Il presidente venezuelano Maduro ha chiesto di ristrutturare il debito pubblico del Paese. La sua dichiarazione ha squarciato il velo sui mercati emergenti che dopo gli Annual Meetings del Fondo Monetario Internazionale erano tornati alla ribalta per i gestori dei fondi comuni di investimento, ma che nell’ultimo mese hanno visto seguire deflussi di capitali soprattutto sui prodotti in divisa locale in Asia, con eccezione della Corea del Sud e della Cina.
Ed è proprio l’Fmi a rilasciare un comunicato dove accusa il Venezuela di essere venuto meno agli obblighi di rendicontazione su operazioni di politica sociale straordinarie nonché dei dati ufficiali della bilancia commerciale, e pone un ultimatum di 6 mesi per permettere agli ispettori di completare la revisione dei dati economici in loco e offrendo al Paese l’ultimo appello per attivare aiuti finanziari che diventano sempre più impellenti.
L’annuncio della ristrutturazione del debito esterno, pari a 10 volte le riserve valutarie rimaste, su un totale di esposizione del Governo di circa a 150 miliardi di dollari, dopo anni di recessione e mentre il Paese è sull’orlo della crisi umanitaria, non ha certamente colto di sorpresa i mercati, visto che i titoli venezuelani quotano a prezzi di default da tempo. D’altro canto i dati son inequivocabili: il 2016 si è chiuso con un Pil in negativo del 16,5% e una situazione di iperinflazione oltre il 250%.
Quest’anno l’inflazione venezuelana ha continuato a correre superando di slancio il 650% e la recessione si è attestata al 12%. Maduro ha aumentato gli stipendi minimi di sussistenza del 50% e le pensioni del 30% per rabbonire la popolazione, ma certamente non è bastato e quindi l’annuncio nel quale ha onorato la scadenza di Novembre della PDVSA , la compagnia petrolifera di bandiera, ha fatto comunque crollare i prezzi delle obbligazioni PDVSA oltre il 25%.
Dopo la ristrutturazione della Grecia per 261 miliardi di dollari, il Venezuela è il secondo caso di mega ristrutturazione, quindi superiore al default argentino del 2011 per 82 miliardi di dollari Usa. Per un Paese sotto sanzioni dagli Usa mettere intorno ad un tavolo i creditori compresi gli hedge fund americani non sarà cosa semplice.
Il paradosso di questa situazione, dietro il quale si cela l’inaspettato annuncio di Maduro con l’invito ai fondi che possiedono gran parte dei titoli venezuelani il 13 novembre a sedersi ad un tavolo negoziale, sta nel tentativo di guadagnare 6-9 mesi di trattative in vista delle prossime elezioni. Infatti i fondi Usa, a causa delle sanzioni, non potranno partecipare alle negoziazioni facendo quindi il gioco del Presidente Maduro che strumentalizzerà la loro assenza e indisponibilità a trattare.
Un situazione caotica, sulla quale Maduro conta di rafforzare i suoi consensi come si e potuto notare nella retorica con la quale ha spiegato che i soldi per i titoli PDVSA avrebbero potuto essere meglio impiegati per alleviare il Paese in agonia. Negli ultimi 4 mesi le dimostrazioni e gli scontri di piazza hanno totalizzato 125 morti e le abili mosse legislative di Maduro hanno contenuto le opposizioni arginandole mentre serrava le file dei fedelissimi, approfittando dei litigi interni ai partiti che nonostante gli esiti referendari non hanno mai potuto governare.
Russia e Cina già parlano di supporto alla rinegoziazione ed occorre dare atto che è solo grazie al loro coinvolgimento nell’industria petrolifera del Paese che Maduro ha potuto evitare il default sino ad oggi, infatti con oltre 60 miliardi di dollari Usa di finanziamenti hanno aiutato la PDVSA a stare in piedi. E questa situazione certamente non farà che aumentare le tensioni sul prezzo del petrolio più in generale oltre che sui mercati emergenti, in un momento nel quale tutti i BRICS hanno qualche difficoltà politico economica con la quale fare i conti.
Il recente scandalo a Singapore che vede implicata Goldman Sachs con il fondo sovrano malese si aggiunge alle rinnovate tensioni mediorientali tra Yemen e Arabia Saudita e ciò inizia a lanciare rumori sinistri alla tenuta delle borse emergenti sulle quali sono attese prese di beneficio diffuse già a partire da questa settimana in vista dell’avvio delle negoziazioni che vedranno il vicepresidente, Tareck El Aissami , di origine siriana e chavista radicale, protagonista delle trattative e stretto tra le accuse degli USA per un suo coinvolgimento nelle attività dei narcotrafficanti e la sua investitura a succedere a Maduro.