Vettel campione per la terza volta di fila: più giovane di sempre (anno 2010) a conquistare un titolo, quindi due, e ora il terzo, appannando con discrezione la memoria quasi epica di campioni quali Fangio e Senna e Schumacher, che a tale risultato arrivarono dopo. Questo per dire che da oggi, di fronte al nome del tedesco della Red Bull, bisognerà togliersi il cappello, e basta.
Alonso battuto sul filo di lana. Per tre punti: miseri e beffardi dopo una stagione intera di montagne russe iridate, sempre in rincorsa con una Ferrari quasi mai all’altezza della concorrenza più forte. E dopo un ultimo Gran Premio che la pioggia di Interlagos ha abbassato (o elevato: questione di punti di vista) a livelli da lotteria, con il nome del campione iridato in pectore che cambiava quasi giro dopo giro.
Il riassunto del Mondiale F.1 2012 è quello appena esprsso. Ma il back-stage del campionato è ricco, ricchissimo. Imprevedibile e contraddittorio forse mai quanto quest’anno. Osiamo tratteggiarlo esprimendo una specie di graduatoria: voti, come a scuola; ai due grandi contendenti e ai loro team e alle terze forze che magari a turno hanno fatto ombra al grande duello. Ben consci che dare la pagella agli artisti e agli eroi è qualcosa a cavallo fra presunzione e blasfemia…
10 Sebastian Vettel – L’uomo, forse non tanto. Il pilota, il campione, invece sì: è maturato moltissimo. Veloce lo è da tempo. Caparbio e combattivo, anche. L’obiezione all’ipotesi di un Vettel campionissimo, fino a un anno fa, veniva dallo strapotere della sua Red Bull: con un missile così, si diceva, vincerebbero in tanti. Vero, probabilmente. Ma la Red Bull 2012 era meno missile, e il titolo è andato comunque a lui. Sempre una spanna sopra il suo compagno Webber, che non è uno qualsiasi. Quando il livello della monoposto è tornato quello dei bei tempi, diciamo da Monza in poi, Vettel è tornato sul trono: dominio in qualifica; gare in fuga solitaria e imprendibile. Ma la maturazione si è palesata negli ultimi due GP: gare in recupero forzato (arretramento in griglia in Texas e speronamento subìto alla terza curva in Brasile) e rimonte da cineteca. Con una forza mentale e una resistenza alla frustrazione che ha già un posto a parte nel Gotha delle corse.
9 Fernando Alonso – Che era un 10 fino ad agosto compreso: quando comandi tanto a lungo il campionato pur con una Ferrari evidentemente alla rincorsa, e non di un solo team, è una valutazione obbligata. Aspettava il colpo di reni finale, Alonso. In senso tecnico: una specie di ripetizione di quel passo avanti nelle prestazioni che la F2012 aveva messo in pista fra maggio e giugno. Ma il passo avanti non c’è stato. E quando Vettel e la Red Bull hanno iniziato a vincere a raffica, mandando in soffitta l’alternanza record di vittorie che aveva marchiato la prima parte di stagione, la forza di Fernando, spinta e traino di un team che l’ha eletto a leader anche tecnico-tattico, non è più bastata. Resta da capire come mai, almeno negli ultimi tre GP, forse quattro, Alonso si sia trovato -almeno occasionalmente- meno veloce del compagno Massa, che aveva piallato da inizio 2010 a settembre 2012 compreso. Stanchezza? Improvvisa incomprensione con una Ferrari cambiata ma non nel modo che serviva a lui? Resta questo l’interrogativo numero 1 del finale di stagione. Ed è questo il dubbio che nega allo spagnolo il voto massimo.
9 Red Bull – Anche i genii sbagliano, dicevamo a inizio estate, quando la Red Bull sembrava la parente in bianconero della F.1 spaziale del 2011 e anche dell’ultima parte di 2010. Ma chi si affrettava a dire che la vera avversaria di Alonso era la McLaren, faceva i conti senza l’oste. Ovvero Adrian Newey, che durante le quattro settimane di vacanza forzata ad agosto ha rivoltato la monoposto anglo-austriaca come un calzino, sottoponendola a una serie di micro-modifiche presentate con ritmo e abbondanza quasi ossessivi. E con risultati addirittura disarmanti, per la concorrenza. Tanti i sospetti di irregolarità più o meno sottili, come accade storicamente a chi vince con tanto margine. Nessuna colpevolezza mai evidenziata, sulle spalle di una Red Bull che nella lunga trasferta asiatica di autunno è tornata a essere imbattibile. Peggio: inaffrontabile. E niente fa presumere che l’anno prossimo combatterla sarà più facile…
9 Ferrari Team – Il 2012 ci ha restituito la Grande Ferrari: compatta, cronometrica ai pit-stop e al muretto box, mai un errore, quasi testarda nell’attaccare a testa bassa ben sapendo del suo svantaggio tecnico. Granitica nel fare quadrato attorno al genio di Alonso e anche nel difendere l’indifendibile Felipe Massa, che dopo il rinnovo di contratto in ottica 2013 è tornato improvvisamente a ricordarsi come si è piloti di un team che punta alle vittorie e al Mondiale.
