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Francia, elezioni: conto alla rovescia, sarà lotta a quattro

Sarà battaglia a quattro: questo emerge dagli ultimi sondaggi, a poco meno di una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi. Non sarà dunque lotta a due tra Marine Le Pen e Emmanuel Macron, come sembrava scontato fino a qualche settimana fa (si vota domenica prossima, 23 aprile): il repubblicano François Fillon e il radicale di sinistra Jean-Luc Mélenchon non possono ancora essere dati per morti. Almeno stando appunto ai sondaggi, che negli ultimi grandi appuntamenti elettorali, Brexit e Usa, ci hanno preso poco, ma che stavolta per non sbagliare consegnano ai media francesi una situazione che così equilibrata non è mai stata dall’inizio della campagna elettorale e forse in tutta la storia della quinta Repubblica francese, segnata per lo più dal bipolarismo.

Stavolta invece sono in quattro a giocarsela e la grande novità è che tra i quattro non c’è il candidato del partito socialista, ovvero quello espresso dalla maggioranza uscente: Benoit Hamon è dato ormai solo all’8% e secondo qualcuno starebbe persino circolando la pazza idea di rinunciare alla candidatura per sostenere quella dell’indipendente, e decisamente più sbilanciato a sinistra, Mélenchon, definito da Le Figaro “il Chavez francese” e promotore di un programma incentrato sulla spesa pubblica e su misure draconiane sul piano fiscale, dalla lotta all’evasione alla super tassazione dei redditi alti.

MELENCHON – In particolare Mélenchon, nato in Marocco da genitori franco-algerini, vorrebbe tassare al 100% i redditi superiori ai 400mila euro annui (33mila euro al mese), ovvero di fatto vorrebbe mettere un tetto ai guadagni e aggiungere scalini fiscali (arrivare a 14 dai 5 attuali) in modo che chi dichiara il reddito massimo, ovvero 33mila euro al mese, paghi il 90% di imposte. Il leader di “La France insoumise”, laureato in filosofia, vuole anche tassare i francesi residenti all’estero: nel caso degli sportivi ha anche detto che in caso contrario non vestiranno più le maglie delle nazionali transalpine. Nel suo pacchetto c’è anche l’aumento del salario minimo (SMIC) dagli attuali 1.150 euro circa netti a 1.300, e l’abolizione del Senato.

LE PEN – Mélenchon continua dunque a salire nelle intenzioni di voto, andando a raccogliere la rabbia dell’elettorato più deluso e antieuropeista, alla stessa stregua (ma con soluzioni diverse) di Marine Le Pen, che infatti nelle ultime settimane ha perso qualcosa: oggi quasi un elettore su cinque (il 18,5%) voterebbe l’estremista di sinistra e il 22,5% (contro il 26% di qualche tempo fa) per la leader del Front National, strafavorita all’inizio della campagna elettorale. Le Pen propone un programma marcatamente populista e anti-europeo: vuole abbassare – così come Mélenchon – l’età pensionabile a 60 anni (dai 62 attuali), riservare le politiche sociali (il contributo di solidarietà per i più poveri, i disabili, e l’assegnazione delle case popolari) ai soli cittadini francesi, abolire lo ius soli e inasprire il controllo delle frontiere e la concessione del diritto di asilo, abolire Schengen e il PAC (politiche agricole comuni) per tornare a una politica agricola nazionale. Ma soprattutto la figlia d’arte (il padre Jean-Marie, ora quasi 90enne, raggiunse uno storico ballottaggio nel 2002, perdendo poi da Chirac) auspica un ritorno al franco e se eletta proporrà un referendum per l’uscita dall’Unione europea.

MACRON – L’antieuropeismo è un po’ un filo conduttore della campagna francese: in testa ai sondaggi c’è però l’unico candidato espressamente europeista, l’ex ministro dell’Economia Emmanuel Macron, col 23,5% delle preferenze degli intervistati. Macron, che sempre secondo le proiezioni vincerebbe contro chiunque una volta raggiunto il ballottaggio (al contrario di Le Pen che è data perdente in tutte le combinazioni), è l’astro nascente della politica francese. Non ancora 40enne, è riuscito ad occupare un ampio spazio elettorale lasciato libero dagli estremismi che tanto vanno di moda: pur reduce dall’esperienza col governo Hollande, giudicato disastroso dalla maggior parte della cittadinanza, è stato capace di reinventarsi centrista, o per meglio dire liberal-progressista. Il suo equilibrio piace sempre di più ai francesi, forse proprio perché tra i quattro candidati è quello che cambierebbe meno cose, soprattutto sul fronte internazionale.

Macron vuole infatti che la Francia rimanga saldamente in Europa, che rispetti il patto di stabilità 3% nel rapporto deficit/Pil, è inoltre favorevole ai trattati commerciali atlantici con Usa e Canada (l’unico tra gli 11 candidati) e crede ancora fortemente nella Nato, anzi la lascerebbe così come è opponendosi a nuovi ingressi. L’ex banchiere dei Rotschild vorrebbe anche mantenere Schengen, lo ius soli, l’attuale legge sui simboli religiosi (vietati dal 2004 nelle scuole, il velo vietato dal 2010 nei luoghi pubblici), l’attuale e discussissima Loi Travail (il Jobs Act francese, che tutti gli altri 10 candidati vorrebbero invece rivedere). Anche sulle pensioni Macron è conservatore (è l’unico che le lascerebbe esattamente come sono), mentre le grandi novità del suo programma sono principalmente tre: riduzione del cuneo fiscale per le imprese, ma soprattutto tagli enormi alla spesa pubblica (attraverso in particolare la soppressione di 120mila impieghi) e l’abolizione della tassa sugli immobili per l’80% di quelli che la pagano.

FILLON – Nel gruppo di testa c’è infine François Fillon, ex premier durante la presidenza Sarkozy e sotto tiro ormai da mesi per le vicende giudiziarie relative agli incarichi fittizi assegnati a moglie e figli: questo però non sta impedendo al candidato gollista di rimanere in gioco, al momento al terzo posto nella griglia di partenza col 20% delle preferenze nei sondaggi. Fillon è moderatamente europeista ma è soprattutto il candidato più liberale, quello che propone cambiamenti più drastici sul fronte del lavoro e delle politiche sociali a favore di una riduzione della spesa pubblica: si parte dal taglio di mezzo milione di funzionari pubblici fino all’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni.

Tra i candidati papabili Fillon è ad esempio l’unico che vorrebbe aumentare l’Iva, abolire l’imposta di solidarietà sulle grandi fortune (una tassa che riguarda 340mila contribuenti con reddito superiore a 1,3 milioni, e che frutta alle casse dello Stato 5,2 miliardi l’anno), e addirittura a rendere ancora più favorevole ai datori di lavoro la già criticatissima Loi Travail. Il candidato repubblicano suggerisce anche di dire addio alla storica legge delle 35 ore, la durata di lavoro settimanale più bassa d’Europa e che Mélenchon vorrebbe persino ridurre a 32: Fillon suggerisce di lasciarla agli accordi tra lavoratore e azienda.

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Categories: Politica