Aumento del salario minimo, sgravi per i pensionati più poveri e defiscalizzazione delle ore di lavoro straordinarie: alla fine, Emmanuel Macron ha dovuto cedere. E dopo aver sospeso la discussa carbon tax, che ha scatenato la rivolta della Francia profonda, prima sui social e poi – per quattro sabati di fila – nelle strade del centro di Parigi, con devastazioni e migliaia di feriti e di arresti, il presidente francese ha anche deciso, in diretta radiotelevisiva nazionale trasmessa alle 20 di lunedì, di concedere ancora qualcosa alla violenta protesta dei gilets jaunes. Una protesta che è partita con un evento Facebook creato da un giovane automobilista, seguito da un video cliccato da milioni e milioni di persone su YouTube e diventato virale, e infine da una campagna lanciata su Change.org che ha già raccolto oltre un milione di firme, per poi sfociare in piazza, dove però i gilets jaunes (compresi i violenti infiltrati) sono stati molti di meno, al massimo intorno ai 150.000. Il problema, per Macron, è che secondo i sondaggi il 70% di tutti i francesi, anche di chi non partecipa al movimento, è d’accordo con loro.
Al punto che, sempre secondo i sondaggisti, quello che assomiglia sempre di più a un Movimento 5 Stelle francese (nato sul web, dal consenso trasversale e orgogliosamente apolitico) sarebbe già il quarto partito più votato di Francia, se si presentasse alle Europee del prossimo maggio: otterrebbe il 12% dei consensi, ancora lontano dal 21% di La Republique en Marche, il partito della nazione di Macron, ma in piega bagarre con Marine Le Pen, data intorno al 14% (e che sarebbe la più penalizzata dall’eventuale formazione di un nuovo partito), gli ecologisti intorno al 13%, il centrodestra repubblicano con l’11% e il radicale di sinistra Jean-Luc Mélénchon, che viaggia al 9%. Un segnale da non sottovalutare, visto che secondo le stime la feroce protesta delle ultime settimane provocherà anche un danno all’economia francese nell’ultimo trimestre dell’anno. Si tratta di un -0,1%, niente in confronto al -5,3% del secondo trimestre del 1968, in seguito alle proteste del maggio parigino, ma comunque preoccupante.
Così, Macron è passato al contrattacco ed ha annunciato alla nazione che dal 2019 aumenterà di 100 euro al mese il salario minimo (il famoso SMIC), che i pensionati che ricevono un assegno inferiore ai 2.000 euro mensili non pagheranno i contributi e che le ore di straordinari saranno defiscalizzate, così come sarà esente da tasse il premio di fine anno che il presidente ha suggerito alle aziende “che se lo possono permettere” di distribuire ai propri dipendenti nelle prossime settimane. Nei prossimi giorni ci sarà anche un tavolo proprio con le grandi aziende per vedere come Parigi potrà – se potrà – contribuire a questo sforzo straordinario, che serve a dare un segnale forte, anche se Macron ha già detto che non sarà accompagnato dal ritorno della tassa di solidarietà sulle grandi fortune, proprio quella imposta la cui abolizione è costata al giovane inquilino dell’Eliseo la nomea di “presidente dei ricchi”. Adesso Macron, che alle Europee di maggio si gioca tutto (e sulle cui sorti si gioca il futuro dei moderati in Europa), prova di nuovo a fare il presidente del popolo. E’ ancora in tempo?