X

Fiat-GM, torna di moda l’alleanza che fallì agli inizi del Duemila

Il 13 marzo 2000, salutata dalla stampa economica internazionale come una svolta per l’ auto europea, veniva siglata l’alleanza tra la General Motors e la Fiat, che prevedeva da parte americana la sottoscrizione di una partecipazione del 20% in Fiat Auto in cambio dell’entrata di Fiat nel capitale GM con una quota pari a circa il 5,1%, per un valore di 2,4 miliardi di dollari, e tale da farla diventare il suo primo azionista privato.

Sul piano industriale l’accordo prevedeva inoltre la creazione di due joint venture paritetiche, una negli acquisti di materiali (GM-Fiat Purchasing) e l’altra nella produzione di motori e cambi (Fiat-GM Powertrain), con l’obiettivo di cogliere i vantaggi nell’utilizzo in comune dei componenti e nella riduzione dei costi, benefici quantificati dai partner sino a 2 miliardi di dollari l’anno.

La Powertrain, con sede a Torino, sarà composta da quattro stabilimenti Fiat in Italia e uno in Polonia e da tre stabilimenti GM-Opel in Germania e uno GM in Ungheria, mentre la Purchasing avrà il quartier generale presso la sede storica della Opel a Russelsheim.

Per GM l’ alleanza si inseriva in un percorso teso a far crescere la sua attività automobilistica a livello mondiale, rafforzando la propria posizione in Europa e nel Sud America, le aree geografiche interessate dalle due joint venture, mentre per Fiat l’ alleanza rappresentava il tentativo di integrare le proprie forze con un leader dell’ industria automobilistica, cercando di accelerare con interventi strutturali e di riduzione di costi un ritorno alla redditività, da troppo tempo assente nei conti di Fiat Auto.

Il punto nodale dell’ accordo contrattuale era però il riconoscimento a favore di Fiat del diritto di opzione (il “put”) per cedere il restante 80% di Fiat Auto a GM a partire dal quarto anno ed entro i successivi cinque dell’ alleanza. Con questo accordo la Fiat confermava, ancora una volta, che il suo punto di riferimento erano gli Stati Uniti, come d’altronde era sempre stato nella sua storia.

Già ai primi del’900 infatti la Fiat, prima tra le aziende europee, si era insediata negli States con uno stabilimento automobilistico a Poughkeepsie, nello stato di New York, rimasto in attività sino allo scoppio della seconda guerra mondiale (all’inizio degli anni ’10 i taxi che giravano a New York erano quasi esclusivamente Fiat e non Ford).

Negli anni venti e trenta, ed ancora negli anni cinquanta, gli ingegneri Fiat andavano a Detroit negli stabilimenti Ford a studiare la mass production e l’organizzazione del lavoro taylorista-fordista da applicare agli stabilimenti del Lingotto e di Mirafiori (al contrario di oggi con gli americani che vengono a Pomigliano o Cassino per apprendere le best practices del WCM).

E’ poi di metà degli anni ottanta il tentativo, non riuscito, di comprare la Ford Europa, mentre si sarebbero concluse, negli anni successivi, le acquisizioni di aziende americane nel settore delle macchine per l’ agricoltura, come la New Holand e la Case, o di quelle utensili come la Pico.

L’ “american dream” non si realizzerà però con la General Motors ma con la Chrysler dieci anni dopo: l’alleanza tra Fiat e GM si ruppe infatti dopo cinque anni di incomprensioni sia sul piano industriale sia su quello finanziario e dei risultati economici.

Mentre le due joint ventures trovavano enormi difficoltà ad integrarsi (con le realtà italiane impegnate a contenere i tentativi egemonici delle controparti tedesche), i risultati di Fiat Auto e di Opel, la controllata europea di GM, si facevano sempre meno lusinghieri.

Se le perdite di Opel potevano essere ripianate in quegli anni dall’andamento positivo della casa madre americana, la Fiat, nel maggio 2002, dovette stipulare con un pool di quattro banche un prestito di 3 miliardi di euro (il cosiddetto “convertendo”), e, nel dicembre dello stesso anno, siglare con il Governo un accordo di programma che prevedeva, per Fiat Auto, lo stato di dichiarazione di crisi aziendale, con il ricorso alla cassa integrazione straordinaria e la sospensione dal lavoro di 7500 lavoratori.

Sono anni critici anche per i vertici apicali Fiat: nello spazio di quattro anni, dal 2000 al 2004, nella Capogruppo si succederanno cinque amministratori delegati e, nello stesso periodo, quattro in Fiat Auto.

Anche sul fronte delle quote di partecipazione i rapporti si deteriorano ben presto : non passano due anni che GM svaluta la propria quota in Fiat Auto da 2,4 miliardi a 200 milioni di dollari, mentre Fiat cede la propria partecipazione in GM a Merryll Lynch per 1,16 miliardi di dollari.

La prima vera rottura avviene comunque nel febbraio 2003, quando viene annunciato un aumento di capitale di Fiat Auto da 5 miliardi di euro cui GM avrebbe dovuto partecipare con un miliardo.

La casa americana non solo dichiara di non voler sottoscrivere l’ aumento di capitale, ma comincia a manifestare dubbi sulla reale possibilità di Fiat ad esercitare la clausola contrattuale di “put”, vale a il diritto di Fiat a cedere a GM la Fiat Auto, senza se e senza ma, alle condizioni già pattuite dall’ accordo iniziale a partire dal 24 gennaio 2004, data poi slittata, con una intesa tra le parti, al 2 febbraio 2005.

La Fiat, nel settembre 2004, comunica però che non ci sarà un ulteriore rinvio sull’esercizio del “put”. Si aprirà una dura trattativa con gli americani impegnati ad evitare l’ acquisizione forzata di Fiat Auto e la Fiat decisa a non recedere dalla sua posizione di esercitare il “put”.

Fu una specie di partita a poker. Gli americani dovevano solo andare a vedere se la Fiat stesse bluffando o meno nella dichiarata volontà di esercizio della clausola di “put”, ma non vollero correre il rischio e all’ultimo minuto, prima della deadline e a fronte di una minacciata azione legale della Fiat intenzionata a far valere i propri diritti, nel febbraio 2005 cedettero e giunsero alla sottoscrizione di un oneroso accordo, pur di non rilevare la Fiat Auto.

Per la rinuncia all’ esercizio del “put” e mettere fine all’ alleanza, GM pagò cash a Fiat 1,5 miliardi di euro e restituì la quota di partecipazione che aveva in Fiat Auto. Nel contempo venivano sciolte anche le due joint industriali.

In questo modo GM potè uscire da una alleanza che si era dimostrata economicamente insostenibile, mentre Fiat riacquistava gli spazi di manovra per ridefinire il proprio futuro. Negli anni successivi le due aziende hanno avuto sviluppi completamente diversi.

Mentre il governo americano salva nel 2009 la General Motors dal fallimento, la Fiat, realizzando il suo “american dream”, acquisisce la Chrysler e, come FCA, diventa uno dei player globali dell’ auto.

All’opposto, la GM, se andasse a conclusione l’ operazione PSA-GM Europe e la probabile dismissione delle sue produzioni in Corea, da leader mondiale dell’ auto sino a qualche anno fa diventerebbe ora una azienda regionale confinata solo sul mercato americano.

Related Post
Categories: News