Cinquemila ore di formazione, 146 corsi e 1.400 giovani formati, 250 soggetti coinvolti nel trasferimento tecnologico, 12.544 campioni di vini analizzati e 18 progetti europei avviati con imprese del territorio. Sono questi alcuni dei numeri più significativi che vanta Treviso Tecnologia, azienda speciale nata come braccio operativo della Camera di Commercio di Treviso, che nel 2011 ha raccolto risorse per 3 milioni e 600 mila euro dedicandosi alla ricerca, all’innovazione e soprattutto, parola del presidente Vendemiano Sartor, “a creare un sistema di collegamento tra le università e i centri di ricerca e il tessuto produttivo” della provincia veneta, all’avanguardia in questo senso nel panorama regionale e nazionale.
Treviso Tecnologia, nata come ente pubblico ma prossima a diventare una realtà consortile allargata al privato ed altre realtà del Veneto e del Nord-Est, è infatti un esempio unico in Italia come punto di riferimento per ricerca, formazione e difesa della proprietà intellettuale. “La cultura sta già cambiando – dice Sartor – e il Forum Ambrosetti ne è la dimostrazione: è un’ulteriore occasione per un percorso già avviato di fare rete, perché per le imprese la ricerca non è e non deve essere un costo, ma un investimento”.
La crisi, infatti, come emerso da tanti contributi nel corso del Technology Forum di Ambrosetti di Castelbrando (Tv), parte “dalle università: dovrebbero specializzarsi sempre di più, formare e selezionare le eccellenze, e puntare sulla ricerca di applicazione, quella che porta direttamente alla creazione di prodotti, di lavoro e di benefici economici”.
Le opportunità di andare avanti infatti ci sono. Soprattutto in una regione come il Veneto, che “vanta da anni un settore manifatturiero trasversale e d’eccellenza, quindi sbocco ideale per applicare le invenzioni tecnologiche. Le nostre piccole e medie imprese sono straordinarie, flessibili e veloci, e a testimoniarlo è il fatto che un terzo del Pil veneto è rappresentato dalle esportazioni, segno che il sistema funziona”.
Uscire dalla crisi si può, anzi da parte loro le aziende lo hanno già fatto: “Anche all’inizio degli anni 2000 – spiega ancora il presidente di Treviso Tecnologia – le imprese di questo territorio hanno sofferto terribilmente l’allargamento dell’Ue e la concorrenza cinese, ma si sono salvate grazie alla cosiddetta “innovazione incrementale”, ovvero quella che incide sia sul processo produttivo, reso più efficace e meno costoso, che sul prodotto, sempre più qualitativo, specializzato, altamente tecnologico. E grazie a questo processo il Veneto e in generale in Nord-Est eccelle tuttora nella moda, nel legno-arredo, nelle nanotecnologie, nella metalmeccanica elettronica. Il problema però è che mentre il sistema produttivo si è arrangiato – prosegue Sartor – la università e i centri di ricerca, che dovrebbero costituire l’humus di tutto questo, sono rimaste tremendamente indietro, continuando a fare ricerca “teorica”, su libri e pubblicazioni e non sulle applicazioni industriali”.
Se è vero dunque che le imprese, per fare il salto di qualità, hanno bisogno delle università, è altresì incontestabile che “le università necessitano delle aziende e a loro dovrebbero rivolgere la loro attività per sopperire alla mancanza di risorse pubbliche, che non ci sono più”.
Inutile piangersi addosso, dunque, o scaricare colpe sui provvedimenti del governo, sul regime fiscale e burocratico, o sulla concorrenza di Paesi in via di sviluppo. “E’ chiaro – dice Sartor – che questi fattori hanno contribuito e tuttora contribuiscono negativamente. Soprattutto la burocrazia e la cattiva gestione pubblica. Le dico solo un dato, ufficiale: è stato di recente appurato che tutti gli incentivi dati alle imprese a livello nazionale sono esattamente pari al gettito dell’Irap. L’evasione fiscale è una cosa seria e va combattuta, ma se i soldi distribuiti tornano tutti indietro è un problema per gli imprenditori”.
“Così come ritengo che il governo abbia finora fatto troppo poco sulla spesa pubblica, che va riqualificata, e spesso ha anche sbagliato con quello che io chiamo “terrorismo mediatico”. Ovviamente questo è anche colpa degli organi di informazione, che non fanno altro che seminare il panico con notizie pessimistiche”, afferma Sartor, chiude con una battuta (ma neanche troppo): “Io lo dico sempre, scherzando ma non troppo: chiudiamo i giornali e i siti internet per sei mesi e l’Italia si riprende”. Sartor dixit.