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Fondazione Nord Est: i giovani sono travolti dalla glaciazione demografica e nel Nord Italia si dimezzano

Senza apporti da altri territori, nel Nord Italia 18-34enni in calo di 2,9 milioni: dai 5,8 milioni del 2002 ai 2,9 del 2040. Nel Nord-est -1,2 milioni e nel Nord-ovest -1,7. Fino al 2023 in Lombardia -812mila, ma ne ha attratti 453mila, con saldo a -359mila; in Veneto 146mila arrivi netti e saldo di -230mila. 255mila arrivi in Emilia-Romagna e perdita netta a -120mila.

Fondazione Nord Est: i giovani sono travolti dalla glaciazione demografica e nel Nord Italia si dimezzano

“I giovani non vogliono più lavorare in fabbrica”. “I giovani non fanno più concorsi pubblici». «Mancano giovani medici, e infermieri”. “La scuola non attrae più giovani insegnanti». «I giovani preferiscono lavorare nei call center”. “I giovani se ne vanno all’estero”. 

Quali di queste affermazioni-opinioni è senz’altro vera? La terza, che sottolinea la fortissima carenza di nuovo personale sanitario, sebbene i giovani manchino in qualunque professione. L’ultima è anche vera, ma i giovani che se ne vanno sono solo una parte della popolazione, seppure molto significativa, come vedremo. Le altre sentenze sono supposizioni che nascono dalla medesima constatazione fattuale: la difficoltà a trovare giovani per coprire posti di lavoro vacanti.

Una difficoltà, però, che non nasce principalmente da cambiamenti nelle preferenze giovanili o dalla pur inadeguata appetibilità delle condizioni lavorative offerte (che spinge molti ad andarsene dal Paese). Entrambe possono certamente ben giocare un ruolo, però marginale. Infatti, quella difficoltà origina dalla fortissima riduzione della popolazione giovane. Riduzione avvenuta negli ultimi vent’anni e che proseguirà altrettanto marcata da qui al 2040. In altre parole, i giovani saranno anche diventati più choosy, come disse infelicemente una ex ministra della Repubblica Italiana, ma è la loro diminuzione assoluta la vera causa della problematicità nel loro reperimento sul mercato del lavoro.

La rarefazione dei giovani è la prima e più diretta conseguenza della glaciazione demografica, come la definisce la Fondazione Nord Est, mentre tutti parlano ancora di inverno. Tuttavia, l’inverno è una stagione nel ciclo annuale, a cui segue sempre la primavera, ossia la rinascita della natura preparata dallo stesso inverno. Qui, invece, di primavere non se ne vedono proprio e, anzi, la denatalità, da cui la glaciazione ha inizio, si sta accentuando.

Tutti i numeri del dimezzamento dei giovani nel Nord d’Italia

Di quanto sono diminuiti i giovani? E di quanto diminuiranno? Anzitutto, circoscriviamo il territorio, l’orizzonte temporale e la stessa definizione di giovani. Come nelle precedenti due Note sul tema della glaciazione demografica, il territorio è il Nord Italia, perché è il motore dell’economia italiana, suddiviso nelle due macroaree e nelle singole regioni. L’orizzonte temporale è quello 2002-2040: il 2002 perché i giovani di oggi erano in grandissima parte già nati allora; e il 2040 perché i giovani di allora sono già nati oggi. Questo consente di fare alcuni calcoli e ragionamenti senza dover ricorrere alle previsioni demografiche, per natura aleatorie, e di isolare i fenomeni demografici interni a ciascun territorio. I giovani sono le persone di 18-34 anni, ossia tra l’inizio dell’età adulta e la fine di ogni possibile percorso di studi. Definito il perimetro di analisi, ecco i numeri.

