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Frascàtula siciliana: la polenta del Sud dalla lunga storia e dal grande sapore

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Parlare di polenta è aprire una finestra sui mondi contadini, sulla cucina della povera gente che lungo tutto l’arco alpino e prealpino  dalla Liguria alla Lombardia, dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia al Veneto, ma anche più giù in Toscana e nelle zone di montagna di Umbria e Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. ha rappresentato l’”oro della tavola”. Ma se Il cereale di base più usato in assoluto è il mais, importato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, già dai tempi dei romani si faceva uso di una polenta a base di farro o segale, e più tardivamente anche con il grano saraceno, importato dall’Asia.

Comunque, anche in pittura la polenta di mais compare nell’opera di grandi artisti come un elemento gastronomico “nordico”: Pietro Longhi, pittore attivo a Venezia e acuto osservatore della vita popolare del suo tempo, raffigura in un dipinto due uomini seduti un tavolo e due donne, una che tiene nella mano sinistra il mestolo con cui si è mescolata la polenta, e l’altra che la sta versando, dal paiolo di rame. Anche l’artista Geremia Adobati, ferrarese,  si ispirò all’”Oro dei poveri”  per il suo dipinto “Aspettando la polenta” che raffigura a un anziano seduto accanto ad una stufa su cui sta cuocendo una polenta, non a caso,  color oro. Come non citare il grande pittore fiammingo Bruegel che ha addirittura nobilitato questo piatto in un suo dipinto, il pranzo di matrimonio, dove si vedono due inservienti servire piatti di polenta ai commensali.

Un piatto povero ma ricco di verdure e cereali in tante versioni dai diversi nomi e tanti gusti (anche con carni)

Stabilita dunque la cultura “nordica” della polenta, va però detto che in Sicilia, anche se lontano dai riflettori virtuali dei grandi artisti, e dalle testimonianze letterarie di illustri scrittori e gastronomi, si è sviluppata nei secoli una cultura della polenta umile ma non per questo meno significativa e saporita. Il suo nome è Frascàtula o friscatuli o anche polenta del sud, è un piatto a base di farina di grano e acqua. È tecnicamente una farinata, ed è l’equivalente della polenta di mais, inserita al n.221 nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani in uso anche nelle cucine di. Basilicata e Calabria.

Le origini sono antichissime. risalgono ai tempi dell’antica Roma, quando si usava cuocere insieme farine di cereali e legumi con le verdure. Il piatto si chiamava in latino “puls farris”.

Nella guerra dei Vespri le donne giravano per le mura di Messina distribuendola ai soldati che resistevano alle truppe francesi

Lo storico Michele Amari parla della Frascàtula nella sua “Guerra de Vestro” e racconta che, le donne del popolo durante l’assedio di Messina da parte delle truppe francesi, sostenevano i propri uomini così: “Donne cresciute in delicatissimo vivere, d’ogni età, d’ogni taglia fur viste a gara sudar sotto il peso di pietre e calcina; e lì, tra il fioccar de’ colpi, recarne a’ lavoranti; girare per le mura dispensando pane e polenta, dissetandoli d’acqua, mescendo vini”.

Proprio per le sue origini povere e diffuse non esiste una vera e propria ricetta unica. Se ne contano tante varianti che accolgono le essenze botaniche dei luoghi di produzione: verdure cotte insieme alla farina di grano e acqua, fino a vere e proprie farinate. E anche i nomi variano con la variabilità relativa al tipo di verdura o cereale prevalente. Tra i cereali usati vi sono anche i ceci, le cicerchie e i piselli. E così abbiamo: patacò a Licodia Eubea, piciocia a Troina e Cerami, mintarrimina nel calatino, chiullu a San Michele di Ganzaria, pulenta a Casalvecchio Siculo, ciciotta a Riesi, farfallu a Adrano.

Fondamentalmente la frascàtula più accreditata si presenta come una polenta di farina di grano duro, di cereali o legumi, preparata come una densa minestra dal nome di puls (polenta) in cui si potevano trovare verdure e carne. Il suo originale nome viene fatto derivare dal francese “flasque” che nel dizionario Garzanti viene tradotto come flaccido, floscio, senza nerbo e che descriverebbe così la consistenza di questa polentina caratterizzata dalla grana spessa.

La versione più semplice della frascatula siciliana si prepara facendo ammorbidire la farina di grano duro in acqua calda. La si lascia cuocere (mescolando continuamente per una decina di minuti) sino ad ottenere la corposità desiderata. Da questo punto di vista è bene accetta da vegetariani e vegani perché alla farina di grano vengono aggiunti solo vegetali, erbe spontanee o anche coltivate. Ma ci sono poi le versioni arricchite di formaggio come avviene a Modica, da carne di maiale o manzo, o salsiccia, lardo e pancetta e anche da pesce come si usa in alcuni paesini del trapanese.

La ricetta della Frascàtula Siciliana

Ingredienti

300 g di farina

1 kg di verdure miste selvatiche (biete, cicoria, borragine, finocchietto) o broccoli, finocchi, misto di ceci e piselli

100 g di pancetta

olio extravergine d’oliva

sale

pepe

Procedimento

Portare a bollore in un litro e mezzo di acqua salata in una pentola quindi immergervi le verdure spezzettate e cuocerle per una decina di minuti.

In un tegame in cui è stato versato dell’olio si pone la pancetta tritata a soffriggere con uno spicchio d’aglio. Quindi si aggiungono le verdure scolate per farle insaporire.

Nel brodo di cottura riportato a bollore si versa la farina a pioggia continuando a mescolare con una frusta per evitare la formazione di grumi fino a che la minestra si sarà addensata. Unire quindi le verdure e continuare a cuocere per qualche minuto. Dopo di che spegnere la fiamma, fare riposare quindi versare il composto in una zuppiera e passare un filo d’olio prima di servire in tavola. Spolverare con del formaggio e una macinata di pepe

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