Il sette aprile scorso Franco Ferrarotti, accademico d’eccellenza e padre della sociologia in Italia, ha compiuto, in piena forma fisica ed intellettuale, i suoi primi novant’anni. Era entrato nelle case degli italiani con la nascita della televisione negli anni Sessanta e ha continuato a studiare e a insegnare l’evoluzione della società fino ai tempi d’oggi. Chi meglio di lui può raccontare e valutare i cambiamenti della nostra epoca ma anche lo stato di salute del nostro Paese e della società italiana? Ecco che cosa Ferrarotti ha dichiarato nell’intervista rilasciata a FIRSTonline nel suo studio romano affollato da migliaia e migliaia di libri che fotografano una storia culturale di prima grandezza vissuta tra Nicola Abbagnano, Adriano Olivetti, Felice Balbo e Cesare Pavese e il fior fiore della cultura contemporanea e tra anni e anni di studio e di insegnamento in Italia, in Europa e in America.
FIRSTonline – Professor Ferrarotti, qualche settimana fa Lei ha festeggiato i suoi primi novant’anni. In mezzo a tanti problemi e tante difficoltà della nostra epoca, pochi potrebbero testimoniare meglio di Lei che l’allungamento della vita media e la più alta attesa di vita non sono più un sogno ma una realtà. Si può dire che questa è una delle più belle novità dei nostri tempi?
FERRAROTTI – Certamente sì, ma sapendo che non è tutto oro quello che luccica. Non solo perché l’invecchiamento spesso si accoppia alla solitudine di molte persone anziane ma perché è l’altra faccia della denatalità, come è già successo alla Francia degli anni Trenta e all’Urss del ’92. Al di là delle difficoltà materiali che frenano le nuove nascite, la denatalità è il segno di una profonda sfiducia nel futuro e del liquefarsi di una società che si fatica a tenere insieme dopo il tramonto delle ideologie. Attorno a noi vedo una grande crisi di ideali e il rifugiarsi sempre più diffuso nella vita del giorno per giorno e delle convenienze immediate.
FIRSTonline – Come spiega il ripiegarsi su se stessa di un’epoca che è attraversata da grandi novità come la globalizzazione, le migrazioni bibliche dei profughi e dei rifugiati e l’enorme sviluppo del progresso tecnico e scientifico?
FERRAROTTI – Lo spiego vedendo che la società di oggi è priva di principi guida. La globalizzazione è una novità che non va né enfatizzata né demonizzata e che, se non viene governata intelligentemente , si riduce all’allargamento dei mercati ma perde l’occasione di promuovere un dialogo fecondo tra culture, religioni ed etnie diverse. C’è però un altro aspetto decisivo che domina i nostri tempi e che è il frutto della caduta delle ideologie ma anche degli ideali?
FIRSTonline – Qual è?
FERRAROTTI – E’ il predominio della tecnica e della tecnologia, che sono certamente attività utili all’uomo ma che non sanno indicare scopi al di fuori di se stesse, perché hanno valore puramente strumentale. In questo modo si annebbiano i valori profondi di una società e non si sanno più indicare le mete dei popoli. Non si può consegnare tutto il proprio destino a tecnici e ingegneri.
FIRSTonline – Nelle sue parole sembra di ritrovare l’eco di una domanda che ha dato il titolo a un altro suo libro: “Capitalismo: lusso o risparmio”. E’ così?
FERRAROTTI – La sociologia ci insegna a leggere e a studiare le diverse forme economiche e sociali senza pregiudizi e preconcetti e il capitalismo, per come si è manifestato finora, è proteiforme, altamente mobile, adattabile a tutto ma, come diceva Adriano Olivetti, si supera da sé. Ha una vitalità estrema ma paga i suoi trionfi. E’ crudele, agisce senza esitazioni e non ha coscienza storica, ma finora non è stato inventato un sistema economico e sociale migliore.
FIRSTonline – L’età media si è allungata, molte malattie sono state sconfitte, la fame nel mondo si è ridotta anche se ci sono milioni di persone che non hanno di che mangiare e altre che soffrono di obesità, le tecnologie hanno fatto prodigi ma l’umanità di oggi sembra attraversata da conflitti e paure: è un segno dei nostri tempi?
