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Famiglie italiane, la ricchezza cambia: la casa vale meno, la finanza cresce

FOCUS BNL – La capacità di risparmio delle famiglie italiane si è notevolmente ridotta mentre la ricchezza è stagnante – Cambia però la sua composizione perchè tra il 2011 e il 2016 il valore delle abitazioni si è ridotto di 400 miliardi mentre la ricchezza familiare è salita a 4.200 miliardi, il livello più alto degli ultimi 20 anni

Famiglie italiane, la ricchezza cambia: la casa vale meno, la finanza cresce

La ricchezza delle famiglie italiane sperimenta da anni una sostanziale stagnazione del valore, risultato di un’evoluzione differente nelle due componenti principali: le abitazioni e le attività finanziarie. Tra il 2011 e il 2016, il valore delle abitazioni, dopo essere cresciuto in maniera significativa nei dieci anni precedenti, passando da 2.940 del 2001 a 5.688 miliardi di euro, si è ridotto di oltre 400 miliardi, riflettendo il calo superiore al 15% delle quotazioni immobiliari.

La ricchezza finanziaria ha, invece, interamente recuperato quanto aveva perso durante la prima recessione, avvicinandosi ai 4.200 miliardi di euro a settembre del 2017, il livello più alto degli ultimi venti anni. L’aumento del valore della ricchezza finanziaria è spiegato per la quasi totalità dalla ripresa delle quotazioni, mentre la capacità di accantonare nuovo risparmio si è notevolmente ridotta. Nel periodo precedente la crisi, le famiglie italiane riuscivano ad investire in media ogni anno quasi 120 miliardi di euro di nuove risorse; tra il 2011 e il 2016, siamo scesi a poco più di 20.

Un trend che rappresenta una particolarità italiana: la nuova ricchezza investita in attività finanziarie dalle famiglie francesi si è, infatti, ridotta solo leggermente, rimanendo, comunque, al di sopra dei 90 miliardi medi annui, mentre quella accantonata dai tedeschi è addirittura aumentata, raggiungendo i 180 miliardi. Nel corso degli ultimi anni, la minore capacità di accantonare nuovo risparmio degli italiani si è accompagnata ad un profondo cambiamento nelle politiche di investimento. Le obbligazioni bancarie e i titoli pubblici sono stati oggetto di forti vendite, divenendo poco rilevanti nel portafoglio delle famiglie.

La ricerca di un nuovo equilibrio tra sicurezza e rendimento ha, invece, indirizzato gli italiani verso i prodotti assicurativi, mantenendo, comunque, alto l’interesse per i depositi. Dallo scoppio della crisi, è, inoltre, cresciuta l’importanza dei fondi comuni, che, tra il 2012 e il 2017, hanno beneficiato dell’afflusso di quasi 200 miliardi di euro, portando il valore complessivo dell’investimento oltre i 500 miliardi. L’attenzione degli investitori si è concentrata sui fondi esteri, che hanno assorbito il 65% del totale delle nuove risorse destinate a questa tipologia di attività finanziaria.

Nel confronto con gli italiani, le famiglie tedesche mostrano maggiore attenzione per la sicurezza e la liquidità, destinando quasi l’80% della ricchezza ai depositi e ai prodotti assicurativi e previdenziali. L’importanza delle azioni non quotate avvicina, invece, l’esperienza francese a quella italiana, sebbene ai fondi comuni venga destinata solo una piccola parte dei risparmi.

Più finanza, meno immobili nel patrimonio degli italiani

Nel corso degli ultimi anni, il valore della ricchezza degli italiani ha sperimentato una sostanziale stagnazione, come risultato di un’evoluzione differente nelle due componenti principali: le abitazioni e le attività finanziarie. Il valore delle abitazioni detenute dalle famiglie era cresciuto in maniera significativa nel periodo precedente la crisi, passando da 2.940 miliardi di euro nel 2001 a 5.375 nel 2008. Durante la prima recessione, l’aumento era proseguito, raggiungendo i 5.688 miliardi nel 2011, nonostante il numero delle transazioni immobiliari fosse sceso drasticamente, dalle 877mila del 2006 alle 617mila del 2010.

