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Formazione: in Italia solo il 26% dei giovani è laureato contro il 43% dei Paesi Ocse

Imagoeconomica

Nei giorni scorsi è stata presentata alla Sapienza di Roma la XXI Indagine del consorzio Interuniversitario Alma Laurea su “Profilo e condizione occupazionale dei laureati del 2018”. Si tratta di un’importante indagine che viene annualmente prodotta da oltre due decenni e che mette a fuoco uno dei fattori cruciali dello sviluppo del Paese: i risultati dell’attività di formazione di capitale umano. Per far ciò viene contattata la quasi totalità della popolazione studentesca laureatasi nelle università italiane. Rispetto al Profilo la rilevazione riguarda il 90% dei laureati in 75 Atenei italiani  (280.230 studenti). Per la Condizione occupazionale, invece, i laureati coinvolti sono oltre 630.000 e riguardano soggetti ad anni diversi dal conseguimento dei diversi titoli di laurea.

Un riferimento statistico, quindi, straordinariamente significativo, che offre quadro denso di punti critici, che si aggiungono ai dati già forniti dall’OCSE  (Education at glance, 2018) sul ritardo che caratterizza il sistema di istruzione italiano rispetto al ritmo dei sistemi scolastici e universitari dei paesi più industrializzati e di quelli in via di sviluppo. Non bisogna dimenticare, infatti, che in questi paesi si sta decisamente investendo nella formazione di nuove competenze da inserire nei processi d’innovazione che stanno interessando l’economia globale. In Italia, invece, la spesa pubblica complessiva per l’istruzione è la più bassa tra i paesi dell’OCSE e solo il 26% dei 25-34enni italiani sono laureati, contro il 43% della media dello stesso gruppo di paesi. 

Venendo all’indagine di Alma Laurea, essa aiuta a capire come l’attuale situazione della formazione universitaria contemporanea in Italia contribuisca a peggiorare il già precario stato di salute sociale ed economica del paese, incidendo soprattutto sulle prospettive che si stanno gradualmente formando. Limitandoci a evidenziare solo alcuni tra i principali problemi approfonditi nell’analisi: 

– La crisi colpisce ancora e non risparmia il lavoro qualificato: nel 2018 il tasso di occupazione dei laureati di primo livello a un anno dal conseguimento del titolo, ad es., è pari al 72,1%, ancora di molto inferiore a quello registrato nel 2007 (82,8%) e seppure in leggera ripresa rispetto al valore minimo del 2011 (65,7%). Per oltre un quarto dei laureati, in sostanza, il conseguimento della laurea non è sufficiente a inserirli nel mercato del lavoro. Un laureato di oggi guadagna in media meno che nel 2007. Infatti, nel 2018 la retribuzione mensile netta percepita a un anno dal titolo, è diminuita di circa il 10% rispetto al 2007. Ora si guadagna tra i 1.100 e 1250€, un decennio addietro tra 1250 e 1350€ circa. 

– Permangono le disparità di genere, di origine territoriale e sociale: le donne, che rappresentano il 58.7% del totale dei laureati, guadagnano 84€ netti al mese in meno rispetto agli uomini. A un anno dalla laurea, al nord si guadagnano 147€ netti mensili in più rispetto a un laureato che lavora al sud. Tra i laureati c’è una netta “sovra-rappresentazione” dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti dal punto di vista socio-culturale (genitori con laurea, imprenditori, ecc.). Il disagio, cioè, e le disuguaglianze permangono consistenti. 

 La mobilità negli studi contribuisce a desertificare di giovani e competenze il Mezzogiorno: osservando, infatti, chi decide di studiare in un’altra ripartizione geografica solo il 2.5% dei diplomati al Nord decide di laurearsi in altra regione del paese. Nel Mezzogiorno i giovani diplomati che scelgono di laurearsi in Atenei del Centro o del Nord sono ben il 26.4%. Questo sta a significare che il Sud perde ogni anno un quarto dei diplomati sul proprio territorio. A ciò si aggiunge che solo il 47.7% di quanti si sono laureati nel 2013 ha studiato e lavorato nella propria area di residenza, mentre ben il 52.3% ha sperimentato una qualche forma di mobilità nella fase di lavoro: nell’uno e nell’altro caso si tratta di un processo di impoverimento sociale di proporzioni gigantesche per il Mezzogiorno.   

Questi pochi ma importanti dati ci consegnano un serio allarme per il futuro del Paese. Da un lato ripropongono, anche dal punto di vista della disponibilità di capitale umano di qualità, la gravità delle condizioni del Mezzogiorno. Dall’altro, richiamano problemi che riguardano particolarmente le fasce della popolazione più giovane e intraprendente del paese: le generazioni che costruiranno il futuro e che hanno il compito di coltivare il mondo del sapere e delle competenze. Un mondo che ha radici lontane nel nostro paese e al quale va affidato un ruolo fondamentale come fattore di innovazione e come elemento di connessione del contesto nazionale con le principali realtà scientifiche ed economiche che si vanno affermando sulla scena globale. 

Non si vede alcun segno di attenzione da parte delle forze politiche di governo per affrontare i problemi che conseguono da questa situazione. Il silenzio è assordante. E non si comprende, o non si vuole comprendere che, per il Mezzogiorno e per la formazione di capitale umano – fattori imprescindibili per avviare lo sviluppo – sarebbe richiesta un’ampia e strutturale proiezione internazionale del paese, costruita nell’ambito di un disegno europeo di crescita e con un forte impegno di risorse da investire. 

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