In tempi di Coronavirus e di spostamenti brevi, i venditori ambulanti di cibi e bevande diventano essenziali. Sono circa 34mila sparsi su tutto il territorio nazionale e rappresentano un importante punto di riferimento per i consumatori e per i produttori agricoli legati al territorio. Le bancarelle – sottolinea la Coldiretti – sono importanti per rifornire le dispense degli italiani di frutta, verdura, salumi, formaggi, carne, pesce. E già che si parla di cibo in strada come non sottolineare l’importante funzione che svolge lo street food che ha fatto segnare una vera e propria esplosione negli ultimi anni.
Secondo un’indagine Coldiretti/Ixè nell’ultima estate sette italiani su dieci (69%) hanno scelto di consumare cibo di strada con una domanda che concilia la praticità con il costo contenuto e rappresenta una forma di vendita particolarmente apprezzata. Tra coloro che mangiano cibo di strada ad essere nettamente preferito dal 74% è il cibo della tradizione locale che va dalla piadina agli arrosticini fino agli arancini, mentre il 16% sceglie quello internazionale come gli hot dog e solo il 10% i cibi etnici come il kebab, in netto calo rispetto al passato. A sostenere il percorso di qualificazione dell’offerta alimentare in questo settore ci sono gli oltre mille mercati degli agricoltori che si sono diffusi in molte grandi e piccole città grazie alla Fondazione Campagna Amica che ha realizzato la più vasta rete di vendita diretta a livello mondiale.
Ma anche questi settori devono fare i conti con regole e vincoli da Fase 2 per il commercio quotidiano nonché per lo svolgimento di sagre e fiere che in Primavera riprendono vita e rappresentano una boccata d’ossigeno per la piccola produzione agroalimentare artigianale legata al territorio.
I mercati alimentari – sostengono alla FIVA, Federazione Italiana Venditori Ambulanti, possono essere più sicuri delle lunghe code davanti ai supermarket e consentono ai cittadini di fare la spesa sotto casa, senza inutili spostamenti e a prezzi spesso più vantaggiosi della grande distribuzione. Tuttavia la situazione tarda ad essere sbloccata.
“Abbiamo diligentemente seguito le disposizioni del governo, delle istituzioni locali e delle autorità sanitarie e scientifiche – dichiara il presidente di Fiva-Confcommercio Giacomo Errico – ma ora siamo esasperati. Non siamo invisibili e vogliamo tornare a lavorare, ma le Amministrazioni locali devono salvaguardare al massimo le attività degli operatori su aree pubbliche. Abbiamo urgenza e necessità che vengano azzerati i tributi per l’occupazione di suolo pubblico e per la tassa sui rifiuti. E’ un paradosso: siamo chiusi e paghiamo le tasse”. “La politica e il governo ci ascoltino – aggiunge Errico – non ci servono indennità una tantum ma chiediamo provvedimenti concreti, di immediata attuazione e senza burocrazia, per il sostegno creditizio e per l’ottenimento di liquidità, anche in parte a fondo perduto. E soprattutto regole certe per riaprire e quindi si faccia chiarezza nel caos dei codici Ateco perché è davvero incomprensibile che tra le attività consentite di commercio al dettaglio non sia contemplato il comparto di vendita su aree pubbliche”.
Anche l’Associazione nazionale Streetfood ha lanciato un appello al Governo: il salvaguardare il lavoro degli ambulanti, memoria storica di una cucina d’altri tempi.
“Dipendenti non tutelati, imprese che rimettono gli eventi e i soldi investiti in materie prime all’indomani dell’inizio della stagione lavorativa. Il DL “Cura Italia” sembra essersi dimenticato di questa categoria lamenta Massimiliano Ricciarini, presidente di Streetfood: «Gli ambulanti del cibo non tutelati in questo momento drammatico, il reddito è sottozero visto che le spese continuano».
Abbiamo scritto una lettera di richieste al Governo Conte – spiega Ricciarini – per ora però nessuna risposta. Commercianti ambulanti e organizzazione eventi sono dimenticati dalle istituzioni a partire dal Governo fino alle Associazioni di categoria” aggiunge Ricciarini ricordando i molti eventi di successo organizzati dal 2010 girando l’Italia e riempiendo hotel e aumentando l’indotto, e i milioni di euro versati all’erario ogni anno dalle tante partite iva di commercio ambulante.
Parliamo, infatti, di un settore che vale 19 milioni in Italia, di cui oltre 3 milioni in Campania e Emilia Romagna, oltre 2 milioni in Lazio, in Sicilia e in Lombardia.
«Da ottobre siamo fermi e le prospettive per la ripartenza ancora non ci sono», afferma dal canto suo, Alfredo Orofino, imprenditore, ideatore ed organizzatore del Festival Internazionale dello Street Food, “re” di questa categoria.
«Nel 2020 il calendario del festival prevedeva 100 eventi in altrettante piazze d’Italia che sono stati bloccati dalla pandemia – racconta Orofino –. La natura del nostro lavoro poi ha molti aspetti positivi, come lavorare all’esterno e poter mantenere le distanze con facilità, ma anche limiti che andrebbero sicuramente rivisti. Per questo ho scritto a inviato precise richieste alle istituzioni nazionali, regionali e comunali, mettendo a punto un piano operativo ed organizzativo che permetta agli operatori di lavorare, rispettando tutte le misure di sicurezza. Le risposte sono state, a voce, anche positive ma l’operatività è ancora lontana».
Negli ultimi cinque anni, un giorno sì e un giorno no, è nata una impresa di street-food, la ristorazione ambulante che sta conquistando sempre nuovi sostenitori. La fotografia del settore della ristorazione ambulante è stata scattata da Unioncamere – InfoCamere, sulla base dei dati ufficiali del Registro delle Imprese tra il 2013 e il 2018. L’esercito del catering su ruote, infatti, è passato dalle 1.717 attività del 2013 alle 2.729 attuali, con un incremento in termini assoluti di oltre mille unità.
E va sottolineato infine l’elvato apporto che al settore stanno dando gli imprenditori under 35 . Le loro 600 imprese rappresentano oggi il 22% delle oltre 2.700 attività di ristorazione da passeggio.