Con lo scoppio della seconda recessione, caratterizzata da una brusca flessione della domanda interna che aveva portato ad un ulteriore calo delle transazioni immobiliari, crollate a poco più di 400mila nel 2013, il valore totale delle abitazioni ha iniziato a ridursi: in cinque anni, sono stati persi più di 400 miliardi, scendendo sotto i 5.300 miliardi nel 2016. Nonostante questa flessione, il valore del patrimonio immobiliare delle famiglie si mantiene, comunque, su un livello superiore di quasi l’80% rispetto a quanto registrato all’inizio degli anni Duemila.

La ricchezza finanziaria mostra un percorso differente da quello delle abitazioni. Il valore delle attività complessivamente detenute dalle famiglie era aumentato del 40% negli anni precedenti la crisi, passando da circa 2.900 miliardi di euro nel 2001 a quasi 4.100 nel 2006. La prima recessione, con la brusca caduta del commercio internazionale e l’ampia flessione delle quotazioni di mercato, aveva portato ad una perdita complessiva di ricchezza superiore ai 600 miliardi, scendendo sotto i 3.500 nel 2011. Negli ultimi sei anni, il miglioramento delle condizioni sui mercati finanziari ha favorito una ripresa del valore delle attività detenute dagli italiani, tornato sopra i 4.000 miliardi nel 2015, per poi avvicinarsi ai 4.200 a settembre del 2017, il livello più alto dal 1995.

L’aumento del valore delle attività finanziarie ha quasi interamente compensato il calo di quello delle abitazioni, spiegando la sostanziale stagnazione della ricchezza complessiva, che, considerando anche le altre tipologie di beni posseduti, come ad esempio gli immobili non residenziali e i terreni, è risultata pari a 10.335 miliardi di euro nel 2016, circa 100 in meno del massimo raggiunto nel 2013. La diversa evoluzione sperimentata nel corso degli ultimi anni ha modificato la distribuzione della ricchezza delle famiglie tra le due componenti principali. Il peso delle abitazioni, che tra il 2001 e il 2011 era cresciuto di oltre 10 punti percentuali raggiungendo il 55%, si è ridotto intorno al 50%, mentre quello delle attività finanziarie, dopo essere sceso sotto il 35%, si è avvicinato al 40%.

Il minore risparmio penalizza la ricchezza degli italiani

Quanto sta accadendo alla ricchezza delle famiglie italiane è il risultato di fattori differenti, che influenzano le diverse componenti. La valutazione del patrimonio immobiliare riflette l’andamento del mercato delle abitazioni. Alla deludente evoluzione delle transazioni, con il debole recupero degli ultimi quattro anni, che ha riportato il numero complessivo delle compravendite su livelli inferiori di circa il 40% rispetto al massimo raggiunto prima della crisi, si è affiancata a partire dal 2011 una brusca caduta dei prezzi delle abitazioni, che nel III trimestre 2017 hanno registrato una flessione di oltre il 15%. Il calo supera il 20% per le case esistenti, mentre risulta meno ampio per quelle nuove.

L’aumento del valore delle attività finanziarie, sebbene positivo, nasconde dinamiche che meritano di essere approfondite. Tra il 2011 e il 2016, l’investimento delle famiglie italiane è cresciuto in media ogni anno di circa 110 miliardi di euro, più di quanto veniva registrato tra il 1999 e il 2008. Nel confronto tra i due periodi emergono, però, profonde differenze: negli anni precedenti la crisi, l’aumento del valore della ricchezza era spiegato interamente dalla capacità degli italiani di accantonare nuovo risparmio, con quasi 120 miliardi di euro di nuove risorse investite in media ogni anno, mentre l’andamento non favorevole dei mercati deprimeva la ricchezza complessiva.

Dallo scoppio della crisi, la capacità delle famiglie di accantonare nuovo risparmio si è ridotta sensibilmente: dai 120 miliardi medi annui della prima parte degli anni Duemila si è passati ai 33 registrati tra il 2009 e il 2011, per poi scendere a poco più di 20 tra il 2012 e il 2016. In quest’ultimo periodo, l’aumento del valore della ricchezza è spiegato per quasi l’80% dall’andamento favorevole dei mercati. Una tendenza confermata dai dati relativi ai primi nove mesi dello scorso anno: tra gennaio e settembre, il valore del patrimonio finanziario delle famiglie italiane è aumentato di poco più di 100 miliardi di euro, dei quali solo 25 sono relativi a nuove risorse risparmiate ed accantonate in attività finanziarie.

