L’inflazione non fa più paura. Nell’ultima crisi non è diminuita rapidamente e sembra improbabile che le strategie di politica monetaria ripetano gli errori degli anni Settanta, spingendo il sistema verso la stagflazione (ossia l’aumento dei prezzi senza crescita dell’economia). E’ quanto emerge da uno studio del Fondo Monetario internazionale, che evidenzia come le attese d’inflazione siano oggi più stabili e ancorate agli obiettivi delle banche centrali. Le risposte inflattive ai cambiamenti ciclici della disoccupazione si sono inoltre attenuate.
Secondo lo studio, finché le banche centrali mantengono la propria indipendenza dalla politica, gli stimoli monetari sembrano appropriati all’attuale debolezza della congiuntura nella maggior parte delle economie avanzate. La combinazione di una curva di Phillips relativamente piatta – ossia di una bassa risposta dell’inflazione alle fluttuazioni della disoccupazione (la curva di Phillips collega queste due grandezze) – e di attese sui prezzi stabili lasciano dedurre che una politica temporanea di forte stimolo all’economia possa avere effetti solo marginali sull’inflazione. Il costo di un periodo prolungato di elevati tassi di disoccupazione appare indubbiamente maggiore.
Secondo l’Fmi va comunque tenuta alta la guardia e vanno ricordati anche i casi dell’Irlanda e della Spagna che, negli anni Duemila, a dispetto di una bassa inflazione dei prezzi al consumo, hanno registrato una crescita degli squilibri economici che si è riflessa in una inflazione rampante dei prezzi di altri attivi compresi gli immobili.
Queste rilevazioni del Fondo Monetario Internazionale sono state interpretate dagli osservatori internazionali come un incoraggiamento alla Bce a intraprendere una politica monetaria ancora più espansiva, tagliando nuovamente i tassi, sulla scorta delle recenti manovre del nuovo governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, i cui interventi hanno riscosso anche l’approvazione della Fed.