Le fake news, come si è visto da vicino anche nelle elezioni politiche italiane del 25 settembre, sono il cancro dell’informazione di oggi e soprattutto di quella online e un pericolo evidente per la stessa democrazia. Ma non sono l’unico problema di un’informazione che cambia e che vive il passaggio epocale dai giornali di carta all’informazione online. Non capita spesso di assistere a una riflessione critica a tutto campo sulle grandi novità dell’informazione di oggi e di domani e un’apprezzabile eccezione è stata la Conferenza europea della stampa francofona UPF che si è tenuta dal 28 al 30 settembre a Bari per iniziativa della neonata sezione italiana dell’Unione internazionale della stampa francofona (UPF) fondata e presieduta da Alberto Toscano.
Dopo le elezioni del 25 settembre, il fascismo non è certo alle porte del nostro Paese e l’Italia – come ha avuto modo di dire il premier uscente Mario Draghi – “ce la farà” anche stavolta, ma il fatto che tra i vincitori delle elezioni ci siano forze sovraniste e illiberali che non nascondono la loro simpatia verso regimi autoritari come la Russia di Putin e l’Ungheria di Orban, dove la libertà di stampa – per usare un eufemismo – non gode di ottima salute consiglia di tenere alta la guardia, come alla Conferenza di Bari hanno ricordato le toccanti parole della valorosa giornalista russa Zoja Svetova della Novaja Gazeta.
Grande, come si diceva, è il cambiamento che stiamo vivendo sotto il cielo dell’informazione e la transizione dai giornali di carta alle testate web ne è il segno epocale.
Informazione: il tramonto dei giornali di carta e il passaggio alle testate online
Già nel 2007 un bellissimo libro di Vittorio Sabadin, allora vicedirettore de “La Stampa”, non a caso intitolato “L’ultima copia del New York Times”, aveva sollevato con largo anticipo il problema della fine dei giornali di carta e, in quell’occasione, Arthur Sulzberger jr, l’editore del New York Times, affermò di non credere che l’edizione cartacea del suo giornale sarebbe stata ancora in edicola nel 2013. Annuncio prematuro di morte annunciata ma egualmente azzardata e un po’ troppo ottimistica fu la previsione di Philip Meyer, un famoso studioso dell’editoria americana, secondo il quale l’ultima copia su carta del New York Times sarà acquistata nel 2043.
A testimonianza dell’attualità della prospettiva della fine dei giornali di carta, che non equivale certamente alla fine dell’informazione, nella convention degli allievi ed ex allievi della Columbia University della scorsa primavera il Direttore del Los Angeles Times, Kevin Merida, ha senza mezzi termini chiesto ai presenti in quanti anni pensavano che si sarebbe consumato il tramonto dei giornali di carta e il passaggio del testimone all’informazione online: un anno, 3 anni, 5 anni? Nessuno lo sa con certezza ma per i giornali di carta il tempo s’è fatto breve e più i giorni passano e più il tempo della loro sopravvivenza si accorcia. Basta guardarsi intorno. Le vendite dei giornali di carta sono in caduta libera, le nuove generazioni hanno altri canali di informazione, principalmente online, e non leggono più i giornali di carta e le edicole che dovrebbero venderli sono sempre più rare, perfino in luoghi di grande aggregazione come le stazioni ferroviarie. Viviamo in un mondo nuovo che fino a una ventina di anni fa nemmeno immaginavano.
Informazione online: l’immediatezza è una grossa novità, ma è anche un rischio
Il sogno coltivato a lungo nel passato da ogni giornalista degno di questo nome e cioè la possibilità di pubblicare al più presto una notizia appena raccolta (e sperabilmente verificata) è oggi una realtà sul web. Prima e ancora adesso sui giornali di carta bisognava aspettare almeno 24 ore. L’immediatezza è una caratteristica cruciale dell’informazione online appena scritta, anche se la velocità fa correre spesso rischi di approssimazione e genera un’alluvione di notizie (troppe notizie = nessuna conoscenza) delle quali spesso non è chiara la gerarchia e la distinzione tra ciò che è davvero importante sapere e ciò che lo è molto meno. Altra caratteristica determinante dell’informazione online è l’assenza di limiti di tempo e di spazio (anytime and anywhere) che permette di pubblicare o di leggere ad ogni ora del giorno i contenuti dell’informazione online e di poterli leggere in ogni angolo del mondo senza le barriere che impediscono la diffusione dei giornali di carta, soprattutto se in lingua italiana, fuori dalle frontiere nazionali. E inoltre chi non ricorda le angosce degli errori e dei refusi incancellabili consumati dai giornalisti sulla carta stampata e consegnati al museo degli orrori e che invece sul web si possono correggere al volo? E poi ancora: come non apprezzare la possibilità di conservare e di avere sempre a portata di mano la collezione dei propri articoli e di poter attingere su Internet a un archivio immenso e planetario. I pregi e le novità dell’informazione online sono tanti e nessuno può negarli, ma non è tutto oro quello che luccica.
