Se è vero che i costi sono tra i fattori che di più incidono sui rendimenti finali di un investimento a lungo termine, è altrettanto vero che ci sono pochi investimenti con un orizzonte temporale più lungo di quelli fatti in ottica previdenziale. Partendo da questi due assunti si capisce perché le commissioni degli strumenti del secondo pilastro sono particolarmente importanti.
I costi possono avere un impatto rilevante sulla posizione accumulata dall’iscritto. Ad esempio, ipotizzando che su un periodo di 35 anni la pensione complementare che si può ottenere aderendo a un fondo negoziale sia pari a 5.000 euro all’anno, i costi medi più elevati dei fondi aperti e dei Pip si traducono, a parità di altre condizioni, in una prestazione finale assai inferiore e, rispettivamente, pari a circa 4.200 e 3.900 euro.
Anche osservando le tipologie di comparto e confrontando l’onerosità delle diverse forme pensionistiche, i fondi pensione negoziali si confermano particolarmente competitivi. Secondo i dati della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l’Isc (Indicatore sintetico dei costi) medio si attesta all’1,1% su due anni di partecipazione per scendere allo 0,3% su 35 anni. Sui medesimi orizzonti temporali, l’Isc passa dal 2,3% all’1,2% nei fondi aperti e dal 3,8% all’1,8% nei Pip (Piani individuali pensionistici).
Una tendenza, questa, ancora più importante se viene legata ai flussi di raccolta, che ormai da molti anni premiano costantemente i prodotti più cari, ovvero i Pip, gli unici che continuano a crescere in termini di iscritti. Questi prodotti, oltre a presentare un Isc decisamente superiore agli altri, non godono nemmeno del contributo del datore di lavoro. La ragione del loro successo risiede nelle reti di vendita. I Pip sono infatti collocati attraverso un sistema commerciale di promotori e di agenzie a cui conviene piazzare i piani individuali proprio a causa delle alte commissioni
Anche osservando le tipologie di comparto, i fondi pensione negoziali restano più convenienti nel confronto con le altre forme pensionistiche complementari. Secondo i dati Covip, i comparti previdenziali disponibili in Italia presentano delle commissioni che vanno da un minimo dello 0,23% a un massimo del 4,13% (calcolate su un periodo di permanenza di 10 anni).
Infatti, in generale l’Isc dipende dall’orizzonte temporale di riferimento: valori tipicamente più bassi si osservano al crescere del periodo di partecipazione in quanto si riduce l’incidenza delle spese fisse iniziali sul montante accumulato. Le commissioni però dipendono anche dal tipo di linea d’investimento scelta (valori tipicamente più alti si rilevano all’aumentare del contenuto azionario della linea o in presenza di garanzie di risultato).
Nonostante l’assenza di evidenze di una superiorità dei comparti più onerosi in termini di rendimenti ottenuti, non si è pertanto innescato un meccanismo concorrenziale virtuoso a favore delle forme previdenziali meno costose.
È in tale contesto che si innestano le recenti disposizioni emanate dalla Covip in materia di comunicazione e trasparenza, a partire dalla revisione della Nota informativa, ad esempio aggiungendo la presentazione ai potenziali iscritti di forme grafiche di comparazione dei costi delle diverse forme di previdenza complementare.