L’antologica, curata da Valerio Dehò con il patrocinio del Comune di Pistoia e della Regione Toscana, presenta in Palazzo Fabroni (via di S. Andrea 18) un percorso che raccoglie 155 tra vintage fotografici in bianco e nero e a colori, opere d’arte concettuali e optical, e “sculture fotografiche”, dove verrà evidenziata l’originalità del pensiero di Chiavacci che trae origine dalla sua originaria vocazione astratta e dal suo concetto binario della forma e dello spazio.
Quando negli anni Settanta Gianfranco Chiavacci si accosta alla sperimentazione attorno alla tecnologia, con un uso non convenzionale della macchina fotografica, riflette una sensibilità condivisa da un grande settore del mondo dell’arte internazionale. La sua attenzione al sistema numerico binario, che l’artista esercita in successive declinazioni, e con diversi medium, a partire dal decennio precedente, esprime il bisogno di sintetizzare un rapporto inevitabile con la “macchina”, tanto nella struttura fisica quanto negli apparati teorici.
Chiavacci elabora in modo autonomo questa tensione (in parte anche autobiografica, legata com’è alla sua professione di programmatore che lo poneva quotidianamente a contatto con l’elettronica) tra l’artista e la presenza ineludibile della tecnologia.
Come ricorda il curatore Valerio Dehò nel suo testo in catalogo: “La fotografia di Chiavacci vuole essere totale non piatta e banale, ma rivela da un lato tutta la sua fisicità di chimica e fisica che interagiscono con la luce dal bianco del non esposto al nero del completamente esposto. Inoltre può anche diventare astratta, in quanto non più legata all’emotività, al ricordo, al fermare le sensazioni fuggenti, uscendo così dal naturale scandendo “un percorso per ritrovare l’artificiale creazione ed espansione dell’esperienza fisica.”
L’opera, ogni opera d’arte, si afferma come deviazione rispetto a un sistema di regole. Ed è esattamente quanto avviene nelle fotografie di Chiavacci, nel momento in cui la luminosità, il colore, gli effetti del movimento vengono resi secondo una possibilità compresa dallo strumento (questo è il metodo) ma non prevista dalle sue regole (ed ecco il linguaggio).
Gli oggetti astratti che compaiono nelle stampe fotografiche contengono un carattere bidimensionale che va oltre la loro natura fisica. Siamo negli anni Settanta e Chiavacci intravede nella semplice azione di fotoimpressione della pellicola futuri accessi alla tridimensionalità digitale. Così, la ricerca quasi cinquantennale di Chiavacci intorno alla “grammatica binaria” (un percorso articolato, ricchissimo di variazioni e deroghe da se stesso) diventa più chiara e più efficace visivamente proprio nella fase in cui si discosta dalla rappresentazione in codice.
Parlando di se stesso, Chiavacci ricordava come “mi venne spontaneo pensare a un lavoro nel quale fosse possibile ottenere il massimo delle modificazioni con una grammatica o sintassi rigide, precalcolate, e quindi di creare, al posto del bit elettronico, il bit spaziale”.
“Fotografia totale” fornisce una sintesi di una ricerca durata cinquanta anni e testimonia di un rigore, affatto formale, che sorprende al pari della sua straordinaria capacità di sperimentare soluzioni e percorsi nuovi, usando numerosi materiali e altrettante tecniche espressive.
Gianfranco Chiavacci nasce il 1 dicembre 1936 e muore il 1 settembre 2011 a Pistoia, città dove ha sempre lavorato e abitato.
Interessato all’arte storica fin da ragazzo, nei primissimi anni Cinquanta inizia a dipingere, prima da semplice autodidatta osservando le opere del passato e poi, seguendo le mostre e sempre più l’ambiente artistico toscano, traendo ispirazione da quelle di arte contemporanea. Le sue prime opere pittoriche sono della metà degli anni Cinquanta e mostrano un interesse per il clima informale di quegli anni e per la lezione dell’astrattismo internazionale che conosce tramite cataloghi e riviste. Si avvicina alle esperienze di Arte Visuale e Cinetica con i cui esponenti viene in contatto a Firenze, in particolare nella Galleria Numero di Fiamma Vigo, vivace luogo di dibattito sui problemi della ricerca artistica. Nel 1964-65, inizia un rapporto di amicizia e di collaborazione sul piano teorico con il conterraneo artista Fernando Melani che durerà fino alla morte di questi nel 1985.
Nel 1962, per motivi di lavoro, inizia a frequentare i corsi IBM per programmatore e questo lo introduce al pensiero scientifico di cui si trova riscontro nei primi tentativi di mutuare il linguaggio informatico in pittura. L’impiego del linguaggio binario, sugli allora mastodontici elaboratori elettronici, e lo studio della sua logica trova applicazione già nei primi lavori del 1963. L’assunzione della binarietà, definita dall’artista stesso “come logica a due stati e come tecnica-processo strumentale per creare e indagare sperimentalmente il mondo formale attinente alla bidimensionalità” diviene nucleo fondante della sua ricerca teorica e operativa fino agli ultimi lavori del 2007 quando dichiara di essere giunto a uno stato conclusivo.
L’artista non usa mai la macchina informatica per la produzione delle opere ma la logica binaria a essa inerente come processo logico-esecutivo; quindi il suo interesse non è per la tecnica ma per il pensiero che la sostiene. La vasta produzione artistica è spesso accompagnata da testi teorici presentati autonomamente o in occasione di esposizioni personali.
Particolarmente interessante è la ricerca iniziata nei primissimi anni Settanta che riguarda la fotografia che pratica da sempre e di cui conosce i principali esponenti e sperimentatori storici delle avanguardie e del dopoguerra. Anche in questo caso Chiavacci è interessato alla logica del mezzo, al processo esecutivo della nascita dell’immagine fotografica, alla possibilità di intervenire sugli aspetti linguistici e alle capacità di astrazione dell’immagine. Questa ricerca, che durerà con costanza fino a metà degli anni Ottanta, si svolge parallelamente a quella pittorica; seppur più sperimentale, al pari di questa giunge a risultati qualitativamente molto alti e interessanti dal punto di vista innovativo.
Attuata sia con mezzi semplici che con tecniche e materiali sofisticati offre risultati inediti in campo italiano, in quegli anni ancora pioneristici per questa disciplina. La produzione fotografica di Gianfranco Chiavacci abbraccia non solo riflessioni concettuali sulla processualità fotografica ma ricerche sul movimento dell’oggetto nello spazio, sulla dimensionalità, sul colore e sulla definizione di tempo: tutto questo in sintonia con le speculazioni del migliore pensiero di quegli anni. Nel 1977 nel testo Fare fotografia rende pubblica la teorizzazione e i risultati del suo lavoro.
Nel 2007 in una vasta mostra antologica a Pistoia per la prima volta vengono posti a confronto i due percorsi, quello pittorico e quello fotografico.
GIANFRANCO CHIAVACCI
Fotografia totale
8 dicembre 2013 – 9 febbraio 2014
Pistoia, Palazzo Fabroni – Arti visive contemporanee (via Sant’Andrea 18)
INFO www.comune.pistoia.it/musei