Dopo 14 anni come co-pilota Sheryl Sandberg ha annunciato che in autunno lascerà Facebook, anzi Meta, come si chiama adesso. Per grande parte della sua permanenza ad Facebook ha coperto l’incarico di Chief Operating Office, direttore generale. È stata la donna con il più alto incarico in una società di Internet.
In un’intervista la Sandberg ha dichiarato che si aspettava di rimanere a Facebook solo per cinque anni anziché i 14 che vi ha trascorso. Ha aggiunto che intende concentrarsi sull’attività filantropica, sulla sua fondazione, Lean In (dal titolo del suo libro Facciamoci avanti: Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire, Mondadori, 2013) e che quest’estate sposerà Tom Bernthal, un produttore televisivo con quattro figli (lei ne ha tre dal secondo matrimonio). Si tratta di una decisione importante dopo che nel 2015 ha perduto inaspettatamente il marito, un trauma che l’ha spinta a scrivere un libro molto apprezzato, Option B: Affrontare le difficoltà, costruire la resilienza e ritrovare la gioia (Harper Collins, 2017), sull’elaborazione del dolore e del lutto. Presumibilmente dedicherà molte energie alla nuova famiglia allargata.
Non sappiamo quale posto riserverà la storia a Sheryl Sandberg. La sua eredità professionale e personale è piuttosto complessa da valutare. Si tratta una faccenda sulla quale occorre riflettere, ha scritto Shira Ovide che cura la newsletter del “New York Times” sulla tecnologia.
La stessa Sandberg se l’è chiesto “Ho fatto tutto bene? Assolutamente no!”
In effetti è tutto qui.
Era nata una stella
Dopo la laurea ad Harvard, Larry Summers l’aveva chiamata a capo del suo staff come ministro dell’economia di Clinton. Senz’altro destinata a una brillante carriera politica (a un certo punto era stata inclusa nel ristretto novero delle future aspiranti alla presidenza), era sbarcata nella Silicon Valley a Google dove aveva contribuito alla costruzione del suo multimiliardario business pubblicitaro.
Nel 2008 l’allora 38enne Sheryl Sandberg accettò l’invito del 23enne Mark Zuckerberg, che lavorava a pochi chilometri di distanza, ad affiancarlo nel trasformare una start-up dalla enormi potenzialità in una delle società più influenti e ricche del mondo. La Sandberg divenne così “l’adulto nella stanza” del campus di Facebook a Memlo Park.
Qui coordinò tutto il lavoro di costruzione operativa del business pubblicitario di Facebook che tutt’oggi rimane il motore economico dell’impresa. Quando la Sandberg iniziò il suo lavoro Facebook generava ricavi per 153 milioni di dollari, oggi i ricavi sono 85,96 miliardi. Il 98,8% vengono ancora dalla pubblicità. Quel business però oggi è ristagnante e si sente la necessità di spostare il baricentro della società da un’altra parte.
Forse non è un caso che si sia sentita pochissimo la voce della Sandberg nel definire la nuova strategia di Facebook incentrata sul Metaverso, dal quale deriva anche la nuova denominazione, Meta appunto.
Contro la barriera di cristallo
Oltre Facebook, gli scritti, le conferenze e l’esempio della Sandberg sul modo di stare delle donne nel mondo del lavoro, la sua elaborazione del dolore e del lutto per la perdita improvvisa di un affetto, sono stati una voce fondamentale nel ridefinire il ruolo delle donne nella corporate America.
A un certo punto, proprio il COO di Facebook sembrava la persona meglio attrezzata e solida per condurre le donne a rompere il soffitto di cristallo che le confinava in una condizione di minorità nel mondo delle imprese.
Purtroppo la poco edificante storia di Theranos e di Elizabeth Holmes, l’altra amazzone di questa spedizione, ha fatto arretrare non poco la causa della parità di genere e del contributo femminile alla nuova economia trainata dalla tecnologia.
In questa ottica l’eredità della Sandberg non è certo in discussione, anche se non sono mancate le voci critiche come quella di Michelle Obama che si dice convinta che le cose non siano affatto come le mette la Sandberg.
I fallimenti di Facebook
Sheryl Sandberg ha giocato un ruolo importante anche nei fallimenti di Facebook in momenti cruciali della storia americana. È avvenuto quando l’azienda ha inizialmente negato e cercato di dirottare la sua responsabilità per i troll sostenuti dalla Russia che, attraverso le pagine di Facebook, miravano radicalizzare le divisioni tra gli americani prima delle elezioni presidenziali del 2016.