5 Ferrari progettazione – La F2012 doveva essere la Ferrari del ritorno in paradiso, anche grazie al fatto di avere iniziato la progettazione con buon anticipo, complice la carenza di risultati 2011. Al debutto in Australia, beccava oltre un secondo al giro in qualifica; poco meno in gara. Da lì è iniziata la rincorsa forzata. Che ha prodotto risultati a fine maggio, dopo una sessione di test al Mugello che è stata quasi l’unica, in questo nuovo regime di prove centellinate. Dopo di che, al momento di produrre lo sforzo decisivo per tornare vincenti al rush finale (e dopo un stagione che ha regalato un progresso tecnico a onda alternata per i tre team maggiori), nulla di rilevante è più uscito dal cappello rosso. Colpa della galleria del vento di Maranello, si è detto: colpevole di fornire dati che l’utilizzo in pista non conferma. Tanto che il team è andato a provare in wind-tunnel altrui, all’estero. Ma il dato è evidente: quando si inizia la stagione in netto svantaggio tecnico, anche un campione assoluto quale è Alonso può metterci una pezza; ma non risolvere il problema in modo completo. È accaduto proprio questo. E a volere essere cattivi, è almeno dal 2009 che la Ferrari non mette in pista una F.1 davvero vincente. Dato allarmante: ogni anno trascorso lontano dal vertice, ti ci allontana sempre di più.
7 McLaren – La più veloce all’inizio. La più veloce all’ultima gara, in Brasile, e forse anche alla penultima in Texas. Con in mezzo un’altra grande fase da fine luglio e tutto settembre. Ma anche tanti down. La monoposto di Woking è stata quest’anno quella più schizofrenica. Ci ha messo del suo qualche colpo si sfortuna, da leggersi soprattutto nell’ottima di guai tecnici che hanno anche fatto sprecare vittorie ormai molto vicine. E neanche Lewis Hamilton ha brillato per costanza, per non dire di Jenson Button a lungo e ritmicamente assente dal palcoscenico numero 1. Il tutto, nell’impazienza sempre meno dissimulata del partner (super-pagante) Mercedes, che intanto ha preso l’iniziativa prendendosi in casa per il futuro proprio Hamilton che dovrà fare dimenticare la grande delusione dei tre anni di Schumacher tornato a ritmo di grancassa, e ora pensionato definitivamente con toni da anonimato.
8 I giovani – Da anni non si vedeva tanta bella gioventù in F.1. La stagione si chiude con la bella cavalcata di Nico Hulkenberg, addirittura a un passo dal successo in Brasile con la non travolgente Force India, non fosse per l’eccesso di ottimismo che nel finale lo ha mandato in quasi testacoda in un attacco da kamikaze nei confronti di Hamilton, poi spedito al ritiro con una ruota di traverso. Ma prima del giovane tedesco c’era stato Sergio Perez, campioncino di lusso di una Sauber che ora l’ha perso per consegnarlo alla McLaren proprio al posto di Hamilton. E un po’ anche Maldonado, un po’ falloso ma grintoso in qualifica e capace di riportare alla vittoria una Williams che dalla cima del podio mancava da una vita. Nota di merito meriterebbe anche Grosjean: velocissimo. Ma con una inclinazione all’errore (leggasi: finire addosso a qualcuno, specialmente al via) davvero imperdonabile.
10 Il Grande Vecchio – Che non c’è: diciamolo subito. Ma se ci fosse, nel senso di regista occulto della F.1, meriterebbe un applauso a scena aperta. Ormai i Mondiali che si decidono all’ultima gara sono quasi la regola, e già questo è matematicamente curioso. Ma quest’anno si è esagerato: da marzo a giugno, a ogni gara un vincitore diverso. Quest’anno 6 dei 12 team team in pista hanno vinto almeno una volta: non accadeva da secoli. Forse da mai. E alla fine, Alonso il Mondiale l’ha perduto per 3 punti. Che senza i 30 -almeno- buttati via a causa dei due speronamenti targati Lotus subiti al via in Belgio (Grosjean) e Giappone (Raikkonen), sarebbero stati invece un vantaggio importante. Forse risolutivo: anche a fronte dello speronamento subito da Vettel all’ultima gara, che al massimo è valso 17 punti. Ed è vero che il neo-tri-iridato ha sprecato punti a causa di inciampi tecnici, ma questi sono colpe della squadra, mica del destino impietoso che ha travolto due volte alle spalle il ferrarista recordman di arrivi a punti. Basta, tutto questo, per dire che, se c’è un regista dietro nel back-stage, non possiamo che applaudirlo per la fantasia?…