Mi piace pensare che siamo nel mezzo di una sfida epocale, imposta dal cambiamento. Con tante minacce, ma anche opportunità. Appena pochi mesi fa, mi riferisco all’economia della Toscana e in particolare della città metropolitana di Firenze, stavamo vivendo una fortissima crescita del Pil (+6,4% a fine 2021, +4,5% la stima per il 2022) trainata dalle esportazioni (+27% sul 2020 e addirittura +6,3% sul 2019), nonostante la debolezza dei consumi interni (-5% nell’ultimo trimestre dell’anno). Oggi la situazione è capovolta: le stime di crescita per l’anno in corso sono state drasticamente ridimensionate (+2,5%) e le esportazioni stanno rallentando per le difficoltà dei trasporti e il boom dei costi di energia, carburanti e materie prime, fenomeni accentuati dalla guerra tra Russia e Ucraina.
Firenze riparte col turismo: bene anche consumi interni e occupazione
A fronte di questo scenario in netto peggioramento, c’è da registrare una decisa ripartenza del turismo in ingresso, con località di villeggiatura e città d’arte prese d’assalto nelle ultime settimane, come e forse in misura anche maggiore rispetto a prima della pandemia.
Nell’arco di un trimestre, il parametro si è rovesciato: l’export soffre, i consumi interni sono in sensibile crescita. Le previsioni delle imprese fiorentine sul versante dell’occupazione sono buone, con quasi 33mila assunzioni attese nel periodo maggio-luglio, in forte aumento anche rispetto al 2019 (+21%). Il problema, sempre in base alle indicazioni delle aziende (indagine Excelsior-Unioncamere), è la difficoltà di reperimento sul mercato del lavoro delle figure professionali necessarie, difficoltà salita nell’area metropolitana fiorentina al 41%: quattro punti percentuali in più rispetto a maggio 2019.
Le grandi dimissioni si abbattono anche su Firenze
Nonostante 11mila disoccupati ufficiali (6%). A questo scenario apparentemente contraddittorio, si aggiungono le incertezze legate ai fenomeni che citavo prima: il costo dell’energia, le difficoltà delle forniture, la risalita dell’inflazione e l’ormai annunciata, conseguente stretta monetaria. Come impatterà tutto questo sul nostro futuro? Molto dipenderà dalla durata della guerra e anche dalla situazione sanitaria italiana e internazionale dopo le fine dell’estate. Ma, intanto, non posso fare a meno di notare alcuni cambiamenti di tipo sociologico che, a loro volta, sono portatori di grandi novità.
L’anno scorso in Toscana ci sono state 136mila dimissioni volontarie da contratti a tempo indeterminato. Un dato inedito, che trova conferma nelle altre regioni italiane, e che va di pari passo alle difficoltà del mercato del lavoro per quanto riguarda il reperimento di lavoratori di profilo anche medio basso (non solo, dunque, per le figure highskill), come camerieri, baristi, addetti alle pulizie. Per le imprese questo è un grande problema e una sfida. Siamo davanti a cambiamenti epocali e dovremo essere capaci di interpretarli, perché la gente ha realizzato che lavorare per vivere è diverso da vivere per lavorare. E, evidentemente, lo sta mettendo in pratica. Il salario minimo non può aiutare e il problema dell’adeguamento delle retribuzioni dovrà essere affrontato dal Governo con la riduzione del cuneo fiscale. La questione però va oltre.
Le imprese si devono adattare al cambiamento
Non credo che chi lascia volontariamente il lavoro lo faccia per il salario troppo basso. Lo fa, invece, chi vuole e può cambiare le proprie abitudini. Questo sta avvenendo a Firenze, come nel resto d’Italia. Oggi il mondo è aperto, senza barriere e la scoperta dello smart working ha aiutato a recuperare gli spazi familiari, ha fatto capire che ci eravamo smarriti dietro a convinzioni che si sono dimostrate fragili. Lo dico anche per me: ho dedicato tutta la vita al lavoro, ma non mi sono goduto la famiglia. Sono convinto che quello in atto sia un cambiamento radicale e dobbiamo capire come aiutare le imprese a reagire. La digitalizzazione della società, non solo dell’economia, è il passaggio decisivo, che consente a chiunque di vendere e di assumere personale anche dall’altra parte del mondo, e il sistema delle Camere di commercio, attraverso la rete degli 80 Punto impresa digitale (Pid) sul territorio nazionale, sta facendo la sua parte.
Firenze, che ha storicamente un’economia in prevalenza manifatturiera, basata su grandi e soprattutto piccole imprese e sull’artigianato di qualità, con un forte impatto dell’export (intorno al 50% del Pil) e un peso delle attività turistiche importante ma non così preponderante come percepito nell’immaginario collettivo (10% circa, la metà del manifatturiero), ha tutte le carte in regola per cavalcare questo cambiamento nel rispetto dei nuovi paradigmi di sviluppo, legati al rispetto dell’ambiente, alla circolarità dell’economia, alla parità di genere, e anche alla riorganizzazione dei flussi turistici e al loro impatto sulla città.
La qualità a tutto tondo ha fatto grande la storia di Firenze e può fare grande anche il suo futuro. È l’unico fattore per essere competitivi rispetto al resto del mondo.
°°°°L’autore è il Presidente della Camere di Commercio di Firenze e vicepresidente di Unioncamere nazionale e President e Ad di BaseDigitale Group