La legislatura è alle ultime battute e il governo tecnico comincia ad annaspare, anche perché ormai la strana maggioranza, incalzata dalla prossima scadenza elettorale, non tiene più. I partiti (anche quelli nuovi tipo 5 stelle) stentano a mettere in campo coalizioni credibili. E intanto non sappiamo né quando né come andare a votare.
Cominciamo dal quando, che è strettamente correlato al come. Si fa sempre più strada l’idea che a questo punto sarebbe meglio andare a votare a febbraio. Prolungare fino al termine la Legislatura rischia di stressare ulteriormente i rapporti tra governo e maggioranza. Il tutto mentre a febbraio è già previsto un significativo test di elezioni regionali (Lazio, Lombardia e Molise). Ma per votare prima ci vorrebbe una nuova legge elettorale. Su questo Napolitano sembra irremovibile: se resta il Porcellum, i partiti si possono scordare lo scioglimento anticipato, sia pure di poche settimane. Anzi, si sta facendo strada l’ipotesi di un possibile messaggio del Quirinale alle Camere sulla questione elettorale: un modo per mettere in mora nel modo più solenne i partiti su questo argomento.
E allora vediamo a che punto si è sulla riforma elettorale. In questi ultimi mesi sono stati fatti più passi indietro che in avanti. Un nodo sono le preferenze: le vuole l’Udc, non le vuole assolutamente il Pd, che dice di temere un effetto Fiorito (aumenterebbero voto di scambio e corruzione); non si capisce cosa voglia il Pdl, impegnato in Senato a sostenere le preferenze, mentre Berlusconi ha affermato in una recentissima intervista di non volerle.
Risultato, in campo ci sono diverse ipotesi: ritorno ai collegi gradito al Pd, sistema misto collegi-preferenze, mantenimento del Porcellum, rafforzamento del Porcellum (metà parlamentari nominati, l’altra metà scelti con le preferenze, un modo per sommare l’effetto Calderoli all’effetto Fiorito). Ma c’è un altro problema e riguarda il premio di maggioranza. Se si dovessero mantenere le regole del Porcellum, una coalizione del 30% alla fine potrebbe avere il 55 % dei deputati eletti. E il voto in Sicilia ha dimostrato che un’ipotesi del genere potrebbe anche verificarsi. Di qui la necessità di trovare l’accordo su una soglia minima (40%) perché possa scattare il premio di maggioranza. Come si vede sono problemi complessi da risolvere in pochi giorni fra partiti che già a si guardano in cagnesco.
Vediamo ora la situazione dei partiti. La crisi del Pdl è stata confermata con qualche aggravante dal voto siciliano e non solo. Berlusconi, ormai in palese difficoltà anche per il consenso interno alla sua formazione, si dibatte tra partito vecchio ed eventuale partito nuovo. Chissà se riuscirà a sciogliere i suoi dilemmi dopo essersi riposato in Kenia. Intanto, dopo aver attaccato a villa Gernetto ad alzo zero il governo, sembra averci ripensato, e nella più recente intervista ha detto che non farà campagna elettorale contro Monti. Intanto il suo partito, che è ancora il Pdl, prova a fare le primarie. Potrebbe essere l’ora dell’autonomia di Angelino Alfano che, nonostante tutto, è il favorito, ma che deve guardarsi dal fuoco amico delle amazzoni del Cavaliere e dall’ipotesi spacchettamento (un eventuale nuovo partito di Berlusconi).
Al centro Casini sembra di nuovo tentato dall’intesa con il Pd, dopo che in Sicilia questa ha funzionato, almeno per conquistare di misura la presidenza della Regione. Si affacciano intanto nuovi soggetti politici, che però stentano a mettersi d’accordo tra loro: a Italia futura e Indipendenti per l’Italia, per ora Giannino e gli economisti liberisti continuano a contrapporre (su base programmatica) le idee di Fermare il declino.
Quanto al Pd, che i sondaggi danno in crescita, le primarie non sono certo un pranzo di gala: con Renzi che alza ogni giorno il livello dello scontro nei confronti del segretario Bersani, e che comunque riempie piazze e teatri. Di certo il segretario ha superato due scogli importanti: il voto in Sicilia e l’assoluzione di Vendola potevano aprirgli nuove difficoltà e così non è stato. Ora, se vincerà le primarie, dovrà prima riorganizzare il campo della sinistra e poi cercare l’accordo con Casini. Compito arduo.
Naturalmente in campo c’è anche Beppe Grillo con il suo Movimento 5 stelle. Il successo in Sicilia (il movimento è il primo partito) è stato innegabile e travolgente. Al punto che i giornali parlano di una candidatura a premier dello stesso Grillo. Il quale però qualche passo falso potrebbe anche farlo. Dopo il voto in Sicilia, Grillo se l’è presa con una consigliera regionale del suo movimento, rea di essere andata ad un dibattito televisivo.
L’ha fatto attaccando le donne, anche quelle di 5 stelle, con battutacce da trivio che evocavano punti g e orgasmi, che le stesse solleciterebbero con le apparizioni nei salotti televisivi. Infine un’imprevedibile apertura a Di Pietro. Proprio nel giorno in cui l’ex Pm, provato dalle rivelazioni di Report sulle sue proprietà immobiliari, annunciava che l’Idv andava verso il declino, e mentre gran parte di questo partito chiedeva passi indietro e congresso, Grillo ha candidato Di Pietro al Quirinale: il nuovo che avanza che si confonde con il vecchio che arretra.