Nel 2002 i giovani nel Nord Italia erano 5,8 milioni, nel 2023 sono calati a 4,7 milioni, un quinto in meno. Il calo minore si è avuto in Trentino (-8mila, -7%), seguito dall’Alto Adige (-10mila, -9%; Tavola 1). Tra le grandi regioni settentrionali il risultato peggiore, in termini percentuali, che tengono conto delle dimensioni, è quello del Piemonte (-23%), con il Veneto penultimo a un’incollatura (-22%); mentre l’Emilia-Romagna registra il dato migliore (-14%), davanti alla Lombardia (-17%).

Le cose sarebbero andate molto peggio senza apporti da altri territori, italiani e non. Quest’ultimo dato è facilmente ricavabile prendendo nel 2002 la popolazione residente con 1-17 anni, che nel 2019 avrebbe avuto 18-34 anni, e nel 2019 quella con 14-30 anni, che nel 2023 avrebbe avuto sempre 18-34 anni. Il risultato è che i giovani nel Nord Italia sarebbero passati da 5,8 a 3,6 milioni nel 2023, -38%. Andando avanti al 2040 si avrebbe una flessione di altre 698mila unità, -20%. In totale nel 2002-40 la caduta diventa di 2,9 milioni, dimezzando i valori del 2002.

Senza apporti esterni la performance peggiore, tra le grandi regioni settentrionali, sarebbe stata quella dell’Emilia-Romagna (-43%, -375mila nel 2002-23), seguita dalla Lombardia (-39%, -812mila), dal Piemonte (-39%, -352mila) e dal Veneto (-35%, -375mila).

Attrattività molto diversa tra le regioni

Se con gli apporti esterni l’Emilia-Romagna è la migliore e senza la peggiore, vuol direche è stata capace di attrarre molti giovani. Quanti? È possibile rispondere a questa domanda e anche distinguere se gli apporti sono stati dall’interno o dall’estero. La via più diretta sarebbe quella di usare i dati ISTAT sui flussi migratori. Per semplicità di elaborazione qui si è usata la via indiretta, costituita dalla differenza tra la popolazione giovane residente e quella che ci sarebbe stata in base alla composizione per età passata. 

I numeri che ne emergono sono un indicatore di attrattività rivelata: maggiore è la quota di apporti esterni in relazione alla popolazione nel 2002, più alta è l’attrattività, e viceversa. 

In base all’attrattività rivelata dai comportamenti dei giovani o, meglio, dai loro spostamenti dall’interno dell’Italia e dall’estero, l’Emilia-Romagna svetta con 29%, seguita dalla Lombardia con 21%. La media del Nord è del 20%. Tutto il Triveneto si posiziona sotto, con il Veneto al 14%, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino al 18% e l’Alto Adige al 12%.

È molto interessante anche la scomposizione tra apporti dall’Italia e dall’estero. Dal resto d’Italia la massima attrattività rivelata è registrata dall’Emilia-Romagna, con 16%, seguita dalla Lombardia con 11% e dal Trentino con 10%; ultimo l’Alto Adige con 1% e penultimo il Veneto con 5%, assieme alla Valle d’Aosta. Dall’estero troviamo avanti a tutti di nuovo l’Emilia-Romagna, con 13%, a parimerito con la Liguria (13%), Lombardia e Alto Adige (11%), Friuli-Venezia Giulia (10%). Il Veneto e il Trentino sono appaiati nella parte bassa della classifica con 8%, non molto sopra l’ultima che è la Valle d’Aosta con 6%.

Gli apporti dall’interno sono stati prevalentemente dal Centro e soprattutto dal Sud d’Italia, anche se non sono mancati movimenti interni al Settentrione, calamitati da Lombardia ed Emilia-Romagna. In futuro questi flussi si inaridiranno notevolmente perché la base di giovani nel Meridione e nel Centro del Paese si è ridotta e si ridurrà come nel Nord del Paese, se non più rapidamente, essendosi da là già trasferiti in molti ed essendo afflitti dalla stessa glaciazione demografica.