FERRAROTTI – Io sono un inguaribile ottimista e ho sempre una visione positiva della società che mi viene dalle scienze sociali e dagli studi a cui mi sono dedicato fin dalla gioventù. Per questo dico che non dobbiamo rassegnarci e che la nascita di un nuovo umanesimo gestito da un governo mondiale, alimentato da un riformismo pragmatico e moderno ma non privo di grandi ideali, non è una chimera e può essere facilitata dalle nuove tecnologie, purché queste ultime siano considerate nel loro valore strumentale e non assurte a Bibbia della società .
FIRSTonline – Dani Rodrik, nel suo libro su “La globalizzazione intelligente”, sostiene che il trinomio – democrazia, Stato nazionale e globalizzazione – non sta più in piedi e che uno dei tre termini è destinato a cadere: ha ragione?
FERRAROTTI – Sì, lo penso anch’io e naturalmente mi auguro che a farne le spese non sia né la globalizzazione, che è inarrestabile, né la democrazia. Se dobbiamo sacrificare qualcosa, sacrifichiamo lo Stato nazionale, che aveva senso fino alla Seconda guerra mondiale ma che oggi è obsoleto perché è troppo burocratico ed è troppo debole per indirizzare gli investimenti necessari allo sviluppo.
FIRSTOnline – Professore, pochi come Lei possono esprimere una visione d’insieme dei cambiamenti del nostro Paese : qual è oggi la sua visione dell’Italia?
FERRAROTTI – E’ quella di una Paese paradossale, come recitava il titolo di un pamphlet che ho scritto qualche anno fa. Società antichissima e Stato unitario di appena un secolo e mezzo, per trenta secoli società rurale e artigianale e poi, in poco più di una generazione (1950-1980), società industriale: la chiave di lettura dell’Italia di oggi sta proprio qui. È un Paese diventato rapidamente ricco e che ora ha paura di tornare povero. Non vuole più rischiare nulla e custodisce gelosamente i suoi risparmi senza investirli in nuove attività produttive, ma così l’Italia si chiude in se stessa, si parcellizza e si disgrega e prepara una nuova povertà. Due milioni e mezzo di giovani disoccupati sono una polveriera. E il debito demografico, che ci fa perdere mezzo milione di persone ogni anno, è ancor più grave del debito pubblico. Ci vorrebbe un rinascimento culturale e ideale prima ancora che politico ed economico.
FIRSTonline – Dopo aver sfiorato la paralisi istituzionale all’inizio della legislatura, la sorte ci ha però riservato il più giovane premier d’Europa e un insieme di riforme come non s’erano mai viste: qual è il suo giudizio sulla stagione di Renzi?
FERRAROTTI – Modernizzare l’Italia, come il premier dice di voler fare, è una sfida da far tremare i polsi ma l’irruzione di un premier dinamico come Matteo Renzi in un Paese imbrigliato dalla corruzione, dalla burocrazia, dal familismo amorale è una novità molto interessante. Ce la farà a rimuovere i monsignori inamovibili che per troppo tempo hanno dominato lo Stato italiano? Speriamo, ma il fatto che parli chiaro, che non guardi in faccia a nessuno e che affronti con coraggio le battaglie per le riforme depone a suo favore ed è un segnale incoraggiante.
FIRSTonline – Ora però lo spartiacque di questa legislatura è diventato il referendum sulla riforma della Costituzione e la logica vorrebbe che si ponesse al centro della consultazione la scelta tra chi preferisce una riforma che, pur con tutti i suo limiti, taglia i costi della politica e semplifica il processo decisionale e tra chi invece privilegia la difesa dello status quo, ma nel dibattito pubblico stenta ad emergere la vera posta in gioco: è il segno che nelle scelte degli italiani l’emotività prevale spesso sulla razionalità?
FERRAROTTI – Il referendum di oggi si profila in effetti come una sfida cruciale per smantellare o difendere interessi e privilegi consolidati, una sfida che va molto al di là della stessa riforma del Senato. Mi ricorda il referendum tra monarchia e repubblica. Quando il potere costituito si sente insidiato, tenta sempre di vendicarsi ma, Renzi o non Renzi, se non vince il SI’ andiamo incontro ad anni bui. Io però ho fiducia nella maturità democratica del popolo italiano e credo che, alla fine, la razionalità prevarrà.