Il mondo reale, di questi tempi, non è clemente con Mark Zuckerberg, padre padrone di Facebook: continua sul Wall Street Journal il racconto delle falle del sistema del social network accusato davanti al Congresso dall’ex dipendente Frances Haugen di non contrastare odio e violenza sulla Rete pur di non nuocere al business. E pure in Europa corrono tempi difficili: è imminente la presentazione di due direttive, il Digital Service Act e il Digital Markets Act, con l’obiettivo di disciplinare (e frenare) l’attività del social, già nel mirino per il ruolo avuto nelle presidenziali Usa e il voto sulla Brexit. Ma ci vuole ben altro per spaventare il creatore di Facebook: la realtà non ci piace? Pensiamone un’altra.
E’ di questi giorni la notizia che Facebook ha intenzione di assumere 10 mila persone nei prossimi cinque anni per costruire “la piattaforma informatica del futuro” ovvero un “metaverso”. E’ un concetto introdotto nel 1992 dall’autore di fantascienza Neal Stephenson per il suo Snow Crash, romanzo cyberpunk in cui le Americhe sono state divorate dai franchising delle corporation. E in cui esiste un mondo parallelo, a metà tra internet e la realtà virtuale, dove le persone interagiscono attraverso degli avatar utilizzando la realtà virtuale e a quella aumentata. Un sogno letterario? No, tempo cinque anni, Facebook diventerà un’azienda, la prima e la più forte di questo nuovo mondo che prenderà il posto di Internet così come lo conosciamo oggi.
Ma come? Torniamo alle fantasie di Stephenson. L’autore concepisce il metaverso come una immensa sfera nera di 65536 km (2 alla diciottesima potenza) di circonferenza, tagliata in due all’altezza dell’equatore, da una strada percorribile anche su di una monorotaia con 256 stazioni, ognuna a 256 km di distanza. Su questa sfera ogni persona può realizzare in 3 D ciò che desidera: negozi, uffici e night club o altro, il tutto potenzialmente visitabile dagli utenti. Lasciamo da parte, per ora, l’aspetto fisico dell’infrastruttura necessaria per vivere questa vita parallela. Ma è possibile immaginare quel che Zuckerberg definisce “l’Internet incarnato” in cui gli utenti entrano letteralmente nel contenuto, non accontentandosi di scorrerlo su un mobile o un pc.
Grazie al metaverso sarà possibile ad esempio ballare entrando in un virtuale Tik Tok . Un mondo nuovo, con immense possibilità commerciali ma dagli sviluppi sociali e politici quasi impensabili. Certo, per arrivarci occorre un lavoro titanico: ci vogliono nuovi strumenti così come nuovi protocolli e standard a cui già lavora l’equipe guidata dal nuovo chief technology officer, Andrew Bosworth già a capo delle ricerche sulla realtà aumentata e virtuale. E già ci sono le prime applicazioni concrete, come Horizon Workrooms, un ambiente virtuale a cui accedere attraverso Oculus, il casco realizzato attraverso investimenti miliardari che ti consente, attraverso il tuo avatar di partecipare ad una riunione in 3d con decine di persone o condividere uno schermo. Fanno parte della stessa famiglia gli occhiali da 300 dollari che Facebook ha realizzato assieme a Ray-Ban, scuderia Luxottica, che consentono di prender foto o realizzare video in diretta.
Un sogno (o un incubo) che s’avvia diventare realtà. Ma c’è una sorpresa. La grande avventura non proseguirà in California, bensì nella vecchia Europa dove Facebook, che oggi conta 58 mila dipendenti, assumerà 10 mila persone, per la maggior parte ingegneri e matematici. “E’ l’Europa – dice il vicepresidente Nick Clegg – il cuore del nostro successo. E pensiamo da tempo che lì risiede il vero talento necessario per innovare”. Naturalmente, però, ci vorranno regole nuove sia sulla proprietà dei dati che sulla possibilità di poter gestire i flussi di informazioni tra i vari Paesi sia all’interno della Ue che fuori. E non sarà facile.
Ma, forse, un obiettivo a breve è a portata di mano: creare le premesse per un accordo con l’Antitrust di Bruxelles promettendo al Vecchio Continente di recuperare una porzione del terreno perduto sul fronte dell’Intelligenza Artificiale, un campo dove comunque, a detta del responsabile del Pentagono, “la guerra l’ha già vinta la Cina”. Insomma, non ci resta che un Avatar.