Quasi cinquanta milioni di francesi, di cui 12 milioni solo nell’Ile de France, la regione intorno a Parigi, sono chiamati alle urne domenica 20 giugno (secondo turno domenica 27 giugno) per le elezioni amministrative. Si vota simultaneamente per le regionali e per le “departementales” (cioè l’equivalente delle nostre provincie): 45,9 milioni di elettori eleggeranno i consigli regionali delle 12 Regioni metropolitane, più i rappresentanti delle assemblee locali della Corsica e di Guadalupa, Martinica, La Réunion e Guyana. Sebbene la tornata non sia così sentita e sarà condizionata dal Covid e dalla stagione estiva alle porte, per cui si prevede una astensione molto alta, si tratta comunque di un banco di prova importante per il presidente Emmanuel Macron, reduce da un G7 da protagonista ma anche da una aggressione fisica subita la scorsa settimana, durante un evento pubblico. Macron è entrato nell’ultimo anno del suo mandato: nella primavera del 2022 si voterà per le presidenziali ed è già tempo di sondare il polso dell’elettorato.
Più che la vittoria nelle singole regioni, che dipenderà anche da successive alleanze (il partito del presidente, LREM, è molto “fluido” in questo senso e in molti Comuni vanta già apparentamenti col centrodestra), a Macron interessa il dato nazionale al primo turno. E i sondaggi non sembrano essere un granché: gli ultimi lo danno intorno al 13-14%, con punte del 16% solo nella Capitale, incalzato dal redivivo Partito socialista che torna in doppia cifra dopo il flop clamoroso delle presidenziali del 2017, quando si fermò al 6%. Tallonano il partito del presidente anche i Verdi, reduci dal successo alle Comunali dello scorso anno e che sono accreditati di un 12% nei sondaggi. Per Macron la brutta notizia è che il gradimento nei suoi confronti è in fase calante, dopo un buon recupero nei mesi invernali, quando i francesi gli hanno evidentemente riconosciuto una buona gestione della fase critica della pandemia, portando LREM, che comunque non ha una vocazione locale, al 18% nei sondaggi.
Tutti i partiti dell’area di centrosinistra rimangono comunque molto lontani dal centrodestra, che stando alle previsioni sarà il vero trionfatore di questa tornata elettorale, quanto meno del primo turno: dovrebbe passare in testa in quasi tutte le regioni, compresa l’Ile de France che una volta era un feudo socialista e che ancora lo scorso anno ha confermato Anne Hidalgo come sindaco di Parigi, ma che già alle ultime amministrative del 2015 aveva ceduto lo scettro, seppur di un soffio. Stavolta invece la vittoria sarà schiacciante: il partito repubblicano, che in molte regioni è alleato con altre formazioni di centro e centrodestra, dovrebbe da solo a livello nazionale raccogliere il 27%, con un trend in crescita grazie all’ascesa di Xavier Bertrand, nuovo leader del partito ma in realtà già ministro con Sarkozy e attualmente presidente della regione Hauts-de-France, dove si ricandida e dovrebbe classificarsi agevolmente primo dopo il primo turno. Il problema sarà semmai il ballottaggio, dove sarà incalzato dal candidato di Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen.
Il leitmotiv in Francia è analogo a quello italiano: meglio un centrodestra unito o ognuno per conto suo? Al primo turno repubblicani e lepenisti andranno divisi quasi dappertutto, con possibili manovre per il ballottaggio anche se in realtà in diverse regioni saranno proprio quei due schieramenti ad arrivarci. Il derby fratricida, che ricorda il Salvini-Meloni italiano, potrebbe ripetersi anche tra un anno alle presidenziali: Bertrand, vista la sua popolarità (è definito il “gollista sociale”), potrebbe persino candidarsi personalmente e rubare consenso sia al presidente uscente Macron che a Marine Le Pen, che probabilmente, per una parte degli elettori, ha assunto posizioni troppo estremiste anche durante la pandemia. Bertrand sarebbe il candidato ideale per evitare all’elettore di destra moderata di doversi “tappare il naso” andando a votare per Macron in un eventuale ballottaggio, come già avvenuto in passato con Chirac e Le Pen padre (in quel caso si “tappò il naso” l’elettore di sinistra…) e proprio con Macron e Marine Le Pen quattro anni fa.
In questa tornata comunque le cose dovrebbero andare meglio ai repubblicani: il partito della Le Pen punta più sul consenso nazionale e ha un radicamento forte solo in poche regioni, ma è comunque favorito dai sondaggi – anche se gomito a gomito con gli “alleati-rivali” – in Bretagna, Borgogna, Centre-Val de Loire e Aquitania. Interessanti i casi delle regioni Ile de France e PACA (Provenza Alpi Costa Azzurra). A Parigi Marine Le Pen è sempre stata debole e nemmeno stavolta si candida a vincere, ma il suo partito è comunque secondo nei sondaggi, anche se con la metà delle preferenze rispetto a Les Républiquains: col 17% l’estrema destra se la gioca però con Macron per il ballottaggio, e potrebbe persino mettere il muso davanti. PACA invece è stato definito il “calderone” della politica francese da Les Echos: la regione confinante con l’Italia è l’unica dove repubblicani e Rassemblement National corrono insieme, con un candidato scelto da RN. La sua probabile vittoria (è al 41% nei sondaggi) rimetterebbe tutto in discussione per le presidenziali. Indebolirebbe Macron “ma soprattutto Bertrand”, sostiene la stampa transalpina, lasciando il centro destra con un vuoto di leadership in vista delle presidenziali 2022. Insomma se Atene piange, Sparta non ride.