La prima battaglia per un’informazione online di qualità è contro le fake news, ma non è l’unica
L’informazione online si appresta a raccogliere il testimone dalla carta stampata in un vero e proprio passaggio epocale, ma deve ancora dimostrare di esserne all’altezza e di saper offrire un’informazione non solo veloce ma di qualità che non faccia rimpiangere quella dei giornali di carta. Perchè ciò avvenga la prima cosa da fare è che la Rete non sia più una giungla barbarica ma un trasparente campo da gioco in cui sia possibile distinguere le notizie vere da quelle palesemente false. Ecco perchè la prima battaglia, più che mai aperta, è quella contro le fake news, qualunque sia la loro origine.
Ma a chi tocca combatterla? In primo luogo certamente ai giornalisti e agli editori, che devono farsi un esame di coscienza ogni volta che scrivono e pubblicano una notizia e non barattare mai la propria professionalità per un like in più. Come ci ricordava spesso il grande Indro Montanelli, i giornalisti hanno un tacito patto d’onore con i loro lettori che devono umilmente servire senza essere mai e nemmeno apparire come quelli che passano metà del loro tempo a scrivere cose di cui non sanno e l’altra metà a non scrivere cose che sanno ma che per sudditanza al potere non osano scrivere.
Però non bastano i giornalisti e gli editori. Grandi sono le responsabilità che hanno le principali piattaforme online. E tocca anche alle istituzioni entrare fortemente in campo. I Governi hanno il dovere di fare leggi severe contro le fake news e di farle applicare ma soprattutto tocca non solo alla magistratura ma alle Authority – dall’Agcom all’Antitrust e alla Consob (per l’informazione finanziaria) per l’Italia e naturalmente alle Authority europee – fare la loro parte con più determinazione di quanto abbiano fatto finora. Ma da questo punto di vista qualcosa si muove e il Digital Services Act, recentemente approvato dal Parlamento europeo dal Consiglio e dalla Commissione europea insieme al Digital Market Act, promette incoraggianti novità con sanzioni molto severe alle grandi piattaforme online che non sanno arginare le fake news.
La lotta alle fake news è dunque la prima delle battaglie da fare per un’informazione web degna di questo nome. Basterebbe ricordare che secondo i dati forniti dall’Italian Digital Media Observatory – che è l’hub italiano dell’Osservatorio ideato dalla Commissione europea – la disinformazione, alimentata soprattutto dalla pandemia e dalla guerra è aumentata negli ultimi mesi del 500% – e non si può dimenticare che nel 2016 le fabbriche russe di fake news contribuirono in modo determinante a portare un miliardario svitato come Donald Trump alla Casa Bianca. Ma la lotta alle fake news non è certamente l’unica delle battaglie da fare per una informazione online di qualità che è certamente più esposta della carta stampata al pericolo delle fake news.
