L’altro ieri, quando Mario Draghi ha terminato il suo intervento al convegno per il centenario della nascita di Federico Caffè e ha lasciato l’aula magna di Economia a Roma Tre, mentre fuori un gruppo di manifestanti gridavano “Fuori i banchieri dall’Università”, dentro nell’aula alcuni studenti snocciolavano invano le domande contestatrici che avrebbero voluto rivolgere a Draghi. A quel punto sentimenti violenti e contraddittori hanno pervaso i presenti, come nel ’68 almeno nei ricordi di chi ha vissuto quella stagione. Anche perché le domande erano confuse, prefabbricate, provocatorie, non tenevano conto di quanto pure aveva detto lo stesso Draghi sull’inaccettabile livello raggiunto dalla disoccupazione e sul deterioramento del capitale umano. Eppure le domande erano legittime e meritevoli di ascolto rispettoso, non solo per il diritto di tutti a pensare e parlare ma appunto per la drammaticità della situazione lavorativa nel paese. Nessuna persona seria può imporre censure. Quando l’economista Guido Rey che presiedeva il dibattito ha dato agli studenti tutto lo spazio che volevano, alcuni di noi hanno pensato che stava sbagliando, che avrebbe dovuto avere più polso. E invece, a ben riflettere a mente fredda, ha fatto bene, ha dato modo a chiunque di ascoltare e comprendere, riflettere su quanto sia intricata la matassa e quanto assoluto sia il vuoto di proposte alternative.
Con buona pace degli agitatori, nessuno ha mai accolto, o quanto meno nessuno ha mai avuto successo nell’accogliere istanze del tipo: vogliamo lavoro senza investimenti privati. Oppure, vogliamo investimenti senza credito, per esempio abolendo le banche non solo nell’università, ma dappertutto. Oppure vogliamo un credito gratis, senza intermediazione del risparmio.
Invece, sono fondati dubbi e domande come queste altre: è sufficiente che la Bce faccia la sua parte? No? Serve che anche i governi dei paesi più indebitati facciano le riforme strutturali? E se anche queste fossero fatte, basterebbe? Ma basterebbe a cosa? Se con la cura della Bce le banche tornassero a fare credito buono, e se con le riforme del miglior Renzi si ripristinassero i presupposti per le convenienze economiche, gli imprenditori tornerebbero a fare investimenti e a creare nuovo lavoro? Questa è la vera domanda, cui nessuno risponde, né Draghi, né Renzi, né il capo degli imprenditori, né la Camusso di turno, né gli agitatori dentro o fuori l’aula. Se gli imprenditori non tornassero, i giovani in crisi senza lavoro non si gioverebbero del loro abbandono. Paradossalmente, spunterebbero nuovi agitatori contro gli attuali agitatori. E neanche i nuovi agitatori risolverebbero il problema.