“L’unica cosa certa che si possa dire oggi di Donald Trump è che un personaggio ad alta variabilità. Che cosa realmente farà non lo sa ancora nessuno ed è impossibile da prevedere. Dipende da dove si fermerà il pendolo. Se ci va male, arriverà una politica protezionista dura come quella americana che negli anni Venti-Trenta fece enormi disastri e se, al contrario, andrà bene, potrebbe capitarci una sorta di nuova Reaganomics, basata sul taglio delle tasse e sul rilancio degli investimenti in infrastrutture, che certamente alzerà la crescita ma con problemi di deficit e di debito non indifferenti. Molto dipenderà dalla squadra di cui Trump vorrà circondarsi”. Chi parla è un economista molto speciale come Michele Fratianni, fiorentino di nascita ma americano di adozione, che vive e insegna per sei mesi dell’anno in Italia, al Politecnico delle Marche di Ancona, e per altri sei mesi negli Stati Uniti, dove è professore emerito alla Kelley School of Business dell’Indiana University. Ma Fratianni, che ha scritto un’infinità di libri e articoli su riviste internazionali, è speciale anche per un’altra ragione e cioè per aver fatto parte negli anni Ottanta della squadra dei consiglieri economici del presidente Ronald Reagan alla Casa Bianca. Pochi conoscono l’economia e la politica americana come lui ed è per questo che FIRSTonline l’ha intervistato.
Professore, si aspettava la vittoria di Trump alle presidenziali?
“Onestamente, devo dire di no o, almeno, non in quella misura. Avevo percepito che Trump potesse essere vicino al traguardo e che, nel testa a testa finale, lo avvantaggiasse il fatto che la Clinton non riscuotesse molta simpatia nemmeno nei tradizionali feudi democratici, ma non pensavo che Trump ce la potesse realmente fare. Nei giorni della vigilia mi sembrava più probabile un successo di misura di Hillary che, rispetto ad un outsider come Trump, poteva contare sulla sua lunga esperienza, ma alla fine nell’elettorato americano è prevalso lo spirito di rivalsa contro l’establishment e contro la politica di Washington che ha premiato il rottamatore capace di parlare più alla pancia e al cuore che alla testa degli States”.
Ma il vero Trump è quello pirotecnico e impresentabile della feroce campagna elettorale o quello conciliante del primo discorso da futuro presidente?
“Bisognerebbe essere nella sua testa per saperlo ma io non sono il suo psicologo. Allo stato possiamo solo dire che Trump è un personaggio ad alta variabilità. Sappiamo quello che ha fatto finora: è stato un immobiliarista come il Berlusconi delle origini e ha fatto bancarotta, ha avuto una presenza costante nelle tv americane, è estraneo alla politica e, proprio per questo, ha condotto una campagna elettorale da rottamatore molto aggressivo e molto impulsivo. Che cosa farà da Presidente è impossibile da prevedere”.
C’è chi dice che Trump potrebbe ripetere la parabola politica di Ronald Reagan, di cui Lei è stato tra i consiglieri economici alla Casa Bianca, ma c’è anche chi come Enrico Letta è convinto che stavolta la metamorfosi non potrà avvenire: Lei che cosa ne pensa?
“Come ho detto prima, Trump è un personaggio ad alta variabilità e perciò può essere tutto e il contrario di tutto. Mi trovo abbastanza concorde con Enrico Letta perché Reagan aveva fatto il Governatore della California prima di diventare Presidente degli Stati Uniti, mentre Trump è digiuno di politica, e inoltre Letta ha perfettamente ragione nel rilevare l’importanza della squadra che Reagan seppe allestire e che comprendeva personaggi del calibro di James Baker e di Regan. Anche stavolta la squadra sarà fondamentale per il destino del nuovo presidente degli Usa, ma Trump chi sceglierà? Certo la figlia Ivanka sembra molto abile, come personaggi di rilievo sono Rudy Giuliani e il vicepresidente Pence, ma alla fine bisognerà vedere se Trump preferirà circondarsi di yesmen o di personaggi di grande spessore. Non dimentichiamoci poi che negli States i pesi e contrappesi (“checks and balances”) funzionano davvero e perciò Trump, pur avendo grandi poteri, non potrà fare il dittatore. Dovrà venire a patti con il Congresso che, pur essendo a maggioranza repubblicana, non gli assicurerà un consenso automatico. Dovrà convincere e persuadere, arte nella quale Reagan era maestro”.
La preoccupazione più grande dell’Europa e del resto del mondo è che, per assecondare la rabbia della classe media americana e le sue paure per la globalizzazione e l’immigrazione, Trump porti gli Usa lungo una deriva protezionista e isolazionista: quanto è reale questo pericolo e che effetti avrebbe un’America protezionista sull’Europa e sull’Italia?
“Allo stato attuale, davanti alla presidenza Trump sono aperte tutte le opzioni. All’estremità negativa c’è il rischio di una politica protezionistica dura e basata su alti dazi come quella che aggravò la Grande Depressione del ’29 strozzandone il commercio internazionale. Sarebbe una sciagura ma è un’ipotesi estrema, di cui Trump e i suoi collaboratori dovranno valutare attentamente i costi e i benefici, senza dimenticare che anche i mercati vorranno dire la loro. Più che l’introduzione di esosi baluardi tariffari sembra verosimile immaginare una rinegoziazione del Nafta e di altri accordi commerciali. Ma certamente la strada del protezionismo è un’ipotesi che resta in campo e che presenta molti rischi perché, una volta che ci si inoltra per questa strada, le reazioni e le ritorsioni di altri Paesi, che forse non aspettano altro, non si faranno attendere”.