Queste dinamiche rappresentano una peculiarità italiana. In Francia, le nuove risorse investite dalle famiglie in attività finanziarie si sono ridotte solo leggermente. Nella prima parte degli anni Duemila, il flusso dei nuovi investimenti superava i 110 miliardi di euro, più che compensando l’effetto moderatamente negativo del calo delle quotazioni. Durante la prima parte della crisi, tra il 2008 e il 2011, si risparmiavano poco più di 100 miliardi ogni anno, che si andavano a sommare agli aumenti derivanti dalla favorevole evoluzione delle quotazioni, facendo crescere in media la ricchezza di 150 miliardi. Nell’ultimo periodo, il flusso delle nuove risorse è rimasto sostanzialmente stabile: tra gennaio e settembre del 2017, sono stati accantonati 100 miliardi, portando il valore complessivo del patrimonio finanziario oltre i 5mila miliardi, 170 in più di quanto registrato alla fine del 2016.

L’esperienza delle famiglie tedesche risulta ancora più favorevole: il flusso medio annuo di nuove risorse investite è passato dai 125 miliardi di euro della prima parte degli anni Duemila ai 180 raggiunti tra il 2012 e il 2016. In quest’ultimo periodo, il valore complessivo delle attività finanziarie è aumentato in media ogni anno di oltre 230 miliardi, superando a settembre del 2017 i 5.900 miliardi. Le difficoltà degli italiani nell’accantonare nuovo risparmio sono un’ulteriore rappresentazione di quanto accaduto negli ultimi anni. Con lo scoppio della crisi, le famiglie avevano reagito al calo del reddito riducendo il risparmio, per cercare di salvaguardare il livello dei consumi raggiunto in precedenza. Superata l’ultima recessione, la spesa sembra essere tornata a seguire la dinamica del reddito, mostrando, però, un nuovo equilibrio, caratterizzato da un più basso livello di risparmio.

Nella prima metà degli anni Duemila, su 100 euro di reddito se ne risparmiavano tra 12 e 13, mentre oggi ci si ferma intorno agli 8. Passando dai valori aggregati a quelli pro-capite, le distanze rispetto alle altre due principali economie europee appaiono ancora più evidenti. Tra il 2000 e il 2008, ogni italiano riusciva ad investire in attività finanziarie poco più di 2mila euro in media ogni anno. Tra il 2012 e il 2016, siamo scesi sotto i 400 euro, mentre un francese si avvicina a 1.400 e un tedesco supera i 2.200. Senza dubbio, le famiglie italiane sono oggi ancora ricche; lo sono, però, meno di quanto lo fossero in passato. All’inizio degli anni Duemila, ogni italiano deteneva in media quasi 52mila euro di attività finanziarie, mentre i francesi e i tedeschi si fermavano intorno ai 42mila.

Prima dello scoppio della crisi, la distanza si era ampliata: in Italia si superavano i 70mila euro di ricchezza pro-capite, mentre in Francia e Germania si arrivava rispettivamente a 55mila e 50mila. Dopo dieci anni, la ricchezza pro-capite degli italiani è scesa poco sotto i 67mila euro, mentre quella dei tedeschi ha superato i 69mila e quella dei francesi i 72mila. In un contesto come quello attuale, caratterizzato da prezzi delle case ancora calanti, o al massimo stabili, e da un recupero solo moderato del reddito, che penalizza le potenzialità di risparmio delle famiglie, l’importanza che la ripresa delle quotazioni ha nello spiegare il recupero del valore della ricchezza degli italiani porta a prestare particolare attenzione a quanto accade sui mercati.

Una gestione sempre più professionale per il risparmio degli italiani

La minore capacità di accantonare risparmio, con il brusco crollo dei flussi di nuove risorse investite in attività finanziarie, si è accompagnata nel corso degli ultimi anni ad un profondo cambiamento nelle politiche di investimento degli italiani. Quanto accaduto dallo scoppio della crisi nei mercati e nell’economia nel suo complesso ha contribuito a modificare le esigenze e le priorità delle famiglie. Le obbligazioni bancarie, che per anni avevano rappresentato uno degli investimenti preferiti, hanno, ad esempio, perso drasticamente importanza.

