. Il 2014 sarà il primo anno dal 2010 in cui la politica fiscale sarà neutrale invece che restrittiva, con l’eccezione del Giappone. Abituati a nuove tasse ogni anno, i consumatori festeggeranno la tregua con un maggiore ottimismo (o minore pessimismo in Europa). La propensione agli acquisti crescerà, ci sono già segnali evidenti in America e in Germania. Si assumerà di più e negli Stati Uniti il lavoro avrà un maggiore potere contrattuale. Le retribuzioni cresceranno e l’ineguaglianza dei redditi (non quella dei patrimoni) comincerà a ridursi, come è tipico delle fasi mature di un ciclo economico espansivo.
L’aumento del costo del lavoro indurrà presto o tardi le imprese a investire in nuove attrezzature. Gli investimenti produttivi sono stati una delle maggiori delusioni di questi ultimi due anni, ma anche qui, probabilmente, abbiamo toccato il fondo. L’industria mineraria, che è tradizionalmente uno dei maggiori compratori di beni e servizi d’investimento, ha quasi finito di rimpicciolire e deprimere in questo modo i dati complessivi. Altri settori sono in pieno boom. Si pensi solo agli aerei, nel momento in cui tutte le compagnie stanno finalmente decidendo di rinnovare la loro flotta.
Come sempre, anche le cose più positive hanno da qualche parte un lato negativo. In questo caso si tratta dei margini di profitto. Retribuire di più il lavoro e spendere di più in impianti e scorte riduce la percentuale dei ricavi che può essere distribuita agli azionisti o accantonata come cassa. La speranza realistica è che i ricavi crescano più velocemente e che gli utili finali, in assoluto se non in percentuale, siano comunque più alti.
Oltre ai margini, anche i multipli andranno tenuti seriamente d’occhio. La loro espansione, che dura da quattro anni, tenderà ad arrestarsi man mano la politica monetaria passerà da espansiva a neutrale, un processo che richiederà ancora molto tempo. Quanto? Un anno a considerare i flussi (come fa il mercato), due anni a guardare allo stock di base monetaria, come fanno le banche centrali.
Nel breve termine, la reazione positiva delle borse all’inizio del tapering è molto incoraggiante. Le differenze rispetto a maggio-giugno, quando il solo annuncio di un possibile tapering provocò reazioni scomposte e un inizio di crash nel mondo emergente, sono due. La prima è che non c’è più l’effetto sorpresa e c’è al contrario una sorta di sollievo per la fine dell’incertezza. L’atmosfera da Miglio Verde che si respirava nei giorni scorsi nei mercati si è dissipata. La seconda differenza è che i dati macro, attuali e soprattutto attesi, sono oggi molto migliori rispetto a quelli di maggio-giugno.
Il mercato sembra dunque uscito una volta per tutte dalla cappa tossica della dipendenza dalla Fed. Al torpore narcotico del Quantitative easing subentra la consapevolezza di potere farcela da soli. Il mondo, là fuori, fa meno paura. A Washington non si litiga più. In Europa si ubbidisce tutti alla Germania. In Cina la nuova dirigenza appare sempre più forte e orientata a favorire la crescita e il mercato. Il Giappone dovrà passare per la prova difficile dell’aumento dell’Iva, ma Abe è solido in sella e per le società giapponesi le tasse diminuiranno, mentre lo yen sempre più debole aiuterà profitti e competitività.
È fine anno, un momento tradizionalmente favorevole alle borse. Fra poco sarà gennaio, un altro mese storicamente positivo. In questa atmosfera molti saranno indotti a comprare. Il nostro consiglio, a chi è già adeguatamente provvisto di azioni, è di segno opposto. È solo tattica, intendiamoci. Il 2014 ha tutte le carte in regola per chiudersi in rialzo. Come nota però David Bianco di Deutsche Bank, dal 1960 a oggi ci sono stati solo tre anni in cui il mercato non abbia avuto una correzione compresa tra il 5 e il 10 per cento.
Nel 2014, con il tapering in pieno corso, qualsiasi delusione avrà un impatto doppio. Per non parlare degli shock esogeni (come la Libia e Fukushima nel 2011), che da tempo non ci portano più disturbo ma non per questo sono da escludere. Augurandoci naturalmente che nulla accada, potremmo dedicare la prima metà di gennaio ad accumulare un 5-10 per cento di liquidità da spendere eventualmente più avanti nell’anno.
Il tapering toglierà un po’ di forza all’euro e ne restituirà al dollaro. Sarà più che altro un effetto psicologico, perché i tassi resteranno a zero dappertutto. Quanto ai paesi emergenti, periodicamente verranno proposti come alternativa borsistica a buon mercato rispetto all’America. Come nota però giustamente François Trahan di Cornerstone, le performance relative non sono trainate dai multipli, ma dalle politiche economiche. Finché queste politiche non migliorano le borse non si muovono. Per questo, aggiungiamo noi, sarà interessante seguire le elezioni indiane. Un cambiamento di governo potrebbe dare luogo a un forte recupero azionario.
Sarà un 2014 interessante. Auguri a tutti e arrivederci all’anno nuovo.
Allegati: Articolo tratto da Kairos