Proviamo a fare invece una prova di ottimismo: all’estremità positiva delle diverse opzioni che stanno davanti alla presidenza Trump lei che cosa intravede?
“L’ipotesi positiva e la mia personale speranza è che Trump, malgrado le perplessità che ho espresso prima, finisca per assomigliare a una sorta di Reagan 2.0, cioè a un Presidente che da rottamatore riesca a trasformarsi in politico molto pragmatico e inclusivo. Reagan, ad esempio, era inflessibile su due o tre punti ma sul resto era molto disponibile. Le cito due esempi che spiegano molto meglio di tante parole lo stile di governo di Reagan”.
Prego, professore.
“Quando facevo parte della squadra dei consiglieri economici della Casa Bianca ricordo benissimo che il presidente Reagan era molto concreto e molto essenziale e che sulle questioni economiche che gli interessavano ci chiedeva ogni volta un memo di non più di 10-15 righe. Ma c’è un altro aspetto che la dice lunga sulla sua abilità inclusiva: Reagan era solito invitare quasi ogni mese alla Casa Bianca il suo più feroce oppositore, Tip O’Neill, un “liberal Democratico” e capogruppo dei Democratici alla Camera. Nei loro incontri periodici, Reagan cominciava offrendo a Tip qualche caramella, poi gli raccontava una barzelletta (che inevitabilmente facevano sorridere il burbero Tip), ed infine andavano alla sostanza, sapendo benissimo che Tip non la pensava come lui su molte cose. Però la strategia del Presidente era di trovare punti in comune purchè non incidessero sui pochi fondamentali Reaganiani. Ovvero, tutti e due sapevano di non poter rinunciare allo zoccolo duro delle loro preferenze, ma rimanevano disposti al dialogo e cercavano un accordo su aspetti dove le preferenze erano meno delineate”.
Che politica economica si aspetta da Trump? Nel suo primo discorso dopo la vittoria presidenziale, Trump ha detto di voler raddoppiare la crescita puntando soprattutto sugli investimenti in infrastrutture che, coniugati alla promessa di ridurre le tasse, possono fare esplodere il debito: o no?
“Spero che Trump pratichi una rinnovata Reaganomics, che di fatto si traduca in una politica keynesiana sugli investimenti pubblici e che, a differenza della prima Reaganomics, sia disposto a rivedere in parte le promesse fatte in campagna elettorale sulle riduzioni delle aliquote fiscali. L’ideale è trovare un giusto mix tra riduzione delle tasse e sostegno agli investimenti in infrastrutture. Certo, come con Reagan, il rischio di allargare deficit e il debito c’è eccome”.
Oltre a ciò, che cosa potrebbe fare Trump per assecondare la classe media, che lo ha portato alla Casa Bianca, senza scassare tutto e senza lasciare un’eredità insostenibile?
“Una qualche dose di protezionismo potrebbe favorire la redistribuzione dei redditi a vantaggio della classe media, però si corre il rischio di veder fuggire i capitali all’estero e di rendere più costoso il finanziamento del debito pubblico. Di sicuro siamo di fronte a scommesse ad alto rischio. Quel che mi pare probabile è che si cambi radicalmente o addirittura si cancelli l’Obamacare, che in Italia viene vista molto diversamente che in Usa, dove la classe media americana è chiamata a pagare per l’assistenza sanitaria premi assicurativi esosi e soggetti a incrementi percentuali annui superiori a due cifre. Un’altra possibile novità della politica economica di Trump sarà la riduzione della regolamentazione in generale e finanziaria in particolare: insomma, meno lacci e lacciuoli per rinvigorire l’attività economica”.
Cambierà la politica monetaria della Fed e l’indipendenza della banca centrale resterà un punto fermo o verrà messa in discussione?
“Certamente Trump non ha molta simpatia per la Yellen che ritiene sia stata troppo accomodante con la Clinton. Non stupirebbe che il presidente della Fed cambi anche prima della fine naturale del suo mandato per far posto a un personaggio più vicino alla Casa Bianca come potrebbe essere il vicepresidente Stanley Fischer. Ma questo è un discorso tutto ipotetico, perché nei fatti bisognerà appurare se a Trump convenga davvero sostituire la Yellen con un personaggio che sia più aggressivo, sia nei tempi che nelle quantità, sull’innalzamento dei tassi”.
I tassi saliranno già a dicembre?
“Non è del tutto chiaro ma, se saliranno, non credo che saliranno di molto”.
In conclusione, per l’Italia e per l’Europa la presidenza Trump sarà più un rischio o più un’opportunità?
“Oggi sembra più un rischio che un vantaggio, perchè Italia (ed Europa), in una visione globale, assomigliano più a un vaso di coccio che a un vaso di ferro. Ma la partita è aperta e quello che sembra verosimile oggi può essere capovolto domani. Di certo la presidenza Trump non sarà all’insegna della continuità”.