Il buon giornalismo non si esaurisce nella semplice religione del SEO
Come ha segnalato Marcelle Padovani, raffinata editorialista di Nouvel Observateur in Italia, nella sua relazione introduttiva alla Conferenza di Bari, un altro pericolo che l’informazione web corre e su cui troppo spesso si sorvola è anche quello dell’omologazione, della standardizzazione, della banalizzazione, della superficialità, dell’appiattimento delle notizie che sono l’altra faccia del conformismo e dello scadimento della qualità. Il codice SEO ha stabilito qual è il campo da gioco dell’informazione online, ma il buon giornalismo non può identificarsi con la semplice religione del SEO che si preoccupa solo di ottimizzare l’attività dei motori di ricerca. E’ un po’ come nello sport: per praticarlo bisogna conoscere e rispettare le regole del gioco ma poi non tutti sono campioni. Il buon giornalismo è ben altro rispetto alla pura applicazione delle regole SEO ed è prima di tutto indipendenza di giudizio, affidabilità, competenza, rigore, chiarezza espositiva ma anche fantasia, creatività e brillantezza. Senza questi ingredienti e senza la passione e la curiosità che devono animarli non riusciremo mai a fare sul web un’informazione cool ma ci dovremmo rassegnare a un’informazione senza qualità e senz’anima che ci farà rimpiangere e tanto l’informazione dei giornali di carta. Giornalisti ed editori – con il loro impegno quotidiano – devono essere – insieme alle grandi piattaforme online e alle istituzioni nazionali ed europee alla testa della battaglia per un’informazione online all’altezza dei tempi ma per farlo occorre una regolamentazione – non solo quella
tecnica del SEO – che offra a tutti le stesse opportunità di competere e che implica la consapevolezza e la soluzione di tre problemi prioritari.
Oltre alle fake news, il primo problema dell’informazione online è quello dell’indicizzazione dei contenuti
Non è concepibile che la valorizzazione dei contenuti dell’online sia affidato all’arbitrio inappellabile dei motori di ricerca privati che sulla base di misteriosi algoritmi decidono quali servizi giornalistici premiare e quali no, a prescindere dalla loro reale qualità o dalla loro originalità, ipotecando in questo modo il successo o meno e in definitiva il destino dei siti di tutto il mondo. I motori di ricerca attuali sono ciechi e non sta nè in cielo nè in terra che uno scoop sia trattato, dal punto di vista dell’indicizzazione come una banale notizia riscritta dall’ultima agenzia. I parametri valutativi devono profondamente cambiare se si vuole premiare l’informazione di qualità.
Finalmente, però, se l’America dorme, almeno in questo campo l’Europa batte un colpo e, quando diventerà operativo, il Digital Services Act obbligherà i grandi motori di ricerca a rivelare i loro algoritmi e il giorno in cui ciò avverrà – si può starne certi – sarà una rivoluzione.
Il secondo problema dell’informazione online è quello della corretta contabilizzazione delle visite
IL secondo problema, connesso al primo, è quello della corretta e affidabile contabilizzazione del numero delle visite e degli utenti unici di ogni sito online, da cui dipendono non poco le inserzioni pubblicitarie, che sono spesso la principale fonte di finanziamento dei siti online. Come per le indicizzazioni non è possibile che una materia così delicata e cruciale sia nelle mani di motori di ricerca privati e non invece in quelle, assai più affidabili, di un organismo pubblico indipendente come potrebbe essere, per l’Italia, l’Agcom o, meglio ancora un organismo europeo. E c’è da sperare che anche su questo fronte il Digital Services Act, che non a caso ha già ricevuto l’apprezzamento della parte più democratica dell’America – da Barack Obama a Hillary Clinton – possa, prima o poi, segnare una svolta.
Il terzo problema dell’informazione online è quello dei finanziamenti pubblici che si lega alla lotta allo schiavismo delle testate più povere
Su questo piano è ora di uscire dall’ipocrisia perché la qualità costa e senza adeguate risorse anche l’informazione online, come quella della carta stampata, non è sostenibile. È un problema certamente delicato che, anche in questo caso, il direttore del Los Angeles Times ha affrontato – nella convention della Columbia – senza timidezze e senza ritrosie sostenendo che, se si ritiene che l’informazione sia un bene essenziale per la democrazia, è giusto finanziarla anche con risorse pubbliche e che, tanto più in vista del passaggio di testimone dalla carta stampata all’online, è venuto il momento di studiare forme di finanziamento pubblico anche per le testate esclusivamente digitali, naturalmente sulla base di criteri
rigorosi, trasparenti (soprattutto per quel che concerne le proprietà editoriali) e possibilmente innovativi, pensati cioè con la testa rivolta al futuro e alle nuove generazioni e non con lo specchietto retrovisore.
In conclusione, l’informazione online vive un appassionante cambiamento epocale e noi abbiamo la fortuna di viverla in prima persona, però la nuova informazione non può e non deve nascondere la testa sotto la sabbia di fronte alle sfide che l’attendono e non può dimenticare che ha davanti a sè ha un’occasione davvero unica e irripetibile e che sprecarla sarebbe a dir poco delittuoso.