Immaginate un ristorante… senza ristorante. Sembra un controsenso, ma nell’era dell’economia di Internet e del boom del food delivery, può accadere anche questo. E cioè che alcuni ristoranti tradizionali, ovvero che servono cibo ai clienti seduti al tavolo, scelgono di aprire un sotto-ristorante, che esiste solo online (ghost restaurant). Oppure che addirittura non ci sia nemmeno il ristorante di base, ma solo una cucina “fantasma” (dark kitchen), nella quale preparare esclusivamente i cibi da affidare ai famosi rider, che poi li consegneranno a chi ha ordinato online. A mettere per primo gli occhi su questo business emergente, che va oltre i vari Deliveroo, Foodora, e Glovo, è stato quella vecchia volpe di Travis Kalanick, fondatore di Uber (dalla quale non a caso aveva creato Uber Eats) e ora pioniere della ristorazione 2.0 con la nuova creatura CloudKitchens, una app che affitta cucine dedicate alla consegna.
La nuova scommessa di Kalanick è di portare a domicilio non solamente sushi, pizza o patate fritte, ma far nascere una nuova generazione di ristoranti virtuali. Posti dove si cucina solamente, senza insegna e senza clienti ai tavoli. Attività che, riducendo di parecchio le spese di apertura e ottimizzando quelle per il personale (niente più camerieri, capisala, addetti alla cassa e alle pulizie), raccolgano senza mezzi termini quella che è ormai la vera tendenza di oggi: non più andare fisicamente al ristorante, possibilmente nemmeno cucinare a casa, ma farsi portare il cibo a domicilio. Un mercato, quello del food delivery (quindi cibo consegnato a domicilio, senza contare il take away), che nel 2018 valeva 1,1 miliardi in Italia e 74,9 miliardi nel mondo, con la previsione di superare gli 86 miliardi quest’anno. Il food delivery online in Italia è cresciuto del 71% nel 2017, del 69% nel 2018 e di un altro 68% stimato per il 2019.
La creatura dell’ex CEO di Uber, che per lanciare la nuova avventura ha venduto negli ultimi due mesi il 90% delle azioni di Uber in suo possesso, incassando 2,26 miliardi di euro, non è tuttavia l’unica ad aver intercettato la nuova frontiera della ristorazione, e cioè di tante micro attività specifiche, che noleggiano le cucine solo per il tempo necessario a preparare i piatti da consegnare a domicilio. Da un paio di anni, per esempio, la stessa Deliveroo ha lanciato Virtual Brands, progetto dedicato ai ristoranti che permette di aprire un’attività virtuale per proporre nuovi piatti e nuovi tipi di cucina che difficilmente possono essere abbinati all’attività tradizionale. Secondo la piattaforma, si tratta di una soluzione che in alcuni casi porta ai ristoranti un aumento di fatturato fino a oltre il 400%.
A Londra è invece nata Karma Kitchen, mentre Kitchen United, startup sostenuta da Google, prevede di aprire più di una dozzina di cucine dedicate alla consegna negli Usa, facendo pagare una quota associativa mensile che include locali, servizi di back-of-house, come la lavastoviglie, e accesso al suo sistema tecnologico per l’elaborazione di ordini online da una gamma di app di consegna. Nell’era della sharing economy, persino il cibo sta diventando virtuale.