Il Festival della Canzone italiana di Sanremo, che nel 2020 arriverà a festeggiare i suoi settanta anni, non mostra alcun segno di vecchiaia o di cedimento. Viene da chiedersi perché, a differenza di altre analoghe manifestazioni, sia riuscito, nonostante tutto, a sopravvivere alle mode e alle rivoluzioni sociali che hanno attraversato la società italiana.
Una risposta la si può trovare, forse, nella felice intuizione che nel 1995 portò l’autore Sergio Bardotti a scrivere e il maestro Pippo Caruso a comporre “Perché Sanremo è Sanremo”, che, dal 1996, divenne la sigla di tutte le edizioni del Festival condotte da Pippo Baudo. Una sorta di tormentone, riproposto come stacco musicale anche in altre edizioni, che racchiude felicemente l’essenza del Festival.
Per cinque giorni diventa un evento nazionale per il collegamento costante con la realtà del nostro Paese e non solo. Sulla ribalta dell’Ariston sono approdati, ad esempio, i temi della ricerca scientifica con il premio Nobel Renato Dulbecco che accettò di condurre, con Fabio Fazio e Laetitia Casta, l’edizione del 1999 con l’obiettivo di richiamare l’attenzione su questa realtà (il suo compenso “artistico” di 50 milioni di lire fu infatti da lui devoluto alla ricerca italiana). Nella stessa occasione salì sul palco, accompagnato dalla moglie Raissa, MiKhail Gorbaciov che tenne il giorno dopo una lunga conferenza stampa di quasi 90 minuti, parlando di politica.
Nel 2000 il leader degli U2 Bono Vox commosse la platea e i telespettatori con un accorato appello alla politica italiana per la riduzione del debito dei paesi poveri. La Regina Rania di Giordania, nel 2010, richiamò il valore della tolleranza nei rapporti tra Occidente e Oriente.
Su quel palco si parla, però, anche dei problemi della gente comune. A cominciare dai problemi del lavoro, quando nell’edizione del 1984 Pippo Baudo, nonostante le preoccupazioni della dirigenza Rai e dei responsabili delle forze dell’ordine, fece salire su palco una delegazione dei 2.000 metalmeccanici dell’Italisider che protestavano davanti all’ingresso del Teatro Ariston contro la chiusura degli stabilimenti di Genova. Nel 2014 le mogli dei due marò italiani detenuti, allora, in India, invitate per la serata come ospiti del Comune di Sanremo, preferirono invece incontrare i giornalisti della Sala Stampa per sollecitare una più decisa azione del governo per la liberazione dei loro congiunti. Quell’anno arrivarono al Festival anche i problemi dei pendolari e dei frontalieri tra Italia e Francia per la prolungata interruzione della linea ferroviaria Genova-Ventimiglia causata da una frana e s’illustrò la missione spaziale europea con l’astronauta Luca Parmitano.
Nel 2015 fu la volta della quotidianità di una famiglia composta di due genitori e 16 figli tra 18 anni e 19 mesi, che lanciò dal palco un inno alla vita. Nel 2016, mentre il Senato della Repubblica era chiamato a votare il ddl Cirinnà per “l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze” molti artisti indossarono “laccetti arcobaleno” per sollecitarne l’approvazione. Un discorso a parte andrebbe fatto sui testi delle canzoni che ogni anno raccontano il nostro Paese.
E l’impegno “politico” non è mancato sin dagli inizi della manifestazione. La canzone vincitrice della seconda edizione del Festival del 1952 “Vola Colomba”, cantata da Nilla Pizzi, affrontò con varie allusioni il grave problema che agitava la politica italiana e i rapporti tra gli ex alleati: l’occupazione di Trieste e le mire espansionistiche sulla città e su Gorizia del governo comunista della Jugoglavia del Maresciallo Tito e le ferite ancora aperte per i tanti profughi giuliano- dalmati, che seguirono commossi la trasmissione radiofonica del Festival condotto da Nunzio Filogamo.
Tutto questo dimostra, alla fine, che quello di Sanremo non è semplicemente un “festival di sole canzonette”. Quindi è stato del tutto normale che, durante la presentazione al Casinò della “Città dei fiori” del 69° Festival della Canzone italiana di Sanremo, una collega spostasse l’attenzione del Direttore artistico sul problema dell’immigrazione clandestina. E che Claudio Baglioni, di cui si conosce l’impegno sociale e artistico per sensibilizzare opinione pubblica e governo su questo problema, desse una sua risposta. Un’ulteriore conferma del “Perché Sanremo è Sanremo”.