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Fondi per la coesione, faticoso accordo Italia-Ue

A causa di Sicilia, Campania e Calabria rischiamo un taglio dei 43 miliardi destinati all’Italia tra il 2015 e il 2020 per il partenariato. Negoziato complesso e difficile

Fondi per la coesione, faticoso accordo Italia-Ue

Le premesse non sono delle migliori. Per responsabilità nostra, certo. Ma offrono lo spunto a chi non ha in grande simpatia l’Italia e gli italiani (o forse ancora di più a chi ha qualche interesse a un affievolimento della quantità di fondi europei indirizzati al nostro Paese) di lasciarsi andare a commenti non proprio benevoli. Qui si parla dell’accordo di partenariato con la Commissione Ue per la programmazione e l’impiego dei fondi europei relativi alla politica europea di coesione. Ossia di una massa consistente di risorse (in totale sono 43 miliardi di euro) che fra il 2015 e il 2020 saranno indirizzate verso l’Italia. E che rischiano però di subire un taglio a causa di una – come chiamarla? – “distrazione” di tre Regioni: Calabria, Campania e Sicilia.

La firma dell’accordo, poi, è giunta a fine ottobre, al termine di un defatigante negoziato fra Roma e Bruxelles che si è protratto per sei mesi, ossia da quando i documenti che contenevano il primo abbozzo delle Regioni in questione, insieme con quelli di tutte le altre Regioni, sono stato inviati alla Commissione di Bruxelles. Documenti in cui si leggono, fra le osservazioni della Commissione,  espressioni come “scarsa capacità amministrativa” o, con riferimento alle proposte riguardanti l’agenda digitale, “nessuna strategia”. Con la conseguenza che, nel documento finale dell’accordo, è stata aggiunta una clausola di compromesso là dove si accenna a un “rafforzamento” degli obiettivi e delle strategie.

Anche in questa fase del negoziato, quindi, si è avuta conferma di quanto complesso sia il processo decisionale da questa parte dell’Europa. E questo nonostante che in ballo ci fossero quei 43 miliardi di cui sopra e una scadenza ormai superata. Come che sia, quella somma, pur se spalmata fino al 2020, potrà essere molto utile in una stagione di austerità qual è questa che l’Italia sta attraversando.  Anche perché ancora nessuno sa quale strada imboccherà la nuova Commissione nella disputa fra rigoristi e anti-rigoristi.

Intanto, nell’attesa, non si può fare a meno di osservare che la Commissione nel definire le regole di funzionamento degli accordi di partenariato (e dei successivi piani operativi ai quali si ispireranno le realizzazioni), pur nel contesto di obiettivi apprezzabili (la lotta alla disoccupazione, gli incentivi per la competitività, amministrazioni pubbliche capaci di sostenere efficacemente gli investimenti, il supporto per l’innovazione, la formazione e l’istruzione) non ha rinunciato all’abituale sovrabbondanza di controlli procedurali.

Quanto alla distribuzione delle risorse che nei prossimi sei anni toccheranno all’Italia, c’è una novità rispetto alla precedenti programmazioni pluriannuali, che erano dichiaratamente indirizzate alle regioni in ritardo di sviluppo (criterio che nel tempo era stato oggetto di alcune correzioni), questa programmazione rafforza il risvolto sociale, e quindi il peso del Fondo sociale europeo. Resta il fatto, comunque, che alla politica di coesione andranno 32,2 miliardi. Mentre un’altra quota abbastanza consistente (10,4 miliardi) sarà destinata al Fondo di sviluppo rurale. E infine poco meno di 500 milioni saranno la dote per gli affari marittimi e la pesca.

Resta sospesa infine la questione riguardante le “dimenticanza” di Calabria, Campania e Sicilia. “Un paradosso. Addirittura tre delle quattro regioni italiani dove il Pil pro capite è più basso e il tasso di disoccupazione più alto, e che quindi hanno un più forte bisogno di sostegno finanziario ”, commenta amaro con Firstonline l’eurodeputato siciliano Giovanni La Via, del gruppo parlamentare Ppe (Ncd in Italia), componente della commissione Bilancio e presidente della commissione Ambiente.

“Ma una spiegazione c’è”, prosegue La Via. “Ed è che la giunta siciliana sta attraversando una delle ricorrenti fasi di rimpasto, con il presidente Crocetta che continua a ingaggiare tecnici per la sua giunta. Ancora però non si è reso conto che mettere un tecnico a fare l’assessore può anche andar bene, ma purché capisca qualcosa di amministrazione pubblica e di procedure…”.

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