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Festa del Lavoro, sicurezza e formazione al centro del Primo Maggio

Imagoeconomica

Quest’anno Cgil, Cisl, Uil hanno scelto Prato come città simbolo per festeggiare la Festa del lavoro. Una scelta che ha un legame forte col tema che i sindacati hanno deciso di mettere al centro della celebrazione, quello della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Dopo circa 10 anni in cui si era registrato un calo, seppur graduale, di infortuni e morti sul lavoro, quest’anno abbiamo assistito  ad una ripresa: 151 vittime da gennaio, come certificato dall’INAIL.   

Le ragioni del perpetuarsi di questa situazione sono note. Da un lato  la mancanza di una diffusa cultura della sicurezza, che resta deficitaria nonostante il miglioramento del quadro normativo; dall’altro, llo smantellamento della rete di controlli. 

Come Fim Cisl in occasione del 1° Maggio, per il terzo anno, abbiamo organizzato insieme a NexT e alle reti della società civile, un prologo alla festa del lavoro in preparazione del 1° Maggio che festeggeremo insieme in tutte le piazze d’Italia e a Prato a livello nazionale. 

Quest’anno lo abbiamo fatto a Milano, dove insieme a 300 metalmeccanici provenienti da tutt’Italia abbiamo premiato tre aziende, una veneta le altre due lombarde, “campioni” di sicurezza, sostenibilità sociale e ambientale. 

A nessuno, come abbiamo scritto insieme a Leonardo Becchetti sul Sole 24 Ore la settimana scorsa, credo sfugga che in tutte le sue regole ed istituzioni il sistema economico in cui viviamo è costruito per realizzare primariamente l’obiettivo della crescita e del benessere dei consumatori. E’ innegabile che questo indirizzo, ci ha consentito di raggiungere risultati straordinari negli ultimi due secoli.

Siamo oggi altrettanto consapevoli che questo duplice obiettivo mette necessariamente in secondo piano altre due questioni fondamentali per la soddisfazione di vita e la sostenibilità stessa del sistema: la qualità del lavoro, che significa anche maggiore sicurezza e salute, e la tutela dell’ambiente. Entrambe sono condizioni imprescindibili per uno sviluppo sostenibile. A patto che i lavoratori diventino consapevoli che il loro “voto quotidiano col portafoglio” è decisivo per le loro stesse sorti e quelle dell’ambiente in cui vivono.  

Per questo abbiamo ritenuto utile aggiornare lo strumentario di lotta del sindacato con uno strumento come il “voto col portafoglio”, che abbiamo inserito anche nel nostro statuto.  

Ormai è noto che, in un orizzonte di medio periodo, la sostenibilità (sociale, ambientale e fiscale) riduce l’esposizione a importanti fonti di rischio ed è la chiave per rendere profittevoli le aziende. 

In questa dimensione, la Festa del 1 Maggio, dovrebbe rappresentare anche un momento di riflessione, soprattutto rispetto ai cambiamenti che il lavoro, con l’avanzata delle nuove tecnologie, sta già attraversando. Siamo immersi in una rivoluzione culturale e di senso, della quale non è ancora possibile individuare i contorni ma che, in ogni caso, non può trovarci impreparati. 

Anche se siamo in parte usciti dalla crisi, il carattere selettivo della ripresa fa si che molte persone si sentano trattate come scarti.  Tuttavia é interessante notare che la diffusione della povertà è inversamente proporzionale al titolo di studio. Ciò deve spingerci a prendere molto sul serio l’obbligo scolastico e la formazione. L’istruzione e il sapere sono gli strumenti più forti che abbiamo a disposizione per contrastare la povertà. Per non rimanere spiazzati su un mercato del lavoro in rapida trasformazione non possiamo che puntare sulla formazione.

Formazione che, per la prima volta in Italia, il contratto dei metalmeccanici ha introdotto come diritto soggettivo dei lavoratori. Migliorare il loro bagaglio di competenze è una necessità assoluta, considerato che su questo versante soffriamo di un grave ritardo e che tutte le stime ci dicono che il 65% dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari domani faranno un lavoro che oggi non esiste. 

