Per il mercato elettrico la post-liberalizzazione, ovvero il periodo che inizia dalla fine degli anni ’90, è stata caratterizzata da una forte turbolenza e da un successivo assestamento. La rottura del monopolio statale e dell’integrazione tra rete e produzione coincide con lo smantellamento della vecchia Enel-ente pubblico, sorta con importanti obiettivi di “unificazione elettrica” del Paese nel 1962 ma diventata negli anni un inefficiente moloch difficilmente governabile. Le direttive europee e il decreto Bersani del 1999 hanno portato una frammentazione in cui nuovi operatori (anche internazionali) sono entrati nel mercato italiano, nuovi mestieri si sono sviluppati (si pensi al trading e alla regolazione) e si è creato un certo (non ampio) livello di concorrenza.
La profonda riforma del Decreto Bersani ha largamente incrementato l’articolazione del sistema generando complessi problemi di coordinamento tra i diversi soggetti attivi lungo la filiera. Nelle fasi immediatamente antecedenti e successive all’avvio della liberalizzazione l’incertezza della transizione ha provocato una sensibile stagnazione degli investimenti resa più grave dall’obsolescenza del sistema elettrico. Le criticità sono rese palesi nel 2003 da una serie di interruzioni di fornitura e dal black-out del 28 settembre, che lasciò al buio l’intero Paese, in alcune zone anche per 24 ore.
I black-out sono stati per il sistema una sorta di elettroshock. All’indomani di questi fenomeni si è assistito ad un’intensa stagione di investimenti sia nella generazione che nelle reti di trasporto dell’energia, anche favorita da una normativa agevolante (in particolare la Legge 9 aprile 2002, n. 55, cosiddetta “Sblocca Centrali”).
L’innesco di questo dinamismo ha profondamente modificato la dotazione infrastrutturale. In circa un quinquennio, tra il 2003 e il 2008, sono entrate in funzione centrali termoelettriche (soprattutto a gas) per quasi 16.000 MW e oltre 1.300 km di nuove reti elettriche. La crescita del parco produttivo ha permesso di rendere più efficiente la produzione e rendere più sicuro il sistema e costanti le forniture. Dall’altro lato però, ha aggravato lo sbilanciamento sia geografico sia delle fonti. Infatti, lo sviluppo degli impianti è avvenuto principalmente nel Nord e nel Sud del Paese e quasi per nulla al Centro, dove si evidenziano le più intense criticità di rete. Inoltre, la maggior parte degli impianti realizzati nel quinquennio sono alimentati a gas e ciò ha allargato la dipendenza del nostro Paese da questo vettore energetico, rendendo anche più volatile il costo dell’elettricità.
La dinamica descritta ha progressivamente spostato la priorità dalla sicurezza delle forniture – che è comunque perseguita anche attraverso la diversificazione delle fonti – a uno sviluppo più equilibrato del sistema anche in un ottica di minor dipendenza dalle fonti fossili, a un più efficiente utilizzo delle infrastrutture esistenti e alla riduzione dei costi dell’elettricità. Il triennio 2009-2011 si è così distinto per un diverso sviluppo infrastrutturale: gli investimenti si sono indirizzati verso il carbone (+1.315 MW) e, soprattutto, verso le rinnovabili (oltre 17.000 MW in più) bilanciando nuovamente il mix produttivo – seppur forse senza volerlo almeno nei modi e nei tempi – oltre che verso le reti di trasporto (oltre 1.500 km addizionali) e le stazioni di trasformazione, per utilizzare meglio il parco produttivo esistente.
Gli sviluppi positivi degli ultimi anni hanno però generato nuove criticità. In estrema sintesi:
Sovra-capacità produttiva – lo sviluppo intenso degli impianti di produzione elettrica ha condotto ad un parco produttivo di oltre 120.000 MW, più del doppio rispetto ai consumi di picco di circa 54.000 MW.
Impianti nuovi a gas sottoutilizzati – l’enorme sviluppo delle rinnovabili e il calo della domanda elettrica non permettono il pieno sfruttamento di nuovi e molto efficienti impianti a ciclo combinato.
Abbandono del nucleare – le vicende di Fukushima hanno di fatto stroncato la possibilità di un ritorno del nucleare in Italia e la conseguente possibile maggiore diversificazione del mix produttivo.
Squilibri del mix e delle localizzazioni – il mix produttivo, non potendo contare sul nucleare, risulta fortemente polarizzato su gas e rinnovabili; esiste, inoltre un problema di inefficiente distribuzione degli impianti sul territorio nazionale.
Incentivi alle rinnovabili – lo sviluppo delle rinnovabili ha rappresentato e rappresenterà un costo enorme per il sistema elettrico e per i consumatori finali.
Scenari di domanda statica – i futuri scenari di domanda elettrica sono quanto mai incerti a causa della crisi, ma anche dello sviluppo di importanti misure di risparmio energetico; è quindi ragionevole ipotizzare, almeno per il breve-medio, periodo una sostanziale stabilità della domanda.
