Fresco di rielezione, Barack Obama tende una mano ai Repubblicani, ma non rinnega il suo programma. Nella prima conferenza stampa dallo scorso giugno, il Presidente americano si è detto disponibile a un compromesso con gli avversari per evitare il “fiscal cliff”, ma ha anche ribadito nella sostanza la sua strategia fiscale per il secondo mandato.
Secondo Obama, la normativa “può essere semplificata e resa più efficiente”, ma una revisione ed un’eventuale riduzione delle deduzioni fiscali “non basterebbe” per aumentare gli introiti fiscali dell’importo necessario.
Per questo motivo occorre “che gli americani più ricchi paghino di più”. Non saranno quindi prorogati i tagli fiscali per i cittadini con reddito superiore ai 250 mila dollari, originariamente stanziati dall’amministrazione di George W. Bush.
Obama però ha aggiunto di non voler “chiudere la porta in faccia a nessuno. Voglio sentire nuove idee, il problema si può risolvere”.
Il “fiscal cliff” (letteralmente “precipizio fiscale”) consiste nell’effetto combinato di due misure che – senza un nuovo intervento di legge – scatteranno automaticamente a gennaio.
Il binomio micidiale è una tradizionale ricetta d’austerity: aumento delle tasse (con la scadenza di vari bonus fiscali) e tagli alle spese (welfare escluso). Inevitabili gli effetti recessivi: il Pil calerebbe dello 0,5% l’anno prossimo e la disoccupazione tornerebbe oltre il 9% (oggi è al 7,9%).
Nella prassi politica, il vero problema è la frattura che da gennaio 2011 paralizza l’azione del Congresso, diviso fra Senato democratico e Camera repubblicana. Una situazione di stallo confermata dalle ultime consultazioni.