Come ha certificato l’Istat tra gli operai, uno su otto è povero assoluto, questo dato, insieme a quello delle morti e degli infortuni e per tutti una sconfitta, perché se è sotto la soglia di povertà anche chi ha il lavoro significa che un pezzo del nostro mondo è dentro le periferie esistenziali di cui parla Papa Francesco. E significa anche che non è sufficiente fare campagne generiche sull’innalzamento dei salari, bisogna aggredire le cause dei bassi salari e della mancanza di lavoro.

Puntare sulla produttività e scommettere sulle persone attraverso la formazione è uno dei modi per riportare le persone fuori dalle periferie. Ma la povertà è frutto di una mancanza di capitali non solo economici ma anche sociali, di capitali di relazione, e il fai-da-te isola le persone. Ci sono due sintomi di questo aspetto: prima la diffusione dei “compro oro”, poi delle slot machine. Dove avanza la povertà crescono azzardo e disperazione. C’è una frattura dei legami, che vanno ricostruiti.  

La digitalizzazione dell’impresa, quella che oggi chiamiamo “Industry 4.0”, ovvero la fusione tra nuove tecnologie digitali, rete internet e manifattura convenzionale,  rappresenta una salto verso un mondo diverso, completamente nuovo che non può essere più letto e interpretato e tutelato con strumenti e  lenti interpretative del ‘900. 

Il cambiamento interesserà l’intero ecosistema in cui viviamo: città, reti, amministrazione pubblica, mobilità , energia; tutto sarà  ridisegnato in una muova dimensione di interconnessione. 

In questo contesto, immaginare di fermare il progresso è velleitario. Nel nostro Paese sono molti i tecnofobi che si annidano tra media e opinionisti. Sono questi gli ambienti che alimentano il business della paura per il futuro e per la tecnologia, che a  detta di queste nuove cassandre ci porterebbe alla fine del lavoro. Peccato però che i paesi con più basso tasso di disoccupazione siano quelli a più elevato tasso d’innovazione tecnologica (vedi Corea del Sud e Germania).

La tecnologia contiene i valori di chi la progetta, dunque non bisogna temere il futuro, ma lavorare insieme per progettarlo dentro una dimensione in cui l’uomo sia al centro di questa nuovo “rinascimento digitale”. Lo scorso mese di ottobre a Cagliari in occasione delle settimane sociali della Chiesa,  grazie al progetto dei “Cercatori di lavOro” sono state individuate oltre 400 “buone pratiche” da cui partire, un modo per reagire a quella cultura dello sfascio che ha avvelenato una parte del Paese . 

Siamo consapevoli che il lavoro cambierà, del resto già sta cambiando in misura notevole. Proprio per accompagnare il cambiamento siamo stati in prima linea nella negoziazione di accordi sindacali che, introducendo lo smart-working in molte aziende, si sono fatti carico di regolare il nuovo rapporto tra prestazione lavorativa e spazio fisico.  Lo smart-working permette di svolgere attività anche lontano dalla propria sede di lavoro: è un mutamento essenziale della dimensione organizzativa.  

Del resto le piattaforme digitali e le “app” hanno già portato il lavoro in un territorio dematerializzato, nel cyberspazio, come dimostrano le vicende della gig e della sharing economy.  

Le tutele e i diritti di questi lavoratori  vanno ripensati completamente dentro una dimensione e una cornice di regole, magari attraverso una  “app sindacale” che sia in grado di adeguare le forme giuridiche alle esigenze dei tempi senza ripercorrere le vie battute nel ‘900. 

Certo la soluzione non può essere quella del reddito di cittadinanza: immaginare una società in cui solo il 10% della popolazione lavora stabilmente mentre il 90% vive di sussidi – come prospetta qualche guru della Silicon Valley e qualche partito in Italia – è immorale ancor prima di essere illogico. 

Mentre qualcuno continua ad immaginare un mondo di uomini liberi dal lavoro, noi preferiamo batterci per un mondo in cui ci si liberi nel lavoro…Buon primo maggio.

°°°°L’autore è il Segretario Generale della Fim-Cisl

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