Costi di produzione ancora elevati – le dinamiche degli ultimi anni hanno permesso una riduzione dei costi dell’energia elettrica, ma il divario tra i prezzi medi italiani ed europei resta ancora sensibile.
Importazioni elettriche nette – nonostante l’overcapacity produttiva, il nostro sistema elettrico non può ancora fare a meno delle importazioni dall’estero, che costituiscono elemento al momento irrinunciabile per garantire forniture sicure e a più buon prezzo.
Sviluppo della generazione distribuita – che sta modificando i sistemi di produzione/consumo di elettricità e genera consistenti criticità di rete.
Allo scopo di affrontare almeno in parte queste criticità, il Governo italiano ha individuato nella Strategia Energetica Nazionale (SEN) una serie di obiettivi specifici per quanto riguarda lo sviluppo delle infrastrutture e del mercato elettrico. Accantonando momentaneamente il tema degli obiettivi, ci preme evidenziare come la realizzazione di una strategia energetica sia da considerarsi di per se un fatto nuovo e positivo nello scenario italiano. Infatti, negli ultimi anni, lo sviluppo del settore è stato “guidato” attraverso interventi spot spesso non omogenei. E proprio questa mancanza di coordinamento ha generato buona parte delle criticità sopra evidenziate.
Per quanto riguarda gli obiettivi, questi sono tre:
– L’allineamento di prezzi e costi dell’elettricità ai valori europei, allo scopo di ridurre la bolletta delle famiglie, aumentare la competitività del Paese e ridurre le importazioni elettriche nette;
– La piena integrazione con i mercati elettrici europei, attraverso la realizzazione di nuove infrastrutture e l’armonizzazione delle regole di funzionamento dei mercati;
– Il mantenimento di un mercato elettrico libero e integrato con la produzione da fonti rinnovabili, eliminando progressivamente gli elementi di distorsione del mercato stesso.
Gli obiettivi indicati ci sembrano condivisibili e rispondenti alle aree di criticità indicate. Ma uno su tutti sembra essere quello prioritario: la riduzione dei prezzi a beneficio di cittadini e imprese e dell’intero sistema economico italiano. Tuttavia, se chiaro è il cosa, meno chiaro è il come, date le rigidità dell’attuale assetto del mercato elettrico e le difficoltà nella realizzazione delle infrastrutture nel Paese.
Per quanto riguarda la riduzione dei prezzi, infatti, le soluzioni infrastrutturali sembrano poche. Dal lato della produzione, infatti, le fonti che potrebbero ridurre i prezzi sono il carbone e (forse) il nucleare, ma investire in nuova capacità a carbone, in una situazione di overcapacity, non sembra strada percorribile, mentre il nucleare in Italia è destinato a non svilupparsi.
Restano gli investimenti sulla rete di trasmissione. La realizzazione non solo di elettrodotti, ma anche di stazioni di trasformazione e di accumulatori diffusi, garantirebbe una rete elettrica più efficiente in grado di ridurre le congestioni, sfruttare le produzioni elettriche più efficienti e a più buon prezzo e gestire in modo ottimale la grande quantità di energia non programmabile proveniente dalle fonti rinnovabili. Dal lato mercato, invece, sarebbe auspicabile l’introduzione di contratti a lungo termine tra produttori e acquirenti, allo scopo di stabilizzare le fluttuazioni del prezzo, soprattutto per quanto riguarda le fonti rinnovabili.
Parlando di prezzi dell’elettricità, la vera questione è la presenza in tariffa di voci di costo slegate dai costi di produzione (incentivi alle rinnovabili, decommissioning nucleare, CIP6, ecc.), di una componente fiscale decisamente superiore rispetto alla media europea, di prezzi del gas (prima fonte di produzione elettrica) anch’essi superiori alla media del continente.
In conclusione, il settore elettrico italiano è sicuramente maturato negli anni post liberalizzazione, è dotato di capacità più che sufficiente a soddisfare la domanda nazionale anche nei prossimi anni, ha il parco produttivo più efficiente d’Europa, ha raggiunto con anni di anticipo gli obiettivi europei sulle rinnovabili e ha ridotto significativamente le emissioni di gas serra. Questo anche grazie ad una buona regolazione che ha dato chiarezza e stabilità al settore e ha permesso agli operatori di investire. Restano alcuni nodi importanti da sciogliere. Su tutti, come visto, il tema dei prezzi, ma anche l’integrazione con il mercato europeo che permetterebbe, in primo luogo il livellamento delle tariffe, ma anche il pieno sfruttamento della sovra-capacità produttiva a gas.
LE PRECEDENTI PUNTATE DI FOCUS ENERGIA SONO STATE PUBBLICATE l’8, 15 e 22 SETTEMBRE
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