La dolcezza è una prerogativa che appartiene alla dimensione augurale: questo è il tributo “alimentare” che l’uomo ha da sempre conferito nel passaggio di anno, utilizzando il cibo quale veicolo del messaggio interiore.
Miele, fichi e datteri hanno caratterizzato le preparazioni alimentari della cucina popolare più autentica, cui ben presto si unirono spezie ed uva sultanina. L’elaborazione dei dolci ha da sempre visto invece l’abbinamento con la frutta secca (noci, nocciole, mandorle) cui solo dopo l’arrivo degli Arabi fu associata anche la frutta candita. Questa panacea di ingredienti assume un diverso valore sia antropologico che nutrizionale, tra loro perfettamente compenetrati.
Miele fichi e datteri erano oggetto di dono già in epoca romana, come ci testimonia Ovidio, nel primo giorno dell’anno “Che cosa significano i datteri e i rugosi fichi – chiesi – e il miele che si offre contenuto in candido vaso”; “ne è causa il presagio – disse – affinché il sapore passi nelle cose, e l’anno trascorra dolce come il suo inizio”(Fasti, I, 185-188).
La dolcezza del cibo è traslata in una sensazione emotiva che viene proiettata nella dimensione del tempo futuro. La dolcezza dei fichi non può essere disgiunta dalla sua sacralità, poiché la pianta del fico, sacra alla dea Atena, era testimone del giuramento di fedeltà alla patria dei giovani ateniesi “siano testimoni gli dei….i confini della patria, il frumento, l’orzo, le viti, gli olivi, i fichi “, (“ἵστορες ϑεοὶ..ὅροι τῆς πατρίδος, πυροί, κριϑαί, ἄμπελοι, ἐλᾶαι, συκαῖ”).
I fichi si diffondono nella cucina popolare meridionale non solo come frutto fresco o secco, ma anche come fonte di succo da poter cuocere e concentrare, in sostituzione del mosto cotto, laddove non vi fosse disponibilità né di uve né di miele.
Lo stesso miele, che nel mito di Aristeo, allude alla risurrezione, assume un ruolo sacro nella cultura greca e romana e trova nel buio della fine di anno la speranza di una nuova vita. Molto più ancestrale è il consumo di frutta secca le cui origini risalgono alla primordiale “panspermia”.
Gli ateniesi preparavano per il dio Hermes e per i morti una panspermia, ossia un miscuglio di graminacee immerse nell’acqua e nel miele all’interno di una pentola. Questo gesto riproponeva l’antico rito che i superstiti del diluvio universale avevano celebrato in onore dei loro defunti periti durante il cataclisma.
I semi anche di leguminose (fave) erano sparsi durante le cerimonie funebri affinché i defunti potessero favorire l’abbondanza dei nuovi raccolti e la fertilità dei suoli.
I semi nella cultura greca e protoitalica accompagnano la sequenza morte-vita, quale effetto della scomparsa del seme stesso nel buio della terra per riemergerne come portatore di cibo utile per la vita.
Questo forte legame antropologico si associò ben presto al binomio luce-buio poiché il solstizio di inverno, pochi giorni prima del Natale, sancisce la massima riduzione del buio, prima del ritorno della luce.
I riti del fuoco, così diffusi nella cultura pastorale, coniugano l’azione purificatrice e rinnovatrice della fiamma con il bagliore che prelude alla primavera che verrà.
In questa dimensione il consumo di semi diventa elemento augurale perché nel seme si materializza la vita che nasce dalla morte quando la luce ne favorirà la sua germinazione.
I semi vengono quindi utilizzati nella cucina tradizionale anche per arricchire l’unico alimento povero di cui si disponeva: il pane. I pani si arricchiscono di fonti zuccherine e di semi in modo da costituire il cibo più adatto per la festa e questo spiega l’ampia diffusione di pani natalizi lungo tutto lo stivale (panettoni, panpepati, panforti).
Nel Nord Italia l’uva sultanina e la frutta candita diventano protagonisti dei dolci non per acquisizione diretta delle tradizioni mediterranee, ma per l’influsso diretto della tradizione austriaca così fortemente intrisa degli influssi turchi dopo il lungo assedio di Vienna.
I semi in realtà sono i primi alimenti antistress che l’uomo potesse utilizzare proprio a ridosso di eventi luttuosi quali il diluvio universale o il terrore conseguente al buio del solstizio invernale.
I semi sono i primi integratori alimentari capaci di un buon ripristino del metabolismo umano, innanzitutto per l’apporto di grassi polinsaturi, che ben bilanciavano l’assunzione dei grassi saturi derivanti dal consumo delle carni di maiale sacrificato durante la festa dei Saturnali.
I grassi polinsaturi essenziali sono inoltre necessari per la funzionalità e l’integrità del tessuto nervoso soprattutto in condizioni di stress. I semi si rivelano essenziali per l’apporto di micronutrienti che entrano nella costruzione di enzimi fondamentali per il metabolismo umano.
Percentuale di soddisfacimento della Dose Giornaliera Raccomandata.
Tra i micronutrienti presenti nei semi, senza dubbio il magnesio è l’elemento che maggiormente contribuisce alla sedazione degli stati di stress e di modifiche dell’umore; la vitamina E è inoltre il nutriente che assicura una perfetta funzionalità dei tessuti riproduttivi dell’uomo contribuendo in modo sostanziale all’efficienza della sua fertilità.
I pani arricchiti, poi divenuti panettoni, abbinano all’elemento celebrativo il maggior contenuto nutrizionale in grado di modificare i livelli di soddisfazione emotiva, oltre al maggior contenuto calorico certamente non secondario nei periodi più freddi dell’anno. Nutrizione ed antropologia sono due aspetti non inediti, ma senza dubbio convergenti nell’economia delle festività.
‘Ndocciata di Agnone, un a tradizione legata ad antichi riti della rinascita della luce