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Follini: “Sul Quirinale serve un disarmo bilanciato”

Imagoeconomica

Siamo la terza potenza economica del Continente (la seconda manifatturiera), soci fondatori dell’Unione Europea, membri del G7 e della Nato. L’Italia è una colonna portante dell’Alleanza Atlantica nel Mediterraneo e nel centro dell’Europa. Per forza di cose dunque l’elezione del presidente della Repubblica, supremo regolatore della vita costituzionale e garante della collocazione nel giusto “lato” occidentale, interessa non solo la politica interna ma anche la diplomazia occidentale (Washington) e dell’establishment europeo. Marco Follini, democristiano con un passato che lo ha visto vicepresidente del Consiglio nel secondo governo Berlusconi, rientra nell’ultima generazione dei cattolici impegnati in politica che hanno avuto un ruolo di primo piano nella vita pubblica del Paese. 

Follini, a che punto siamo nelle mediazioni tra i partiti per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica?

«Siamo pericolosamente vicini, come direbbero i marinai, alla tempesta perfetta. È una situazione di incomunicabilità quasi totale. Emerge su tutto la volontà di qualcuno di mettere qualche punto a proprio vantaggio».

Una situazione del genere ha un precedente storico? Da De Nicola in poi non sempre la scelta per il Quirinale è stata tutta in discesa.

«La scelta del capo dello Stato è sempre stata motivo di conflitto tra i partiti, ma quelli di una volta erano forti, potevano dividersi e farsi la guerra e il giorno dopo l’elezione erano comunque al centro della scena politica. Oggi il presidente della Repubblica esercita una supplenza fortissima, è il vero deus ex machina della vita politica nazionale».

A meno che i leader nascondano un accordo di sistema, sembra tutto in alto mare. 

«Dopo mesi di dibattito è disarmante vedere la politica che arriva alla vigilia del voto completamente al buio. In questi casi si scivola avanti nel tempo per inerzia, tre votazioni a vuoto e poi dalla quarta qualcosa succederà».

In questa Terza Repubblica dei poteri deboli chi è il vero king maker?

«Non vedo nessuno in grado di dare le carte. Si tratta di capire se i leader di partito vogliono fare una conta o una somma. Nel primo caso si sommano i parlamentari e la matematica prima o dopo deciderà, nel secondo caso si tratta invece di trovare un largo accordo politico per una figura condivisa, come avvenne per Sergio Mattarella. Serve un “disarmo bilanciato” che porti ad un nome trasversale, un arbitro e non un giocatore».

Le ipotesi che hanno davvero qualche possibilità che nomi prevedono e che conseguenze politiche porteranno?

«Se si va in uno scenario frastagliato dove tutti cercano una piccola utilità marginale, tutti i papabili hanno una chanche. È inutile girarci attorno: con i partiti che hanno sempre meno potere il Quirinale diventa strategico, il centro di tutto. Anche se ha fatto capire in tutti i modi di non voler rimanere, tenterei comunque di appurare se esiste uno spiraglio per la rielezione di Mattarella. Una situazione come questa, comunque di emergenza, ha bisogno del suo prestigio istituzionale. Se non ci sono i margini bisognerebbe convergere su Mario Draghi».

Oltre alla politica interna, chi mantiene qualche interesse ad inserirsi almeno nei ragionamenti per l’elezione del presidente della Repubblica?

«Tante forze pretendono di avere voce in capitolo. L’establishment economico ed imprenditoriale per esempio ha sempre fatto sentire il suo peso, è non è uno scandalo. La scelta del presidente della Repubblica italiana interessa tutta la comunità internazionale. I segnali politici che diamo all’”esterno” sono importanti. Scegliere una personalità con forti legami atlantici e nell’europeismo è una scelta senz’altro saggia».

Quindi dal Dipartimento di Stato americano qualcuno chiede ancora qualche aggiornamento?

«Si è sempre fatto. I gruppi parlamentari devono trovare un europeista e filo atlantico non per fare un favore ai poteri forti ma per fare un favore all’Italia. E alla sua giusta collocazione nel mondo. Gli emissari di Fanfani che parlavano con l’ambasciatore sovietico in Italia per tentare di accaparrarsi i voti del PCI accentuavano le diffidenze degli ambienti parlamentari che avrebbero dovuto votarlo. Questi ragionamenti hanno sempre contato e contano ancora».

Invece dalla Segreteria di Stato?

«Mi sembra che il Vaticano e la CEI non abbiamo una attenzione particolarmente interessata. C’è sicuramente un auspicio a dialogare con un presidente di qualsiasi estrazione politica. D’altronde è finita da tempo la fase in cui il cattolicesimo politico aveva un legame diretto con le gerarchie».

La grande politica europea manda qualche segnale? In momenti di sbandamento totale della politica italiana, il Quirinale è sempre stato un interlocutore di affidabilità totale.

«L’Europa confida nel fatto che questa legislatura, nata sull’onda del populismo, abbia superato l’onda di piena del sovranismo».

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Categories: Politica