Naturalmente va considerato che gli apporti dall’estero sono prevalentemente da paesi extra comunitari o dall’Est Europa. Per avere un’idea di questa composizione basta osservare gli afflussi netti di giovani di 18-34 anni dall’estero nel Nord Italia tra il 2010 e il 2021: dei 637mila arrivati, i tre quarti sono extra-UE, con un peso molto rilevante di Albania, Marocco e Nigeria. Si tratta di popolazioni con livelli di istruzione nettamente inferiori a quelli italiani. In questo senso le regioni che hanno un maggior apporto dall’interno dell’Italia sono avvantaggiate, in termini di capitale umano, rispetto a quelle che l’hanno soprattutto dall’estero. Qui svettano Trentino e Emilia-Romagna, mentre si trovano in fondo Alto Adige, Liguria, Piemonte e Veneto.

Si potrebbe affermare che è inutile attrarre molti giovani se non se ne ha bisogno. E che dunque la minore attrattività rivelata corrisponde a una minore necessità di far arrivare  giovani da fuori e non deriva da una minore capacità di attirarli. In effetti mettendo in relazione il calo 2002-23 della popolazione di 18-34enni senza apporti esterni e l’attrattività rivelata nelle regioni settentrionali emerge una forte relazione tra le due grandezze: meno forte è il calo e minore è l’attrattività.

Ma c’è un «grande ma». A parità di calo ci sono regioni che hanno attratto di più e altre che hanno attratto di meno. Un modo per constatarlo è osservare la distanza tra l’attrattività rivelata effettiva e quella che si sarebbe dovuta avere per mantenere invariata la popolazione di 18-34enni (nel grafico l’invarianza è rappresentata dalla linea bisettrice). Nessuna regione settentrionale ha raggiunto l’attrattività rivelata ideale.

Il territorio che si è avvicinato di più è il Trentino, seguito da Alto Adige ed Emilia-Romagna, che vede così confermata la sua alta capacità attrattiva. Poi, non molto distante, la Lombardia, mentre assai staccate sono tutte le altre, con il Veneto penultimo tra le grandi regioni. In fondo alla classifica di tutte le regioni c’è il Friuli-Venezia Giulia, penultima la Valle d’Aosta e terzultima il Piemonte. Tutte, compreso il Veneto, con una carenza di attrattività pari o superiore ai ventidue punti percentuali.

La riduzione del numero dei giovani fa da sfondo a due fenomeni che sono rivelatori del disagio giovanile nei territori del Settentrione e che aggravano le conseguenze di quella riduzione. Sono la diaspora verso le altre nazioni avanzate, soprattutto europee, e l’alto livello di NEET rispetto ai valori europei. Su entrambi si tornerà nell’ultima Nota, dedicata alle politiche necessarie a fronteggiare gli effetti della glaciazione demografica sul sistema economico.

Qui si rappresentano i dati della diaspora dei giovani italiani dalle regioni del Nord Italia nel 2011-21, in valore assoluto e in rapporto al numero di giovani presenti nel 2021 e tenuto conto della loro sistematica sottostima. In questo caso si tratta delle persone con meno di 40 anni. Ne emerge che una fetta non piccola della diminuzione effettiva dei giovani nel 2002-2023 si spiega con la loro emigrazione. Se si considera che i dati ufficiali, sottostimano di tre volte il fenomeno, l’effettiva carenza di giovani è superiore a quella che è riportato in questa Nota.

Il forte calo dei giovani mette in seria difficoltà la piena partecipazione dell’Italia alle rivoluzioni verde e digitale (essendo i giovani più sensibili alle questioni ambientali e nativi digitali), tende ad abbassare ulteriormente la natalità (riducendo il numero di potenziali genitori), ricompone i consumi di beni a sfavore del contenuto di servizio, riduce sia l’adattabilità del sistema socio-economico ai cambiamenti sia la capacità di apprendimento sul lavoro, diminuisce la nascita di nuove imprese e l’innovazione a essa collegata, scoraggia gli investimenti delle imprese, impossibilitate a trovare personale. In altre parole, diminuisce il potenziale di crescita del Paese anche dal lato della produttività.

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