ANSALDO ENERGIA, SIEMENS GETTA LA SPUGNA. IN FINMECCANICA +2,5% CRESCE IL PESO DI PANSA
La Borsa festeggia, ma i venti di guerra al quartier generale di Finmeccanica (+2,5%) sono tutt’altro che dissolti. E’ questa, in sintesi, la prima reazione dei mercati al blitz annunciato di venerdì scorso: la discesa in capo della cordata di italiana (Fondo strategico, gruppo Camozzi, Acciaierie Venete e Davide Usberti di Gas Plus) per l’acquisto del 30 per cento di Ansaldo Energia.
Una mossa che risponde a più obiettivi: 1) proteggere l’”italianità” del gruppo, conservando il 55% in mano a Finmeccanica e Fsi; 2) aggregare un cospicuo nucleo di piccole e medie imprese attorno al Fondo Strategico Italiano senza infrangere lo statuto che vieta a Fsi l’acquisto di quote di maggioranza; 3) mantenere una quota, pari al 25%, nella stessa Finmeccanica consentendo però al gruppo di incassare una quota cash (attorno ai 400 milioni contro i 700 offerti da Siemens per il 55%) e, soprattutto, di deconsolidare i debiti di Ansaldo Energia (1,2 miliardi il fatturato 2011) dal gruppo.
Una soluzione “politica” di cui il concorrente Siemens ha già preso atto. Secondo il Financial Times, infatti, la partita è già decisa: “Siemens rinuncia all’operazione italiana”, scrive il quotidiano su fonti del quartier generale di Monaco di Baviera, ove si fa sapere che il gruppo tedesco non ha alcuna intenzione di alzare l’offerta iniziale di 1,3 miliardi già oggetto delle trattative condotte con lo staff del presidente Giuseppe Orsi.
Vista con gli occhi di Siemens, che assieme a General Electric controlla il mercato delle turbine, l’operazione Ansaldo Energia aveva del resto un sapore difensivo, spiega l’analista Martin Prozesky di Bernstein Research. “La ragione per procedere ad un’acquisizione del genere la più importante dal 2007 – spiega – non era tanto l’apertura di nuovo mercati nell’area del Mediterraneo quanto la preoccupazione di evitare che qualche concorrente dei Paesi emergenti potesse metter le mani sul know how e la tecnologia della società italiana.
Al di là del valore industriale, l’operazione ha un preciso valore politico. L’ingresso in scena di Fsi segna un punto a favore di Alessandro Pansa, direttore generale di Finmeccanica ma anche membro del cda di Fsi, nei confronti del presidente Giuseppe Orsi, protagonista della trattativa con i tedeschi di Siemens. Un ultimo tassello nella delicata partita a scacchi che ha per palcoscenico la holding italiana della Difesa: Orsi è fautore della linea delle cessioni delle partecipazioni “no core” (Breda, Ansaldo Energia, Sts) ad ogni costo, senza alcuna remora verso compratori stranieri. Una linea che il ministro Corrado Passera non condivide e che è alla base della cordata allestita dal Fsi (con l’attiva collaborazione di Pansa).
Ma il dissenso è assai più profondo. Non è un mistero che il presidente Orsi, promosso ai vertici della holding dietro pressioni della Lega, all’epoca al governo, non gode della fiducia del ministro dell’Economia Vittorio Grilli. Né l’attualità giudiziaria ha aiutato a ricomporre un clima di normalità. Orsi, in una conversazione al ristorante con l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, intercettata dagli inquirenti, ha tirato in ballo Grilli sostenendo che l’ex moglie del ministro avrebbe ottenuto consulenze da Finmeccanica, dichiarazione smentita dai risultati dello stesso internal audit di Finmeccanica ma, stranamente, mai reso pubblico da Orsi (scelta che ha fatto imbestialire il ministro).
In questa cornice sembrava che la resa dei conti dovesse avvenire domani a palazzo Chigi, in una riunione indetta per valutare i possibili scenari per Finmeccanica dopo le nozze tra Bae e Eads. Ma, una volta sfumato il patrimonio tra i big della Difesa europea, è venuta meno l’urgenza di tracciare un quadro di nuove alleanze in Europa e fuori. Almeno all’apparenza perché il malessere di Finmeccanica, che investe la governance, la finanza, le scelte industriali di investimento e le alleanze non è meno urgente.