E adesso? I non molti azionisti Fiat Chrysler che il 3 dicembre saliranno ad Amsterdam per l’assemblea che sancirà la scissione di Ferrari e la successiva assegnazione delle azioni della Rossa ai soci “entro la Befana” si sobbarcheranno il viaggio solo per avere una risposta da Sergio Marchionne sul futuro di Fca “small size”.
UNO SGUARDO AI CONTI
I conti sono presto fatti: la capitalizzazione del gruppo, oggi attono ai 17,5 miliardi di euro, subirà una brusca cura dimagrante dopo l’addio alla restante quota di Ferrari che a Wall Street già sfiora gli 11 miliardi di valore. In queste condizioni, Fca da sola si condanna ad un futuro “in mediocrity”, secondo le parole dello stesso Marchionne: l’azienda è in condizioni di marciare da sola, grazie ai successi di Jeep e alla ripresa delle vendite in Europa, ma si condannerà ad una politica della lesina, condizionata dalle modeste risorse finanziarie che non consentono una robusta politica di investimento, frustrando le potenzialità dell’Alfa. “Potessi lanciare un aumento di capitale da dieci miliardi di dollari – ha confessato nel lungo incontro di fine estate con Automotive News lo stesso Marchionne – i problemi sarebbero risolti. Ma so già la risposta dei miei azionisti: Sergio, sarebbe magnifico ma…”.
Ma i quattrini di Exor oggi servono per altre priorità. Non ultima la necessità di accompagnare la crescita di Ferrari, icona del lusso che oggi vanta una capitalizzazione di 37 volte gli utili, più di Prada o di Hermès. Un valore che impone di dimostrare al più presto le potenzialità del marchio oltre il mondo a quattro ruote. Sfida promettente e redditizia, ma che non lascia nemmeno le briciole a disposizione di un maggior impegno nel resto dell’automotive.
VENDERE O ALLEARSI? LA TERZA VIA
E allora? Delle due l’una: o si vende, o si cerca un’alleanza in cui Fca, e di riflesso Exor, abbiano un ruolo comunque rilevante e strategico nella nuova combinazione. Oppure, si può battere un’altra strada: trasformare, almeno in parte, Fca in una Foxconn a quattro ruote. Foxconn, colosso nel manufacturing dell’elettronica di Taiwan con gigantesche fabbriche in Cina, è da sempre il produttore di fiducia di larga parte dei prodotti Apple e di altre aziende del settore. In realtà il gruppo, all’avanguardia nell’utilizzo dei robots (che, a differenza degli operai, non si suicidano per i ritmi di lavoro), è molto di più che un assemblatore di iPad o iPhone, come dimostra il fatto che, nonostante vari tentativi, il grupo Usa ha sempre desistito dalla ricerca di nuovi partners.
Oggi Tim Cook, ma lo stesso vale per Alphabet (l’ex Google) potrebbe battere la stessa strada per l’esordio nel mondo a quattro ruote. E’ assai difficile che i Big di Silicon Valley facciano violenza alla loro natura ed alla loro storia con un massiccio investimento in fabbriche e hardware vari. E’ più facile che preferiscano concentrarsi nel software e nella gestione della qualità dei vari componenti affidando la realizzazione ad altri. Vedi la “vecchia” industria dell’auto che ha alle spalle decenni di investimenti ed esperienza nel manufacturing. In questa cornice FiatChrysler potrebbe essere un partner ideale: abbastaza forte per assistere il decollo della Apple o della Google car su tutti i mercati. Troppo debole per rivendicare la leadership o la guida strategica di un’avventura che richiede investimenti ben superiori alle possibilità del gruppo.
Ad accelerare il progetto potrebbero essere gli sviluppi del dopo dieselgate. Lo scandalo Volkswagen, ha notato Marchionne, comporterà un forte aumento dei costi legati alle regole più severe che verranno imposte sia in Europa che in Usa e, a ruota, un po’ dappertutto. La novità accentua una tendenza già in atto: l’avanzata dell’elettronica, combinata con la corsa a nuovi motori più puliti, dall’auto elettrica alla propulsione ad idrogeno, si tradurrà in investimenti giganteschi, che nessuna società automobilistica potrà affrontare da sola. Però, ben pochi, a partire da S&P, ritengono che le alleanze tra i gruppi dell’auto oggi esistenti, possano dare buoni risultati. Altra cosa sono gli accordi tra i nuovi competitors: Apple, che non ha un passato nell’auto, così come Fca che non ha che una modesta presenza nell’auto elettrica ed è a zero in altre partite strategiche.
IL MATRIMONIO CON GM
Andrà così? A Marchionne di sicuro non garba l’alleanza con un partner molto più forte. Ma sarebbe in grado, comunque, di ritagliarsi uno spazio autonomo e di grande respiro. Certo, la soluzione Silicon Valley è per ora una seconda scelta. La strada maestra è l’intesa con Gm, osteggiata dai vertici del gruppo di Detroit, preferita da John Philip Elkann perché La quota di Fca avrebbe comunque un peso rilevante in una jv allargata, vista la composizione frammentata del capitale Gm e le opinioni di alcuni azionisti di rilievo, dal sindacato Uaw allo stesso Warren Buffett, tutt’altro che ostili a rilevare Chrysler, rafforzare la presa sul Brasile (ed in Europa) e, soprattutto, ad avvalersi delle prestazioni di Marchionne che nel mondo dell’auto, dopo gli ultimi colpi, gode della stessa fama di Lionel Messi. Sarà una corsa contro il tempo, per evitare che l’eventuale matrimonio del secolo non incroci la campagna elettorale Usa: una vittoria repubblicana farebbe svanire le speranze di super Sergio.
Altre soluzioni? La pista Volkswagen è ormai svanita: di questi tempi nemmeno Marchionne potrebbe far digerire alle scassate casse di Wolfsburg una valutazione record per l’Alfa. Peugeot? Tavares ben si guarda dal voler metter casa assieme a Marchionne. Anche lui è alla ricerca di partner con cui crescere. E da governare. Non restano che i produttori asiatici. Ma Suzuki, scottata dall’esperienza con Volkswagen, non pensa ad alleanze. Toyota, l’unica azienda che può andare avanti da sola, vista la leadership tecnologica e la superiorità nei processi produttivi, non pensa affatto a merger di qualsiasi tipo.
UN POKER A TEMPO
Insomma, la sfida molto complicata. E per questo piace a Marchionne che potrebbe così coronare l’impresa di diventare una leggenda al pari di Henry Ford o di di Ferdinand Porsche. Senza essere un ingegnere o un “topo di fabbrica”. Ma solo lui può giocare con profitto una partita in cui dispone di un paio di carte buone (la promessa Alfa, la certezza Jeep) assieme a diversi due di picche (la probabile frenata del mercato Usa, il tracollo del Brasile, i limitati mezzi finanziari). E senza poter contare sui jolly (auto elettrica, ibrida, vetture driverless) vantati dai concorrenti. Tempo due anni (o anche meno) la risposta. E il mercato (Fca +40% da inizio anno contro il +5% del comparto) ci crede.