Dopo l’Eliseo, il Parlamento. La corsa di Emmanuel Macron, che ha vinto le elezioni presidenziali il 7 maggio e ha nominato un primo governo guidato per ora da Edouard Philippe, non è ancora finita: la Francia ha infatti un sistema semi-presidenziale, con molti poteri nelle mani del Capo dello Stato ma un Parlamento che esprime la maggioranza di governo e il premier, necessari per portare avanti la politica di riforme. L’11 e 18 giugno si rinnova l’Assemblée Nationale, Camera bassa del Parlamento eletta a suffragio diretto (il Senato invece rappresenta le autonomie locali): 577 seggi da riassegnare, con due importanti novità.
DIVIETO DI CUMULO DEGLI INCARICHI – La prima è che a partire da questa tornata entra in vigore la legge che vieta il cumulo dei mandati rappresentativi: non ci saranno più dunque deputati-sindaci, deputati-presidente di Regione o presidente di Provincia. Questo imporrà un corposo rinnovamento del ramo del Parlamento eletto direttamente dai cittadini, visto che nella legislatura uscente l’82% degli eletti ha anche una carica locale: potranno continuare ad esercitarla solo quelli che non hanno un mandato esecutivo, ovvero i consiglieri (municipali o regionali).
In ogni caso, ben 150 degli attuali deputati non si ripresenteranno a giugno: tra di loro anche personalità di spicco come gli ex primi ministri Jean-Marc Ayrault e Bernard Cazeneuve o l’ultimo ministro dell’Economia Michel Sapin. In dubbio c’è stata anche la candidatura di Jean-Luc Mélenchon, attualmente euro-deputato, che invece ha poi deciso di scendere personalmente, in campo forte del suo 19,5% alle presidenziali, candidandosi in tutti i collegi: il risultato di France Insoumise, movimento di sinistra radicale, sarà uno degli aghi della bilancia per la composizione del nuovo Parlamento, soprattutto per capire quanto consenso ancora eroderà al partito socialista o a quello repubblicano, già entrambi inclusi nella maggioranza da larghe intese che ha in mente il nuovo inquilino dell’Eliseo.
UN NUOVO PARTITO – La seconda grande novità è appunto che il presidente si presenta alle legislative con un partito giovanissimo, finora mai rappresentato in Parlamento e che difficilmente avrà la forza di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Nelle ultime tre elezioni (2002, 2007 e 2012) i francesi hanno di fatto confermato i risultati delle presidenziali premiando alle legislative il partito del presidente in carica, ma in quei casi si trattava dei due partiti storicamente di maggiore forza (a seconda degli anni repubblicani e socialisti). Qui invece con un movimento, En Marche!, fondato un anno fa, il rischio cohabitation c’è e di fatto è già stato sdoganato dallo stesso Macron con la nomina di Edouard Philippe, uomo di Juppé, come premier e di Bruno Le Maire, ex ministro addirittura con Fillon, come ministro dell’Economia.
I repubblicani si presentano l’11 giugno in alleanza con l’UDI (unione dei democratici e degli indipendenti), una federazione di 12 partiti dell’area centrista che potrebbe erodere qualcosa al consenso del presidente appena eletto. Il quale però ha già messo in conto tutto, dichiarando appunto che formerà “una maggioranza ampia che vada dalla sinistra di governo ai gollisti”. Questo escluderebbe dunque la necessità di ricorrere a un accordo con Mélenchon, mentre terrebbe conto del Partito socialista, pur reduce dalla peggior performance della sua storia alle presidenziali, col 6,36% raccolto da Hamon. Per i socialisti, che sono il partito di maggioranza uscente con 285 deputati su 577 (maggioranza non assoluta ma virtualmente raggiunta con i 15 seggi della sinistra indipendente e grazie ai 7 seggi vacanti), allearsi con Macron è l’unica strada per fermare l’emorragia e confermarsi al governo, sperando comunque di rialzare la testa dopo la debacle del 7 maggio.
SONDAGGI – Secondo i sondaggi pubblicati di recente da Les Echos sarebbe comunque possibile anche un altro scenario: che En Marche!, sulla scia del trionfo di Macron, possa raggiungere da solo la maggioranza assoluta con una forchetta al momento individuata tra i 249 e i 286 seggi, considerando solo la Francia metropolitana quindi non la Corsica (tradizionalmente di destra) e i territori d’Oltremare (più vicini ai socialisti). La maggioranza assoluta è fissata a 290 deputati. A seguire ci sarebbe l’alleanza repubblicani-centristi con 200-210 seggi (attualmente, mettendoli insieme, hanno 226 deputati), poi il Ps in crollo con 28-43 possibili deputati e infine il Front National col 15-25 (dagli attuali 26, mischiati però con altri in un gruppo misto) e la sinistra radicale che non confermerebbe l’exploit delle presidenziali fermandosi al massimo a 8 seggi (attualmente sono 15). Lo scenario è più che plausibile, visto che tra gli 511 candidati nelle liste di La Republique En Marche (LREM) ci sono esponenti di tutti i partiti, dai MoDem del centrista Bayrou (fatto ministro della Giustizia) a socialisti e repubblicani, anche con la formula delle liste congelate laddove i candidati di Ps e Republiquains hanno già formalizzato il loro successivo appoggio a Macron.
COME SI VOTA – Domenica 11 e domenica 18 luglio si vota in 577 circoscrizioni elettorali (ognuna rappresenta circa 125.000 abitanti), con seggi aperti dalle ore 8 alle ore 18 (le 20 nelle grandi città). Votano tutti i cittadini maggiorenni e lo scrutinio è su criterio maggioritario uninominale, diviso in due turni a meno che all’interno del collegio uno dei candidati non raccolga al primo turno il 50%+1 dei consensi. Sono ammessi al secondo turno solo i candidati che raggiungono il 12,5% dei voti al primo turno. Al ballottaggio possono dunque arrivare in più di due, e vince semplicemente chi prende più voti (in caso di parità perfetta, passa il più anziano).