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Fiscal Compact addio: nella Ue il debito pubblico sarà regolato in modo realistico e graduale con i singoli Paesi

Imagoeconomica

Con la messa in soffitta del Fiscal Compact &Co, la politica di bilancio europea diventa maggiorenne.  Prende le sue responsabilità per la sostenibilità del debito e per la prevenzione e gestione delle crisi come ha già fatto con la pandemia e ora deve fare per la crisi energetica, la guerra di Putin e l’inflazione che ne è derivata. Era ora. E speriamo che i governi nazionali non facciano troppi danni prima che sia approvata dal Consiglio e applicata nel 2024.

Congratuliamoci del fatto che le lezioni delle crisi recenti sono state tenute in conto: dagli errori post crisi finanziaria globale all’eccellente risposta dei Piani di ripresa e resilienza dopo la pandemia. Si sono aperti gli occhi agli assai diversi livelli di debito pubblico che richiedono percorsi nazionali alla discesa del macigno. E c’è coscienza della necessità di facilitare gli investimenti per le priorità comuni, in primo luogo la sicurezza energetica e la transizione digitale.  Questi ultimi parte del mandato di una capacità centrale comune che ancora manca. 

Cambia la governance economica, arrivano i Piani nazionali di medio periodo

Vediamone gli aspetti positivi che sono ancora generali e sappiamo bene che il diavolo è nei dettagli. In primo luogo, i Piani nazionali di medio periodo che includeranno bilancio, investimenti e riforme. 

Con le sue linee guida ugualmente di medio periodo, la Commissione potrà mirare a una fiscal stance europea, superando la mancanza di coordinamento che ha fatto perdere all’Europa centinaia di miliardi di euro di crescita. L’oscura rete d’indicatori strutturali basati su variabili non osservabili cede il posto a una semplice regola della spesa primaria netta, cioè senza spesa per interessi e sussidi di disoccupazione. Su questa spesa governo e parlamento esercitano direttamente il loro controllo. Ci aspettiamo che la previsione di crescita di questa spesa sia basata sul consenso delle proiezioni di crescita dell’output potenziale, come nella Nadef, e non più sul calcolo dell’output gap. Perché su questa spesa si baserà sia il sentiero di aggiustamento del debito che la sorveglianza sul rispetto degli accordi da parte della Commissione.  

La proposta della Commissione sulla governance: ecco i nuovi strumenti del Patto di stabilità

Il contenimento del debito pubblico sarà necessario a causa della politica monetaria anti- inflazionista di aumento dei tassi d’interesse e il ritorno del risk premium sul debito sovrano con la fine del QE. Sulla gestione del debito ci sono le maggiori novità. Basandosi sulle moderne metodologie per l’analisi stocastica della sostenibilità del debito, la Commissione stabilirà il sentiero di aggiustamento per i paesi con il maggior peso del debito “in modo realistico, graduale e continuo”.   E’ un decisivo passo avanti per la governance economica della Commissione stessa: dalla guardianìa del rule book a una moderna gestione del rischio.  Come per la politica monetaria, le regole di riferimento ci sono nei Trattati, ma le decisioni saranno prese da umani esperti,  non robots pre-programmati con regole fisse.

Sulla scorta del piano nazionale di medio termine, un paese potrà negoziare con la Commissione l’allungamento dei tempi per la riduzione del debito, impegnandosi a riforme e investimenti che accrescano la sostenibilità del debito aumentando la produttività e il prodotto potenziale del paese, e che s’inseriscano nelle priorità europee come l’energia. 

Proprio perché il piano di aggiustamento per il debito risulta dal dialogo tra paese membro e Commissione, l’apertura della procedura per debito eccessivo sarà attivata se le condizioni decise insieme non vengono rispettate.  

Si parla di sanzioni reputazionali, ma quel che conta è che i finanziamenti europei, inclusi i fondi strutturali e quelli relativi ai Piani di ripresa e resilienza, potranno essere sospesi se il paese non avrà preso le misure necessarie per correggere il deficit eccessivo.

 Il limite al 3% del rapporto deficit/PIL resta attuale per contenere il deficit bias dei politici,   particolarmente importante in Italia per i suoi due simmetrici – uno all’estrema destra l’altro all’estrema sinistra – adepti allo scostamento di bilancio. Il Financial Times ha calcolato dopo l’”evento fiscale” di Liz Truss, il moron risk premium* che ha gravato sulle emissioni di bonds. La regola del 3% e l’attenzione della Commissione alla qualità della spesa ci protegge da quel rischio.

La Commissione scrive che vuole potenziare l’uso preventivo della MIP, Macroeconomic Imbalances Procedure, ma l’abbiamo già sentito troppe volte senza conseguenze. E vuole modulare la sorveglianza post-programma di aggiustamento/assistenza finanziaria con la valutazione del rischio. I Fiscal Boards nazionali avranno maggiori responsabilità.

Sappiamo che una Comunicazione della Commissione ha dietro di sé un sostanziale consenso dei paesi membri. Ma nel lavoro che si apre per definire i dettagli, i differenti punti di vista nazionali potranno riemergere.  La posizione tedesca sappiamo essere ben diversa. Qui la guerra di Putin può aiutare l’Unione Europea.  La geopolitica si è fatta largo nelle decisioni economiche e starà lì per un certo tempo.  La Germania non intende ripetere l’atto di sottomissione fatto alla Russia per le importazioni di energia con la sottomissione alla Cina per le esportazioni. Né gli Stati Uniti sono un’alternativa stabile finché l’onda lunga del Buy American non sarà esaurita. Come provano i sussidi per le auto elettriche ai soli prodotti americani. 

Recessione per ridurre l’inflazione? Sì ma occorre investire nei settori innovativi per crescere

La globalizzazione non è finita, speriamo, ma con un’Europa che deve contare di più sulla sua crescita per la domanda alle sue imprese, la storica pressione per l’austerità fiscale della Germania si stempera.  Mentre in passato la Germania poteva ignorare la carenza di domanda in Europa esportando in Cina, ora sa che l’autonomia strategica dell’Europa è un obiettivo esistenziale, non solo per l’energia e la difesa.

Un giorno ci sarà una capacità centrale europea per gli investimenti comuni e la risposta alle crisi. Per ora tocca alle politiche nazionali di bilancio e strutturali, che sono essenziali per compensare la recessione, che è il solo strumento a disposizione delle banche centrali per ridurre l’inflazione.  Non si tratta di vanificare gli sforzi delle banche centrali compensando tutti gli aumenti dell’energia da fonti fossili.  Bisogna proteggere i più fragili, ma occorre mantenere il segnale del prezzo per incentivare gli investimenti in rinnovabili anche da parte delle famiglie, oltre alle imprese e il governo. E occorre investire per la diffusione dell’innovazione digitale, l’autonomia energetica e all’autonomia strategica nell’industria High Tech.  Queste sono le spese pubbliche che aumentano la produttività totale e permettono di ridurre l’inflazione senza interrompere la crescita. 

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