L’abbondanza di pannelli fotovoltaici sui tetti d’Italia grazie anche alle agevolazioni del Superbonus ha, in parte trascurato, il problema dello smaltimento a fine vita. Un pannello solare dura mediamente 20-25 anni. Ha bisogno di una manutenzione minima e garantisce buoni rendimenti elettrici.
Chi si è posto il problema, però, dello smontaggio negli anni a venire o della sostituzione oggi di pannelli più vecchi è andato spesso in confusione.
L’Europarlamento e il Consiglio d’Europa hanno voluto fare chiarezza con un’intesa che applica una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue. Il punto dell’accordo, a beneficio di tutti pannelli installati nei paesi Ue, è la retroattività dello smaltimento.
La Corte nel 2022 aveva stabilito che i costi della gestione e dello smaltimento dei rifiuti provenienti dai pannelli fotovoltaici venduti dopo il 13 agosto 2012 fossero a carico del produttore.
Questo in virtù della direttiva sulla responsabilità estesa del produttore per tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici. Le grandi catene costruttrici non possono restare fuori dal sistema di recupero di scarti a protezione dell’ambiente. Gli impatti sono reali e conseguenti a ottimi profitti.
Sembrava stano che dalla grande famiglia di quegli apparecchi fossero esclusi i pannelli che, non solo con il Superbonus italiano, sono stati fortemente incentivati. Che sono elementi strategici per la transizione energetica e rischiavano di non essere gestiti secondo principi dell’economia circolare.
Avanti con il riciclo dei materiali
L’accordo raggiunto a Bruxelles, in altre parole, applica anche ai pannelli la Rep, la Responsabilità estesa del produttore. Una volta smontati, i pannelli si portano nei centri di smaltimento autorizzati e mediante uno smontaggio accurato, si recuperano i componenti che vanno in riciclo. Materie rare che abbassano i costi dei produttori e giovano alla circolarità delle produzioni. Chi li ha installati e usati sulla propria abitazione può stare tranquillo. Ma….
Secondo l’Agenzia Ansa, infatti, l’accordo contiene anche una clausola di revisione entro il 2026 della direttiva, ora integrata. Tre anni di test non sono pochi e non possono indurre nei privati cittadini il dubbio di uno smaltimento (eventuale) a proprio carico. Se le aziende si rifiutano di rispettare le regole sarà il singolo cittadino che ha investito sul solare a dover pagare?