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Finisce l’era Bossi, ora ci prova Maroni: per la Lega una corsa a ostacoli

Di certo nella Lega è finita l’era Bossi. E abbastanza in malo modo. Il fondatore del movimento si è trovato senza sponde nè all’interno nè all’esterno. Dentro il partito l’insofferenza verso il capo e i suoi famigli e familiari era da tempo palpabile e certamente non sono stati graditi i suoi tentativi di evitare prima, e ritardare e contenere poi, l’inevitabile passo indietro. Per quanto riguarda l’esterno poi, la fine del governo Berlusconi e il declino inesorabile del Cavaliere, hanno tolto al senatùr una sponda comoda e un approdo sicuro.

Abbastanza penoso poi il discorso fatto al Congresso: con il tentativo di ribaltare sulla magistratura e sui servizi segreti (con chiara implicita allusione al ministro dell’Interno Maroni) la responsabilità dello scandalo (denso soprattutto di finanziamenti disinvolti) nel quale sono stati invece coinvolti lui stesso e i suoi familiari. Certo ci sono state anche le lacrime. Ma ai più sono sembrate più lacrime di rabbia e non di commozione. Di rabbia per il giocattolo che lui stesso ha rotto. E non di commozione per l’addio alla guida della Lega. Non è un caso che l’accoglienza (tolto un gruppo di fedelissimi e supertifosi) sia stata di freddezza e diffidenza da parte del Congresso.

E così i delegati hanno acclamato all’unanimità Maroni segretario. E l’ex ministro dell’Interno sa che per cercare di adempiere alla missione, quasi impossibile, di rilanciare il movimento deve prima di tutto liberarsi dai resti del bossismo. “Sarò un segretario senza tutele” ha detto alla tribuna e il riferimento era chiaramente a Bossi che vorrebbe condizionarlo grazie alla presidenza onoraria che è riuscito, alla fine, ad ottenere. Un titolo soprattutto onorifico. E il Senatùr lo sa. Ma ha dovuto far buon viso a cattivo gioco perchè non aveva nè forze nè truppe per dare battaglia in campo aperto. Alla fine ha dovuto limitarsi ad un rancoroso ruggito, allorchè rivolto a Zaia ha detto: “Vedrò se mi avete fatto imbrogli sullo Statuto”.

Insomma Bossi lascia a Maroni una Lega a pezzi, nella quale rischiano di prevalere spiriti di vendetta e di risentimenti. Ma le difficoltà per Maroni sono soprattutto politiche. L’ex ministro dell’Interno ha per ora scelto la linea dell’opposizione radicale al Governo Monti e a chi lo sostiene. Il grido di battaglia è: “Via da Roma e tutti sul territorio”. Magari per creare le condizioni della sempre minacciata secessione. Ma se questa linea poteva avere qualche chance di successo con un’Italia in crisi e fuori dell’Europa, ne ha molte di meno con un Paese che, grazie a Monti e Napolitano, e soprattutto all’uscita di Scena di Bossi e Berlusconi, ha riguadagnato prestigio e peso politico in Europa. Un po’ come accadde all’inizio del millennio quando Ciampi e Prodi riuscirono ad agganciare l’Italia all’Euro, tagliando la strada al Carroccio che puntava alla scessione, portando in Europa soltanto le regioni settentrionali.

C’è poi un problema di politiche delle alleanze per Maroni. Gli unici interlocutori possibili per il neo leader del Carroccio sono nel Pdl. Però questo partito, pur senza convinzione sostiene il governo Monti, e questo a Maroni non va bene. Ma soprattutto nel Pdl continua a dettar legge Berlusconi, che non riscuote grande successo tra i sostenitori dell’ex ministro dell’Interno, il quale ha tuttavia un buon rapporto con Alfano. Vedremo come evolveranno le cose in casa Lega in vista del voto politico dell’aprile prossimo. Per ora Maroni dice: “Faremo politica via da Roma e sul territorio”. Una scelta che al momento appare soprattutto difensivista.

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Categories: Politica