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Facebook, scatta la prima class action. Rischio multe in Usa

Una causa collettiva scattata in California che potrebbe fare da apripista a molte altre azioni legali in tutto il mondo – La Ftc apre un’inchiesta: nel caso in cui venisse accertata la violazione della privacy, Facebook rischia 40mila dollari di multa per ogni utente.

Facebook, scatta la prima class action. Rischio multe in Usa

La bufera su Facebook e Cambridge Analytica non accenna a placarsi. A tre giorni dalla deflagrazione dello scandalo, mentre il mondo intero attende di ascoltare la versione di Mark Zuckerberg – rinchiuso fino ad oggi in un silenzio tombale – negli Stati Uniti è scattata la prima class action contro le due società.

FACEBOOK: LA CLASS ACTION

La causa collettiva, che potrebbe fare da apripista a molte altre azioni legali in tutto il mondo volte a richiedere i danni per la mancata protezione della privacy di circa 50 milioni di utenti, è stata avanzata presso la corte distrettuale di San Josè (California) allo scopo di chiedere conto dei dati raccolti – secondo i promotori – senza alcuna autorizzazione. Dati che poi sarebbero utilizzati per favorire l’ascesa alla Casa Bianca di Donald Trump.

Nel frattempo, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, anche la Federal Trade Commission (Ftc), l’agenzia governativa americana per la protezione dei consumatori e la concorrenza, ha aperto un’indagine volta ad accertare se Facebook abbia rispettato i suoi impegni nel chiedere il consenso prima di raccogliere i dati degli utenti e condividerli con altre società. In caso contrario la Ftc potrebbe comminare al social network 40.000 dollari di sanzione per ogni violazione accertata. Se dunque venisse davvero dimostrato che i dati degli utenti siano stati “passati” a Cambridge Analytica violando la privacy di 50 milioni di persone, la multa potrebbe raggiungere una cifra da guinness.

Parallelamente, in Gran Bretagna, la premier britannica Theresa May espresso la sua preoccupazione sui sospetti relativi all’abuso dei dati di milioni di utenti, incoraggiando l’Autorità per la tutela dei dati personali a indagare. May ha però negato con forza che il suo partito abbia “contratti in essere” di consulenza con Cambridge Analytica.

LE PAROLE DI KOGAN

Mi usano come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Analytica“, ma la verità è che tutti sapevano tutto e tutti “ritenevamo di agire in modo perfettamente appropriato”.

Queste le parole di Alexander Kogan, accademico americano figlio d’espatriati sovietici e docente di psicologia a Cambridge. L’uomo, che attraverso la sua app ha raccolto ed elaborato i dati di Facebook per poi passarli alla società di consulenza e propaganda politica, mette però in dubbio che quelle informazioni possano aver avuto davvero un ruolo fondamentale nella vittoria di Trump.

IL RUOLO DI BANNON

Ma l’ombra di Steve Bannon dietro Cambridge Analytica diventa di ora in ora più ingombrante. In base ad alcune rivelazioni emerse nelle ultime ore, l’ex capo stratega di Trump sarebbe stato infatti il supervisore del programma di raccolta dati avviato dalla società britannica. Ricordiamo infatti che Bannon è stato vicepresidente di Cambridge Analytica dal giugno 2014 all’agosto 2016. Secondo Chris Wylie – la talpa che ha dato il via allo scandalo – Bannon avrebbe cominciato a lavorare a questo progetto addirittura tre anni prima del suo incarico alla Casa Bianca.

FACEBOOK TIRA IL FIATO SUL NASDAQ

Dopo due giorni di pesanti ribassi che hanno causato un calo del 10%, Facebook rimbalza sul Nasdaq. Dopo aver iniziato le contrattazione in rosso, il titolo ha invertito la tendenza e alle ore 17.20 guadagna oltre il 2%. Nelle sedute del 19 e del 20 marzo, Facebook ha visto ridurre la propria capitalizzazione di Borsa di circa 60 miliardi di dollari

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