Nella prima parte degli anni Duemila, gli italiani investivano in media ogni anno più di 20 miliardi di euro di nuove risorse in obbligazioni bancarie, arrivando a destinarvi più del 10% del totale del portafoglio. Dallo scoppio della seconda recessione, questo strumento è, invece, stato oggetto di costanti disinvestimenti, arrivando a subire, tra il 2012 e il III trimestre 2017, un deflusso complessivo di risorse superiore ai 270 miliardi. Nei soli primi nove mesi del 2017, sono state effettuate vendite nette per quasi 35 miliardi. Oggi, il valore dell’investimento in obbligazioni bancarie supera di poco i 100 miliardi, dai quasi 380 raggiunti nel 2009, con il peso sul totale del portafoglio sceso sotto il 3% a settembre dello scorso anno.

Quanto accaduto, oltre ad essere la rappresentazione delle crescenti preoccupazioni per la solvibilità di questo strumento, è anche uno degli effetti dei cambiamenti che hanno interessato le politiche di raccolta delle banche. Il valore delle obbligazioni emesse dalle istituzioni finanziarie e monetarie è, infatti, sceso dai quasi 1.000 miliardi del 2012 a meno di 550 miliardi, arrivando a coprire solo il 15% del totale delle passività, 10 punti percentuali in meno di quanto registrato all’inizio del 2012. Negli ultimi nove anni, pesanti vendite hanno interessato anche il comparto dei titoli pubblici, colpendo con particolare intensità quelli a breve termine e quelli a tasso variabile.

Le vendite di BOT e CCT, iniziate nel 2009, hanno superato i 130 miliardi di euro, praticamente scomparendo dal portafoglio delle famiglie. Le cessioni di BTP, sebbene significative, sono, invece, risultate meno intense, registrando anche un recupero nei primi nove mesi del 2017, con circa 20 miliardi di acquisti netti, che hanno portato il valore in portafoglio di questa tipologia di titoli a circa 120 miliardi. Tutto questo ha determinato un drastico ridimensionamento del ruolo dei titoli pubblici nelle scelte di investimento degli italiani: il peso sul totale del patrimonio è sceso da quasi un quinto della metà degli anni Novanta al 6% dell’inizio della crisi, per poi arrivare al 3% a settembre del 2017.

La complessità dello scenario, con nuovi profili di rischiosità e di rendimento, ha contribuito a portare nuovamente l’attenzione delle famiglie sul risparmio gestito, che nel decennio precedente la crisi aveva perso importanza all’interno del patrimonio degli italiani. Nella seconda metà degli anni Novanta, il peso dei fondi comuni nel portafoglio era triplicato, avvicinandosi al 20%. Successivamente, un flusso costante di disinvestimenti, conseguenza sia delle tensioni emerse sui mercati che della crescente attenzione per altre tipologie di investimento, come le obbligazioni bancarie, aveva, però, annullato i guadagni, riportando l’incidenza sul totale delle attività poco sopra il 6%.

Dallo scoppio della crisi dei debiti sovrani, la crescente esigenza di una gestione professionale, ha spostato il risparmio nuovamente verso i fondi comuni, con un afflusso di nuove risorse che nel complesso degli ultimi sei anni si è avvicinato ai 200 miliardi di euro, superando i 500 miliardi di investimento, più del 12% del totale. La particolarità di questa fase è stata, però, la crescente attenzione per i fondi comuni esteri, che hanno assorbito più di 130 miliardi, circa il 65% del totale. Questo processo ha contribuito ad un significativo incremento degli investimenti di portafoglio all’estero cdell’Italia, passati dagli 842 miliardi del 2011 a quasi 1.400 a settembre del 2017, con un peso significativo dei fondi comuni.

