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Fondi europei: le risorse ci sono ma bisogna saperle spendere

FIRSTonline

L’incalzare della crisi con la prospettiva di una prolungata depressione impone una strategia chiara che sappia coniugare le due ottiche di breve e di lungo periodo. L’intervento di breve deve coprire le necessità immediate con iniziative a carico della spesa pubblica corrente. Nello stesso tempo, occorre mettere a fuoco l’ottica di lungo periodo per attivare gli investimenti pubblici di rilancio strutturale. Il rischio da evitare è che gli interventi emergenziali distolgano l’attenzione dagli interventi di sviluppo strutturale. Entrambi sono urgenti. Proprio per questo servono idee chiare e realizzabili da subito. In entrambi i casi abbiamo bisogno di ingenti risorse aggiuntive. Su questo fronte la questione non è la disponibilità delle risorse. Si tratta piuttosto di riflettere su come e dove spenderle.

Perché a fronte della maggiore facilità di fare debiti, se i soldi non verranno spesi bene, tanto più si prolungherà la depressione e tanto più sarà difficile riuscire a ripagare i debiti. A meno di non contare sulla prospettiva dell’annullamento, come lo stesso Draghi ha ipotizzato. L’esempio storico che viene alla mente sono i condoni post-bellici. Che si concedono ai perdenti. L’ipotesi migliore è, al contrario, quella di uscire vincenti dalla crisi post-coronavirus, destinando una parte cospicua del debito a investimenti per fare ripartire lo sviluppo, così da creare le condizioni migliori per ripagare i prestiti ricevuti. In questa prospettiva, la programmazione delle risorse da investire è fondamentale.

IL PROBLEMA DEL RITMO DI SPESA

La crisi attuale giunge nella fase molto delicata del passaggio dalla programmazione dei Fondi strutturali e di investimento europei (SIE) 2014-2020 alla nuova programmazione 2021-2027. I periodi di transizione tra due cicli di programmazione sono momenti estremamente complessi per le amministrazioni incaricate della gestione dei fondi strutturali europei di investimento. I dati delle passate programmazioni lo dimostrano. All’inizio di ogni nuovo ciclo di programmazione, e per almeno tre anni, il ritmo di spesa è basso. Sono quindi poche le risorse che arrivano sul territorio. Non si tratta di un problema italiano, ma di una lenta dinamica insita nel funzionamento dei fondi strutturali, come illustra il grafico relativo al periodo di programmazione 2014-2020 per l’intera UE.

Andamento della spesa dei fondi SIE durante l’attuale periodo di programmazione (fonte: Open Cohesion)

Le ragioni di tale lentezza sono connesse ai carichi di lavoro che pesano sulle amministrazioni nei momenti di passaggio da una programmazione a un’altra. Si tratta di fasi in cui le autorità di gestione dei fondi devono riuscire a impiegare tutte le risorse dei vecchi programmi ed elaborare i nuovi programmi familiarizzando con procedure e regole del nuovo quadro regolamentare.

La crisi attuale aggrava questo carico di lavoro. Ne è prova la recente (giusta) proposta delle Commissione Europea che richiede alle autorità di gestione di adattare rapidamente gli attuali programmi 2014-2020 per mettere in campo ulteriori bandi attraverso i quali rispondere ai bisogni insorti a causa della crisi sanitaria.

IL CASO ITALIANO

Si tratta di difficoltà che vivranno tutte le autorità di gestione europee, non solo quelle italiane. Nel contesto italiano le difficoltà sono maggiori perché alla riduzione del personale interno dovuta ai pensionamenti quota 100 si sommano i vincoli imposti dal nuovo quadro regolamentare in termini di utilizzo di risorse in outsourcing, per l’assistenza tecnica. Le regole proposte dalla Commissione per il prossimo settennio 2021-2027 vincolano la possibilità di utilizzare l’assistenza tecnica all’avanzamento della spesa dei programmi, limitando così la possibilità di acquisire da subito le competenze necessarie per istruire gli interventi in questa delicata fase di passaggio.

Il quadro delineato rende evidente che si corre il concreto rischio di ritardare per almeno due anni per i territori italiani (e più in generale europei) la realizzazione degli investimenti generati dai fondi SIE. In tal modo si priveranno le nostre regioni, le nostre città, ma soprattutto le aree più fragili delle risorse necessarie per attivare gli investimenti diffusi che sono la chiave per una ripresa più veloce e territorialmente più bilanciata. In una parola, più giusta.

RINVIARE LA NUOVA PROGRAMMAZIONE

La scorciatoia da evitare per velocizzare gli interventi anti-crisi è ri-centralizzare i fondi SIE per convogliarli sulla spesa corrente anziché sugli investimenti. Si perderebbero di vista, ritardandone la soluzione, le esigenze addizionali di sviluppo poste in evidenza dalla crisi. Per evitare questo errore di prospettiva, riteniamo che sia più coerente proporre alle istituzioni europee (Parlamento, Commissione, Consiglio) di prolungare l’attuale periodo di programmazione 2014-2020. In altre parole, si tratta di prendere atto che, a fronte dell’aggravio di piani di investimento dovuto alla crisi, sia ragionevole ritardare di un periodo congruo da concordare l’avvio del nuovo ciclo di programmazione attualmente previsto per il 2021-27. Si può così recuperare il tempo necessario per rifinanziare tutti i vigenti programmi con nuove risorse e riprogrammarli per adeguarli all’emergenza e al nuovo regolamento che la Commissione varerà per rendere i fondi SIE più flessibili per l’emergenza COVID19. I vantaggi di tale proposta sono evidenti:

  • Le eventuali nuove risorse previste per il periodo il 2021/27 ri-allocate sui “vecchi programmi” sarebbero disponibili da subito senza bisogno di nuove negoziazioni e dei tempi di approvazione da parte della Commissione Europea di nuovi programmi.
  • Le autorità di gestione nazionali e regionali potrebbero concentrarsi esclusivamente sull’attuazione dei programmi in corso, mettendo rapidamente “a terra” le risorse disponibili per rispondere all’emergenza.
  • Infine non perderebbero tempo a familiarizzarsi con nuove regole e potrebbero utilizzare i meccanismi di monitoraggio, controllo e auditing già rodati nel quadro regolamentare 2014-2020.

Siamo consapevoli che la nostra proposta altera la consuetudine temporale della Politica di Coesione comunitaria dei cicli di Programmazione. In tempi non critici, la definizione di nuovi programmi comporta una salutare innovazione nelle amministrazioni in termini di processi e di contenuti. Ma in presenza di una crisi grave e prolungata ce lo possiamo permettere?

°°°°° Pietro Alessandrini è professore emerito di Politica Economica all’Università Politecnica delle Marche e Alessandro Valenza è senior parner di t33

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