Fuggire conviene. A dirlo adesso sono i numeri: a quattro anni dalla laurea i giovani che rimangono in Italia guadagnano in media 1.300 euro netti al mese. Quelli che sono andati all’estero ne guadagnano quasi 500 di più, cioè 1.783. In tempo di crisi, in Italia più che nel resto del mondo, a pagare sono soprattutto i giovani.
A snocciolare le crude cifre è un’elaborazione di dati Istat curata da Carlo Barone, docente di Sociologia all’Università di Trento. A comporre la media di 1.300 euro, nel Belpaese, ci sono differenze nette, secondo area geografica e disciplinare: nel Nord Italia lo stipendio medio è di 1.374 euro, contro i 1.306 del centro, vero e proprio punto medio, anche matematico, e i 1.218 del Sud Italia.
Le discipline più redditizie sono quelle sanitarie al Nord e nel Centro Italia, mentre al Sud si fa strada l’ingegneria informatica. Le discipline meno remunerative, invece, sono quelle umanistiche: Educazione, formazione e psicologia al Nord; Lettere, Arte, Lingue, Storia e Filosofia nel Centro e al Sud. Un’altra variabile, forse la peggiore, è quella del genere: ancora oggi le donne laureate vengono pagate considerevolmente meno degli uomini.
Il problema è un problema di mercato, di forbice tra domanda offerta che si fa sempre più ampia: “i posti di lavoro qualificati nel mercato italiano – si legge nel rapporto – sono rimasti uguali a 30 anni fa, ma i laureati nel frattempo sono aumentati. I ragazzi con un titolo universitario sono più dei posti a disposizione per loro”.
La necessità, quindi, non è semplicemente contingente, ma “strutturale: bisogna creare più posti di lavoro per laureati, investendo in ricerca e nel settore della cultura. Non è possibile che nel Paese più ricco di arte al mondo un laureato in Conservazione dei beni culturali non trovi lavoro o venga pagato una miseria”.
La sensazione che si ha, quindi, di un Paeese che non punta sui giovani e non ne valorizza il capitale umano, viene confermata dalle cifre, componendo il quadro di un sistema produttivo conservatore, che investe solamente su manodopera a basso costo.
La famigerata, e a questo punto conveniente, “fuga dei cervelli” è solo la punta di un iceberg ben più profondo, il più classico dei circoli viziosi, descritto dalle parole del professor Baroni: “È un cane che si morde la coda: l’Italia non valorizza i giovani perché non cresce, ma se non cresce è anche perché non punta sulle nuove leve”.
Per invertire la rotta “E’ necessario investire in politiche attive per il lavoro, cioè servizi di formazione continua e di ricollocazione, per mantenere sempre attivi i giovani sul mercato”. Un appello, questo, che riappare ciclicamente, tradotto in tante parole più o meno vuote e in pochissimi fatti concreti.