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Formula 1, un grandissimo Alonso fa volare la Ferrari

Il Gp d’Europa corso a Valencia, gara numero 8 di un rosario interminabile cui ne mancano ancora 12 prima di concludersi a neppure un mese da Natale, ha detto questo: al comando c’è Fernando Alonso, unico pilota finora ad avere vinto due volte, ma soprattutto conquistador lucidissimo e in forma sensazionale, garanzia numero 1 di una Ferrari partita malino e oggi competitiva quasi quanto le monoposto migliori. Si parla di monoposto e non di squadra e a ragion veduta: pur deluso a inizio campionato dal valore tecnico non eccelso della monoposto F2012, che era attesa invece come l’arma totale, il team rosso non ha perduto tempo in autocommiserazioni e ha messo in pista uno sviluppo pazzo e disperatissimo.

In Formula 1, recuperare terreno sui team migliori è impresa più che ardua: un team che punta al titolo iridato deve garantire un miglioramento medio di un decimo a gara, calcolato nel tempo sul giro. La Ferrari ha debuttato in campionato con un gap negativo vicino al mezzo secondo nei confronti di McLaren e RedBull; qualcosa in meno su Lotus (ex-Renault) e Mercedes, comunque anch’esse in vantaggio sulle Rosse. A oggi, tutto o quasi questo svantaggio è recuperato, e non è che i team avversari abbiano lesinato in progressi tecnici, nuovi pezzi, nuove idee. La squadra è tornata a essere la più organizzata e precisa: gli errori a raffica al pit-stop, quest’anno, sono quasi un’esclusiva dei team inglesi. E anche questo significa implicitamente che la Ferrari in vista della boa di metà campionato (sarà in Germania il 22 luglio) ha fatto bene, molto bene i compiti a casa.

A garantirglieli fatti bene in pista c’è un certo Alonso. Secondo molti, il miglior Alonso di sempre. Freddo e analitico, quasi immune da quegli errori pur rari nella sua luminosa carriera. Veloce e affamato di successo quasi che la memoria dei suoi titoli iridati (1995 e ’96, con la Renault della gestione Briatore) gli faccia a volte cilecca. Fernando prova e affronta la qualifica, parte in gara e tenta il sorpasso, interpreta la tattica e inventa sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di più: tutto con la foga, la grinta e la rabbia di un giovane pilota che deve dimostrare di che pasta è fatto. E invece la Formula 1 sa benissimo chi è cosa è Alonso: un campionissimo stufo di rinunciare al titolo a fine anno; stufo anche di un digiuno da ferrarista originato in uno strampalato giorno di autunno 2010, quando un colossale errore di strategia al muretto del Cavallino lo costrinse a un GP di Abu Dhabi di pura depressione, finendo per regalare (il verbo non è esagerato) quel titolo a Sebastian Vettel e alla RedBull. Se quel pomeriggio nei toni ocra del tramonto mediorientale fosse scivolato nel senso che tutti si attendevano, Alonso sarebbe diventato campione al suo primo anno in Ferrari. E invece…

Invece la Formula 1 più globale di sempre (quest’anno si corre più in Asia che in Europa, e il ritorno negli Stati Uniti torna ad ampliare il mappamondo dei GP), letteralmente reinventata dal monogomma Pirelli che assicura gare punteggiate di cambi gomme e avvicendamenti di ritmo, alternanze di superiorità momentanea che regalano record sul giro a raffica e con nomi sempre nuovi, guarda diretta al futuro sulle certezze del nuovo-che-avanza color rosso Ferrari. Il nuovo meno nuovo che si possa immaginare: nessuno dei team oggi in pista esisteva nel 1950, quando il Mondiale prese il via e il Cavallino era già in campo. Eppure, a questo nuovo in salsa italiana tutta la Formula 1 sta tornando a guardare con timore. Dopo 7 gare vinte da altrettanti piloti diversi, a Valencia Alonso è stato il primo ad annerire la seconda casella personale con il 25 dei punti del punteggio pieno. E ci è riuscito con una Ferrari tornata a macinare tempi e a mettere ansia sulle spalle di chi la precede, arrivando magari a rompere parti meccaniche (in una F.1 in cui i ritiri per cedimento sono ormai rarità) proprio come è accaduto a Valencia alla RedBull di Vettel prima e alla Lotus di Grosjean poi. 

Ecco perché parliamo di nuovo-che-avanza. Che, riassumendo, è il rosso-che-avanza. Con fiducia, piedi a terra e nessuna paura di ammazzarsi di lavoro. Tanto, al resto, ci pensa un certo Alonso.

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