È avvenuto di nuovo nel 2018 nel caso di Cambridge Analytica quando una evidente e clamorosa violazione della privacy dovuta anche alle regole lasche di Facebook su questa materia, esposero la società a un enorme danno di reputazione e di immagine.
La Sandberg, responsabile delle relazioni pubbliche, fu ritenuta dallo stesso Zuckerberg responsabile della risposta vaga e imbarazzata della società. Lo schema seguito in quell’occasione dal team della Sandberg fu quello di negare, deviare, difendere.
La gestione della crisi che ha innervosito Zuckerberg che, avendo la maggioranza delle azioni con diritto di voto, ha iniziato ad impegnarsi maggiormente in politica. È stato Zuckerberg a prendere decisioni cruciali come quella di rimuovere il presidente Donald J. Trump dal sito dopo i disordini del 6 gennaio.
E in effetti è stato Zuckerberg ad assumere direttamente un ruolo di supervisione di diverse parti dell’azienda, alcune delle quali erano state sotto l’esclusiva egida della Sandberg.
Lo stesso “New York Times” lo scorso anno ha scritto che “la partnership tra Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg non era sopravvissuta a Trump”.
Nella riorganizzazione dell’azienda centrata sul metaverso, alcune delle responsabilità della Sandberg sono state distribuite tra varie figure. Nick Clegg, presidente degli affari globali ed ex vice primo ministro britannico, è diventato il portavoce principale dell’azienda, ruolo che in passato era stato ricoperto da Sandberg. A febbraio, Clegg è stato promosso presidente degli affari globali di Meta.
In effetti, come nota la Ovide “la Sandberg sta terminando il suo mandato in Meta lontana dall’apice della reputazione che ha raggiunto lo scorso decennio”.
L’architetto del business pubblicitario di Internet
In un post su Facebook Zuckerberg ha affermato che la Sandberg è stata fondamentale per il successo dell’azienda: “Sheryl è stata l’architetto del nostro business pubblicitario, ha assunto persone fantastiche, ha forgiato la nostra cultura manageriale e mi ha insegnato a gestire un’azienda”,
Ha quindi aggiunto: “È la fine di un’era“. Forse lo è davvero.
Google e Facebook hanno trasformato il marketing dei prodotti da un’arte divinatoria a una scienza dal volto spesso inquietante e la Sandberg è stata tra gli artefici di questo cambiamento. A lei va il merito (o demerito) di aver sviluppato due dei modelli commerciali di maggior successo, e forse meno difendibili, della storia di Internet.
Tutte le preoccupazioni di oggi per le app che spiano le persone per carpire ogni singolo dettaglio delle loro attività e per indirizzarle nelle scelte non solo di acquisto sono in parte riportabili alla Sandberg. Così come lo sono i 325 miliardi di dollari di fatturato pubblicitario annuo di Facebook e Google e di tutte le altre aziende online che guadagnano con gli annunci.
La storica di Harvard Shoshana Zuboff, che ha scritto un libro ben documentato sul capitalismo della sorveglianza all’interno del quale si iscrive tutta l’esperienza di Facebook, ha dichiarato durante una intervista del 2019 al “Guardian” che la Sandberg ha interpretato il ruolo di Typhoid Mary, nellla diffusione contagio della logica della sorveglianza nel mondo di Internet.
Forse l’uscita della Sandberg da Meta segna anche la fine di quest’epoca.
Se il giudizio della storia è sospeso in attesa del verdetto della giuria, si può dire con una certa sicurezza cha la Sandberg ha svolto molto bene il suo lavoro. Non sempre succede oggi.
Fonti
Mike Isaac, Sheera Frenkel e Cecilia Kang, Sheryl Sandberg Is Stepping Down From Meta, The New York Times, 1 giugno 2022
Shira Ovide, Sheryl Sandberg’s Legacy, The New York Times, 2 giugno 2022
Sheera Frenkel e Cecilia Kang, Mark Zuckerberg and Sheryl Sandberg’s Partnership Did Not Survive Trump, The New York Times, 8 luglio 2021
John Naughton, ‘The goal is to automate us’: welcome to the age of surveillance capitalism, The Guardian, 20 gennaio 2019
Sheera Frenkel, Nicholas Confessore, Cecilia Kang, Matthew Rosenberg e Jack Nicas, Delay, Deny and Deflect: How Facebook’s Leaders Fought Through Crisis, The New York Times, 14 novembre 2018