La ricerca di un equilibrio tra sicurezza e rendimento ha, inoltre, indirizzato le famiglie sempre più verso i prodotti assicurativi e previdenziali, mantenendo, comunque, alto l’interesse per i depositi, nonostante rendimenti nulli. Negli ultimi nove anni, quasi 250 miliardi di euro di nuove risorse sono stati destinati ai prodotti assicurativi. Dei 1.000 miliardi complessivamente investiti in questo comparto, pari a quasi un quarto del totale delle attività, solo 260 sono stati accantonati nei fondi pensione, con un peso nel portafoglio stabile poco sopra il 6%. Nello stesso periodo, circa 215 miliardi di euro sono stati accantonati nei depositi, portando il saldo complessivo oltre i 1.300 miliardi, circa un terzo del totale delle attività finanziarie detenute.

Una particolarità che da sempre caratterizza il portafoglio finanziario delle famiglie italiane è l’importanza dell’investimento in azioni, concentrato prevalentemente nella componente non quotata. Si tratta, quindi, per la gran parte della partecipazione dell’imprenditore nel capitale delle piccole e medie imprese, mentre l’interesse dei risparmiatori per l’investimento diretto in titoli quotati appare alquanto limitato. Il valore complessivo delle azioni detenute dagli italiani si è avvicinato a settembre dello scorso anno ai 1.000 miliardi di euro, con un peso sul totale stabile intorno al 20%. Di questi, circa 850 sono relativi ad azioni non quotate o ad altre forme di partecipazione al capitale sociale delle piccole e medie imprese italiane.

In Francia e Germania una diversa composizione della ricchezza Le famiglie tedesche nella gestione del risparmio mostrano una crescente attenzione per la sicurezza e la liquidità. Negli ultimi sei anni, oltre 500 miliardi di euro di nuove risorse sono stati accantonati nei depositi, con una media annua prossima ai 90 miliardi, più del doppio di quanto registrato negli anni precedenti la crisi. Il saldo complessivo dei depositi ha superato i 2.300 miliardi, assorbendo quasi il 40% della ricchezza totale. Tra il 2012 e il 2017, oltre 450 miliardi sono stati, inoltre, investiti nel comparto assicurativo e previdenziale, destinandone circa un terzo ai fondi pensione, che hanno raggiunto un valore complessivo dell’investimento pari a 830 miliardi, quasi il 15% del totale del portafoglio.

L’investimento nei fondi comuni è cresciuto, sebbene meno rapidamente, con flussi medi annui di poco superiori ai 20 miliardi, che hanno portato il valore delle gestioni intorno ai 630 miliardi. Il peso sul totale del portafoglio è aumentato dall’8,8% del 2012 al 10,7%, rimanendo, comunque, al di sotto dei valori superiori al 12% raggiunti negli anni precedenti la crisi. Ingenti disinvestimenti hanno, invece, interessato i titoli obbligazionari, sia pubblici che privati, con vendite nette che, nel complesso degli ultimi nove anni, si sono avvicinate ai 120 miliardi, portando il saldo complessivo dai 320 miliardi raggiunti alla metà degli anni Duemila a poco più di 150, con un peso sceso sotto il 3%.

L’investimento in azioni appare poco significativo, assorbendo solo il 10% della ricchezza, con una maggiore concentrazione nel comparto dei titoli quotati, che a settembre del 2017 hanno raggiunto un controvalore superiore ai 330 miliardi. La ricchezza finanziaria delle famiglie francesi appare, invece, maggiormente concentrata nel comparto assicurativo. Negli ultimi sei anni, sono stati investiti in questa tipologia di strumento quasi 245 miliardi di euro di nuove risorse, portando il valore complessivo oltre i 2.000 miliardi ed assorbendo più del 40% del totale della ricchezza. Un peso significativo hanno anche le azioni, il cui controvalore ha superato i 1.100 miliardi, con una forte concentrazione nei titoli non quotati, rappresentativi, come nel caso italiano, della partecipazione nel capitale delle piccole e medie imprese.

Un minore interesse viene, invece, mostrato per i fondi comuni, con un investimento complessivo di poco superiore a 300 miliardi e un peso nel portafoglio sceso al 6% da circa il 9% degli anni precedenti la crisi, e per i titoli obbligazioni, sia pubblici che privati, che sono quasi completamente scomparsi dal portafoglio. Nel corso degli ultimi anni, il peso dei depositi si è stabilizzato intorno al 30%. Tra il 2012 e il 2017, vi sono stati accantonati poco più di 270 miliardi, portando il saldo complessivo vicino ai 1.500 miliardi.

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